Medicina e ricerca

Epoietine: di marca o biosimilari pari sono. Ecco lo studio “made in Lazio” pubblicato sul Bmj

Uno studio italiano con dati di “real practice” mette a confronto le epoietine di marca con gli analoghi biosimilari per rispondere ai dubbi dei prescrittori e dei pazienti. I risultati forniscono un contributo rilevante a definire le strategie utili a un uso razionale di questi medicinali.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un'intensa discussione sull'opportunità che viene offerta dai biosimilari e sulle modalità più appropriate per il loro utilizzo . Sono sicuri come i biologici ancora coperti da brevetto? Offrono le stesse garanzie di qualità ed efficacia? È possibile che si tratti solo di un modo per far risparmiare chi amministra la spesa dei farmaci (pubblico o privato)?
Convegni, position paper, norme regionali e nazionali si sono susseguiti alimentando il dibattito tra i diversi portatori di interesse. Sta di fatto che fino ad oggi si è cercato di rispondere a queste domande attraverso un approccio di tipo regolatorio (vanno usati perché la norma me lo consente) o economico (è utile utilizzarli perché permettono un importante risparmio garantendo la sostenibilità del sistema). Questo nuovo studio pubblicato in questi giorni sulla versione liberamente accessibile del British Medical Journal (BMJ Open) offre invece un altro approccio al problema andando direttamente al nocciolo del problema [Trotta F, Belleudi V, Fusco D, et al. Comparative effectiveness and safety of erythropoiesis-stimulating agents (biosimilars vs originators) in clinical practice: a population-based cohort study in Italy. BMJ Open 2017;7:e011637. doi:10.1136/bmjopen-2016- 011637 ].
Un gruppo di clinici, metodologi e operatori sanitari e decision maker della Regione Lazio ha posto un quesito scientifico di verifica degli esiti più rilevanti in termini di efficacia del trattamento con epoietine (effetto sulla mortalità e sul numero di trasfusioni) e sulla sicurezza (eventi cardiovascolari maggiori, discrasie ematiche), che è stato approfondito attraverso uno studio specifico utilizzando i dati della pratica clinica. In una coorte di oltre 13mila pazienti reclutati nel setting oncologico o con patologie renali croniche nel corso di tre anni sono stati studiati gli esiti che sono seguiti a sei mesi dalla terapia con epoietine. A questo punto sono stati messi a confronto i rischi di incorrere in uno degli esiti selezionati in entrambe le popolazioni confrontando i pazienti esposti a epoietine di marca verso quelli che hanno utilizzato i biosimilari. Le differenze sono state calcolate utilizzando due diverse metodiche statistiche, entrambi capaci di tener conto di diversi potenziali fattori di confondimento.
I risultati mostrano la sostanziale sovrapponibilità tra le due categorie di farmaci (originators e biosimilari) sia in termini di efficacia (funzionano nella stessa maniera) che di sicurezza.
L'originalità di questo approccio consiste nel aver utilizzato dati di “real world practice” per rispondere a quesiti aperti posti direttamente dal mondo clinico. Il frutto di questi nuovi dati dovrebbe aiutare i decisori a definire le loro strategie sui biosimilari tenendo conto non solo degli aspetti di tipo “regolatorio” o “economico” ma anche di ciò che è stato possibile misurare nella pratica clinica nei pazienti che utilizzano le epoietine, coperte da brevetto o meno.Il lavoro è frutto di un'attività di ricerca condotta dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale (Asl Roma 1), promosso dalla Regione Lazio e condividendo il protocollo di studio con un gruppo di lavoro ufficialmente istituito dalla Regione Lazio, comprendente clinici, esperti metodologi, prescrittori e responsabili dell'amministrazione del settore farmaceutico regionale.


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