Lavoro e professione

Cao Fnomceo: «Dentisti, calcolo su base Ue». Una proposta anti-pletora

di Sandro Sanvenero (segretario Cao Fnomceo

Il parametro fondamentale nella programmazione del numero di operatori sanitari è che tale numero deve essere atto a garantire le necessità di salute e cura da parte dei cittadini. Inoltre anche la collocazione spaziale dei professionisti ha notevoli ripercussioni sulla possibilità, per i cittadini, di trovare risposte ai loro bisogni. Tuttavia gli alti costi di formazione (oltre 200.000 euro per la sola parte a carico dello Stato), sociali per i professionisti (sottoccupazione, disoccupazione ed emigrazione) e sanitari per la collettività (overtreatment) imporrebbero di non andare in pletora.

La maggioranza degli esperti e le indicazioni epidemiologiche dell’Oms convergono nell’indicare in 1 su 1.700 il corretto rapporto tra medico odontoiatra e popolazione. Tale rapporto trova riscontro anche nel dato empirico europeo: in Paesi che hanno un rapporto più alto (ad esempio la Gran Bretagna, con un rapporto di 1 su 1.927 abitanti o Paesi Bassi 1 su 2012) il mercato tende a richiedere e assorbire nuovi professionisti, mentre laddove il rapporto è più basso (come in Italia con rapporto di 1 su 1.004) il mercato non riesce ad assorbire nuovi operatori, e questo ha un riscontro nel tasso di occupazione, di retribuzione media ed emigrazione.

Confrontando i dati di occupazione, a un anno dalla laurea specialistica, si evidenzia un peggioramento del 16,1%: si passa infatti dal 79,2% del 2008 al 63,1% del 2013, parallelamente a un decremento del 7,1% delle retribuzioni, passate da 1.139 euro del 2008 a 1058 euro mensili del 2013; anche in questo caso le donne hanno una retribuzione media del 34,2% inferiore a quella dei maschi (879 euro vs 1.176 euro). In maniera esponenziale, i professionisti cercano dunque sbocchi lavorativi all’estero.

Tutti gli indicatori, siano essi legati ai fabbisogni sanitari sia a quelli economici, mostrano un mercato non in equilibrio per un eccesso di offerta rispetto alla domanda. Domanda che è per il 90% soddisfatta dal privato, rappresentando l’odontoiatria pubblica solamente il 5%, mentre il restante 5% è coperto da forme assicurative e mutualistiche erogate da strutture pubbliche o private. Essendo quello odontoiatrico, prevalentemente, un mercato “out of pocket”, è fondamentale affiancare al rapporto medico odontoiatra-popolazione anche il parametro Pil pro capite (corretto sulla base del potere di acquisto), espresso in Usd che fornisce, per l’anno 2011 i seguenti valori: Svizzera Pil pro-capite 43.897 Usd e 1 dentista ogni 1.895; Austria 41.050 Usd e 1 dentista su 1.788; Svezia 39.540 Usd e 1 dentista su 1.253; Germania 37.728 Usd e 1 dentista su 1.259; Belgio 37.236 Usd e 1 dentista su 1,412; Regno Unito 36,171 Usd e 1 dentista su 1.927; Francia 34.860 Usd e 1 dentista su 1.499; Spagna 30,060 e 1 dentista su 1.653; Italia 30,107 Usd e 1 dentista su 1.070. Parametro che fotografa una pletora in una situazione di difficoltà economica.

I dati italiani degli ultimi 18 anni dimostrano l’inefficacia dell’affrontare la questione “programmazione del numero dei professionisti” in un’ottica nazionale, rilanciando, prepotentemente, quanto sostenuto dalla Cao sin dal 2010: in un mercato unico la programmazione non può essere che unitaria, cioè su base europea.

Infatti il numero di posti messi a bando, per il corso di laurea in Odontoiatria e protesi dentaria, dal 1997 al 2010 (frutto di lungimirante politica posta al tavolo della programmazione dai referenti dei Presidenti dei corsi di laurea Italiani e dell’istituzione ordinistica), sono stati 9.578 (in linea con il ricambio generazionale, nel mantenimento del parametro di idoneità per il soddisfacimento dei fabbisogni dei cittadini) .

Di contro dal 2002 al 2015, i neoiscritti all’albo odontoiatri sono stati 15.564, con una differenza di +63,2% rispetto al numero massimo ipotizzabile, dato determinato dal combinato congiunto degli accessi in sovrannumero determinati dai Tar (fattore che ha causato evidenti difficoltà, soprattutto nella gestione organica dei percorsi formati, al corpo docente e che ha penalizzato principalmente le sedi più qualificate) e dal fatto che cittadini italiani, avendone la possibilità economica pur di bypassare il numero programmato italiano, vanno a formarsi presso Università comunitarie private, nelle quali la tassa media annuale è di circa 20.000 euro.

Sulla base di tali elementi sarebbe possibile ipotizzare, più che una riduzione dei posti a bando, che metterebbe in crisi le Università italiane, un differente utilizzo della capacità formativa delle stesse, privilegiando la qualità e ripartendo tra lo Stato (ad esempio assegnandogli 300 posti a suo carico) e mercato (cui andrebbero assegnati i restanti 600 posti dei 900 propri della capacità formativa degli atenei italiani) il raggiungimento della piena capacità formativa. Questa operazione potrebbe garantire un risparmio a regime di 132 mln all’anno per le casse dello Stato ed entrate di 90 mln l’anno alle Università.

Infine, come nota a margine, il ruolo ingrato a cui è chiamato l’ordine rinviene dalla mission istituzionale che è sintetizzabile in: tutela della salute del paziente e vigilanza sugli iscritti agli albi.

Sandro Sanvenero

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