Lavoro e professione

Indagine Cittadinanzattiva-Tdm: «Carenza di tempo e vincoli economici minano aderenza terapeutica e libertà prescrittiva»

di Rosanna Magnano

Quante sono le «mani» sulla libertà prescrittiva «in scienza e coscienza» e quindi sul diritto dei pazienti a ricevere la giusta cura? Forse troppe, se a quasi un medico su due è capitato di prescrivere un trattamento non perfettamente adeguato per motivi di carattere normativo o amministrativo. Se il 44% dei prescrittori decidono tra biologico e biosimilare sulla base del minor costo che ha determinato l’aggiudicamento della gara (20%) o sulla base delle indicazioni regionali (24%). E se a influenzare maggiormente il dottore nella scelta di sostituire farmaci biologici e biosimilari sono il dg dell’azienda sanitaria (42,51%) o la Regione (39,52%). Sono questi alcuni dei dati che emergono dalla «Indagine civica sull'esperienza dei medici in tema di aderenza alle terapie, con focus su farmaci biologici e biosimilari», presentata oggi a Roma e realizzata da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato con il sostegno non condizionato di Assobiotec.

Poco tempo per la relazione con il paziente e troppa burocrazia
A ostacolare un adeguato monitoraggio dell’aderenza terapeutica - fattore indispensabile per il successo della cura - sarebbe la mancanza di tempo, e non solo: quasi un medico su tre ritiene di non aver tempo sufficiente da dedicare ai pazienti per assicurare l'aderenza alle terapie, solo la metà si accerta che il proprio assistito abbia compreso le indicazioni su terapie e percorso di cura e delle sue eventuali difficoltà economiche. Ma più di un camice bianco su tre si dice oberato anche dal carico burocratico, con il 34% dei medici che vorrebbe una riduzione del le scartoffie, a cui va sommato anche l'ulteriore 17%, relativo a carico burocratico correlato alla numerosità dei pazienti. Per un terzo invece non è prioritario informare su alternative terapeutiche o sull'esistenza di farmaci equivalenti o biosimilari.

Tra le proposte per migliorare l'aderenza alle terapie: il counseling e il coinvolgimento dei familiari, il supporto dell'equipe di cura (49%), poi la formazione e l'aggiornamento professionale sanitario a partire dall'Università (circa 42%), un maggiore utilizzo di supporti informativi per pazienti e familiari attraverso opuscoli o tutorial (35%).

Il fattore “tempo” dedicato al paziente influisce molto. Da un lato il 71% dei professionisti lo ritiene sufficiente/adeguato, pochi si attengono a rigide disposizioni (7%), mentre più della metà lo modula in base alle esigenze e bisogni della persona (62%) e dedicando più tempo alle prime visite/cambi terapie (17%). Dall'altro, esiste un buon numero di medici (29%), quasi uno su tre, che invece lo ritiene insufficiente/inadeguato e riscontra difficoltà per carenze di personale e organizzative (29% e 17%).

E a questo proposito la presidente di Fnomceo Roberta Chersevani sottolinea il valore del tempo trascorso dal medico nella relazione con il paziente: «Guai a ridurre il tempo di cura. Non vorrei che il tempo per la diagnosi subisse un tempario come magari altre prestazioni. Il tempo per la diagnosi ci deve essere altrimenti verremmo meno al nostro impegno. La relazione di cura è un argomento di cui parliamo nell'articolo 20 del nostro Codice deontologico: quello stare assieme, quel comunicare e condividere percorsi. Forse su quello si rischia di dover andare un po' di corsa visto i ritmi che ci sono oggi in medicina. Sia per quanto concerne i medici di Medicina generale, che sono veramente oberati da tantissimi accessi dei loro pazienti, sia per i medici specialisti all'interno delle strutture ospedaliere. Vorrei che questo tempo non venisse meno perché è una professione legata proprio allo stare assieme, all'empatia, alle spiegazioni, ai consigli . Quello che noi scriviamo nel nostro Codice e che credo vada sempre ricordato è che il tempo della relazione di cura è già terapia. Guai a ridurre il tempo».

