Lavoro e professione

Pensare l’oncologia (e i dipartimenti) al femminile

di Luisa Fioretto (direttore Dip. oncologico, SOC Oncologia Medica Firenze, Cipomo)

Quando utilizziamo l'aggettivo “femminile” per declinare una qualsiasi area conoscitiva o professionale, ci si espone a due reazioni ricorrenti: da un lato si considera come acquisito il tema della specificità femminile e quindi ridondante, dall'altro si percepiscono tali riflessioni come in contrasto con la prassi ordinaria e quindi poco rilevanti. In entrambi i casi parrebbe più opportuno tralasciare o evitare tout court il tema del femminile.
Quando si parla di oncologia e in genere di sanità al femminile, è invece necessario sottolineare come la presenza della donna in tali aree, sia un processo ancora non del tutto acquisito e comunque di portata rilevante in termini di sviluppo organizzativo, economico e culturale.
Il sistema sanitario sembra ricalcare in piccolo alcuni principi evolutivi comuni a tutta l'esperienza sociale. Nel mondo due terzi del lavoro ad ogni titolo è svolto da donne o ragazze che ne ricevono in cambio il 5% del reddito globale. Nella sanità italiana il 41% dei medici sono donne, percentuale che sale ad oltre il 60% se consideriamo la fascia di età compresa entro i 30 anni, ma soltanto il 15% è rappresentato da donne primario .
Al contempo l'assunto formulato in secoli e contesti assai diversi che vanno da Giuseppe Mazzini a Simone de Beauvoir, secondo il quale esiste una correlazione positiva diretta tra emancipazione femminile e sviluppo economico, trova solide riprove ed evidenze difficilmente controvertibili. A livello internazionale appaiono lapalissiane le differenze tra paesi “sviluppati” e “in via di sviluppo”. I dati di Italia e Grecia sugli indicatori di emancipazione (es. percentuale di donne in posizioni apicali) confermano quanto esposto.
Cui prodest? Quale il senso di una simile analisi? Una semplice, ridondante e forse irrilevante protesta sociale sulla condizione femminile? O un dato utile a comprendere quali direttrici organizzative possano favorire o ostacolare lo sviluppo della sanità italiana?
All'interno di tale discussione l'oncologia può rappresentare un contesto di estremo interesse per riflettere su come trasformare la sanità italiana in un sistema al contempo adattabile e sostenibile.

Il pianeta cancro coinvolge anno dopo anno una quota sempre maggiore di popolazione e di risorse. Nel corso della vita 1 uomo su 2 ed 1 donna su 3 si confrontano con una diagnosi di cancro, collocando questa patologia come prima voce di spesa del nostro sistema sanitario con costi che oscillano tra 50 e 150 mila euro annui pro-capite, ma con un'aspettativa di vita in costante crescita . Parlare di oncologia significa parlare di complessità e significa perseguire un modello organizzativo in grado di bilanciare la necessità economica di rendere sostenibili i costi, con l'imperativo assistenziale di favorire l'adattamento ad un percorso di cura tanto lungo quanto la stessa aspettativa di vita.
Le caratteristiche che evolutivamente e culturalmente si attribuiscono al mondo femminile offrono in un simile scenario, un vantaggio organizzativo prioritario per la “sopravvivenza” del sistema-oncologia e del sistema sanitario in genere. Da un lato l'articolazione di genere ha favorito negli animali e negli uomini un significativo investimento da parte della componente femminile sulle dimensioni comunicative, relazionali ed educative; dall'altro i cliché culturali hanno promosso nell'ambito femminile un senso di maggiore dipendenza dagli altri sia sul versante personale che su quello sociale.
Quelli che rappresentano “stereotipi” in termini di attribuzione predeterminata ad uno dei due sessi, possono svolgere un ruolo strategico e creativo nella gestione organizzativa, economica e sanitaria dell'oncologia. Per far fronte alla complessità socio-assistenziale delle cure oncologiche, le dimensioni comunicative, relazionali ed educative svolgono un ruolo primario per la gestione e la formazione del personale e per lo sviluppo dei percorsi diagnostico-terapeutici. Tali dimensioni nel contempo, appaiono centrali per la promozione di strategie di adattamento funzionali ed efficienti nei pazienti, nei familiari e nelle comunità di appartenenza. Così come la diagnosi di cancro si riverbera su tutto il tessuto sociale nel quale il paziente è immerso, così la cura coinvolge tutto il sistema sanitario e travalica i confini di un dipartimento o di un reparto oncologico.
Forse dopo lo stereotipo del “sesso debole” o la teoria del “secondo sesso”, è il momento di riprendere il costrutto di un “pensiero debole”, che mutuando la definizione dal filosofo Gianni Vattimo, ponga al centro dell'oncologia e della sanità l'uomo nella sua specificità e nelle sue personali interpretazioni di adattamento alla malattia. Una medicina efficace e sostenibile è quella in grado di offrire percorsi assistenziali appropriati, e nel contempo una medicina che si cali nell'esperienza delle persone, che sia disponibile ad una negoziazione e non scelga a priori cosa sia giusto o sbagliato.
La presenza di 16 colleghe donne su un totale di 25 colleghi selezionati per il recente Corso Omft di Sda Bocconi e Cipomo, indirizzato alla formazione dei futuri Primari, può rappresentare un piccolo passo verso delle trasformazioni, rispetto alle quali non possiamo più permetterci di distogliere lo sguardo.


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