Lavoro e professione

Telemedicina in carcere, Federsanità Anci: «Entro un anno l’avvio della teleassistenza. Risparmi fino al 20% sulle cronicità»

di Rosanna Magnano

Cambiare il modo di fare sanità nelle carceri garantendo il diritto alla salute delle persone private della libertà personale e facilitando l'operato dei medici attraverso l'utilizzo della telemedicina: il target è realizzare le prime standardizzazioni entro un anno risparmiando tra il 10 e il 20% della spesa per le cronicità, oltre ai costi evitati sui trasferimenti dei detenuti dalle carceri alle strutture sanitarie. Sono questi, per Federsanità Anci, alcuni degli obiettivi del Protocollo di intesa siglato ieri con il Ministero della Giustizia . In concreto, sottolinea Federsanità, bisogna «sostenere la cura della salute del detenuto, dall'ingresso in carcere, durante la permanenza negli Istituti di Pena e fino alla fine del suo periodo di detenzione, fornendo concrete opportunità di riqualificazione professionale e favorendo la condivisione e la gestione dei dati sanitari dei detenuti per migliorare la comunicazione relativamente alla continuità dei processi di cura».

Il nodo da affrontare è quello della gestione dei processi e delle tecnologie nel passaggio di competenze sulle cure ai detenuti dalla Autorità Penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale. «Il passaggio di competenza - spiega Angelo Lino Del Favero, presidente di Federsanità Anci - sta comportando un cambiamento multidimensionale sia nell'organizzazione dei servizi, che richiede competenze nuove e quindi un'opportunità di riqualificazione degli operatori, sia un cambiamento tecnologico indotto dalla dematerializzazione della documentazione e dall'utilizzo di strumenti innovativi per garantire una continuità nella comunicazione a salvaguardia della salute del Detenuto. In questa prospettiva si configura la necessità di promuovere un'attività di medicina “in rete” nelle Carceri che contempla l'impiego di soluzioni innovative anche per gli Istituti di Pena».

«Bisogna cambiare il modo di ‘fare' sanità all'interno delle carceri – ha aggiunto Lucio Alessio D'Ubaldo, segretario generale della Confederazione - non solo in funzione della mutata forma giuridica del servizio, ma soprattutto nel rapporto con l'uomo e la donna detenuti. Federsanità Anci in forza dell'Accordo siglato con il Ministero della Giustizia il 3 luglio 2015, ha costituito un tavolo di lavoro finalizzato proprio alla definizione di un modello innovativo di gestione della salute all'interno degli Istituti di Pena che prevede l'adozione del Diario Clinico del Detenuto, sia per gli effetti di continuità terapeutica che tale strumento può garantire in caso di trasferimento di un detenuto, sia per gli effetti che ha sulla riservatezza medica e sulla trasparenza delle informazioni in caso di accesso a esse per indagini o approfondimenti di situazioni critiche».

Facilitare il dialogo tra medico e strutture
Il contesto da cui si parte è un terreno accidentato. E la sfida è quella di superare il gap diffuso della mancata informatizzazione nella gestione del paziente detenuto. Per adesso infatti tutto passa ancora prevalentemente per la carta e gli ostacoli burocratici non mancano. «Il tema centrale - spiega il direttore di Federsanità Anci Enzo Chilelli - è costruire un modello che consenta la comunicazione tra medico e medico e tra le diverse strutture».

Dunque una maggiore disponibilità e scambio di informazioni fra gli operatori dei processi sanitari per migliorare la salute e abbattere i costi. Ma quali sono i tempi di realizzazione della piattaforma informatica che dovrà consentire il dialogo tra Asl e carceri? «La piattaforma informatica è un falso problema- continua Chilelli - ce ne sono già in abbondanza, l'obiettivo reale è trovare un linguaggio comune che consenta la comunicazione tra i 21 servizi sanitari regionali. Il ministero ci ha dato un obiettivo ambizioso, metterne insieme almeno 10 già nel primo anno. Considerando che la norma sottostante è del 2009 siamo consapevoli della nostra assoluta incoscienza nell'accettare la sfida, ma il cambiamento è possibile e noi ci proveremo».

Far tesoro delle esperienze che già funzionano
Negli ultimi anni sul territorio sono stati testati diversi progetti. «Esistono già tante sperimentazioni che funzionano - sottolinea il direttore di Federsanità Anci - noi non dobbiamo inventare nulla, dovremo, con l'aiuto di tutti, trovare dei processi condivisi e degli standard che consentano di condividere le informazioni tra i diversi livelli di competenza, medici che operano nelle carceri, ospedali di riferimento, Fse regionale e condivisione dei dati in caso di trasferimento del detenuto da una regione ad un'altra. Il progetto prevede di vedere le prime standardizzazioni dopo 12 mesi».

Sullo sfondo c’è anche l’esigenza di «fare molto con poco», con un occhio attento a risparmi e sostenibilità economica, anche se le stime non sono ancora definite. «Purtroppo dati di simulazione non ne abbiamo - spiega Chilelli - ma se usiamo il metro utilizzato negli studi per le cronicità possiamo dire che si potrebbe risparmiare tra il 10 ed il 20% della spesa per le cronicità. Quindi essendo il finanziamento per la medicina penitenziaria già determinato potremmo ipotizzare un risparmio di circa 20 milioni. In realtà, come per il resto del Ssn gli eventuali efficientamenti saranno utili per garantire maggiori e migliori servizi ad una popolazione, quella carceraria, che per eterogeneità ha dei bisogni di salute nettamente superiori a quelli degli altri cittadini. Ciò che invece, un sistema di interscambio efficace di informazioni e l'attivazione di strumenti di teleconsulto, telediagnosi, telerefertazione e telemedicina, possono garantire è un enorme risparmio dei trasferimenti dei detenuti dalle carceri alle strutture sanitarie, quelle che in termine tecnico il Ministero di Giustizia chiama traduzioni».

La diversità del paziente detenuto
Il Protocollo d'Intesa punta a una revisione profonda delle modalità organizzative e operative, basata sulla “digitalizzazione” dei dati sanitari in ambito penitenziario. «È un paziente diverso quello che incontriamo in carcere ed al quale – sottolinea Luciano Lucania, presidente della Società italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria - pur nel rispetto delle norme generali e delle regole dell'istituzione, va data una risposta sanitaria del tutto peculiare, non diversa, ma specifica. Il protocollo siglato da Federsanità Anci va nella direzione di fare dell'attività sanitaria in ambito penitenziario un altro tassello dell'offerta del Servizio Sanitario Nazionale. Ho sempre creduto in questo principio, fondante la riforma, pur in presenza di una medicina penitenziaria che è spesso medicina sociale, delle marginalità, delle problematiche di salute amplificate dalla detenzione, di quel disagio che dalle periferie esistenziali spesso si sposta alle carceri. Non è un contesto facile, né facilmente gratificante. Ma è un contesto di sanità vera, dove sì contano le capacità professionali, ma ancor di più quelle umane».



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