Se i vincoli di bilancio stringono le cure
Il rischio dietro l’angolo è che le esigenze di contenimento della spesa prevalgano sull’interesse del paziente limitando da un lato la libertà di cura dall’altro il diritto alla continuità terapeutica, all’informazione, all’accesso all’innovazione. «La tutela della salute delle persone, l'accesso alle cure più appropriate rispetto alle esigenze cliniche, alle condizioni socio-economiche e al progetto di vita del paziente - Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato e responsabile del Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici, Cittadinanzattiva - non devono essere sacrificate per arrivare al pareggio di bilancio: lo dice anche la recente sentenza della Corte Costituzionale 275/2016 che afferma che è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione. E invece l'indagine mostra che purtroppo in alcune occasioni ciò non accade. E' necessario armonizzare ogni atto amministrativo o normativo nazionale, regionale e aziendale con due aspetti irrinunciabili: il rispetto dei principi che sono alla base della professione medica e quindi il codice deontologico, e quello dei diritti dei cittadini così come sancito dalla Carta Europea dei diritti del malato. Su questi aspetti vogliamo lavorare anche insieme agli Ordini dei medici» .

«Siamo ancora in tempo per invertire la rotta - continua Aceti - perché lo chiedono sia i medici che i pazienti e possiamo farlo subito. Ad esempio prevedendo nella messa a punto degli standard del personale, in via di definizione, la garanzia che il tempo dell'ascolto e della comunicazione siano veri e propri tempi per la cura della persona. E ancora investire di più nella formazione indipendente e di qualità da parte delle Istituzioni pubbliche. Inoltre, visto che siamo in attesa della pubblicazione del nuovo position paper di Aifa sui farmaci biologici e biosimilari, ci aspettiamo che preveda adeguata informazione e condivisione delle scelte con il paziente e gli riconosca un ruolo attivo nel percorso di cura; assicuri trasparenza e accesso a dati ed evidenze cliniche; garantisca continuità terapeutica e attenzione alla qualità della vita» .

Farmaci biologici e biosimilari: la cartina di tornasole della libertà terapeutica
Esigenze di sostenibilità economica e libertà di scelta terapeutica dovrebbero andare il più possibile di pari passo. Ma non sempre accade. E a farne le spese potrebbe essere il paziente. In discussione sono infatti il diritto alla continuità di cura, ovvero la possibilità di proseguire la terapia avviata e quello a un «trattamento personalizzato», con un riconoscimento del pieno valore della professione medica, che «non può essere ridotta - si legge nel Rapporto - a una medicina amministrata». E la sfida della sostenibilità diventa più «estrema» quando si entra nel campo dei farmaci biologici e biosimilari, medicinali innovativi e costosi che consentono di curare molte gravi malattie (tumori, malattie autoimmuni, neurologiche e e degenerative) e che sono sottoposti a specifiche modalità di acquisto finalizzate a un miglior equilibrio dei conti. Nonostante la spending review, come è noto, tra biologici originator e biosimilari non c’è una sostuibilità automatica e le norme confermano che la scelta del trattamento va considerata una «decisione clinica affidata la medico prescrittore». Ma quali sono i limiti di questa «libertà»?

I campanelli d’allarme non mancano. Se è vero che i medici prescrittori hanno dichiarato di avere operato la scelta di cambiare/sostituire una terapia già in corso, in libertà e autonomia (31%) e per rispondere meglio alle esigenze di cura e di successo delle terapie per il paziente (29%), esiste però anche un 19% (quasi un medico su cinque) che dichiara di aver cambiato/sostituito la terapia in essere per rispondere a indicazioni ed esigenze di carattere amministrativo (19%).

Non basta. Il 39% dei medici ha dichiarato di cambiare/sostituire la terapia per ragioni diverse da quelle cliniche, per contribuire alla sostenibilità economica del Servizio Sanitario Nazionale (39%) e per rispettare limiti e obiettivi di budget fissati dall'Azienda ospedaliera o dalla Asl (35%). Il 29% dei medici dichiara di cambiare per indisponibilità del farmaco nella struttura. E solo un 28% di professionisti riferisce di non riscontrare limitazioni e di cambiare una terapia in essere, sostituendo un farmaco biologico con un biosimilare, perché altrettanto efficace e sicuro e quindi intercambiabile. Una «libertà» che vale quindi per meno di un medico su tre.


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