Lavoro e professione

Epatite C, piano di eradicazione al ralenti. EpaC: «Regioni in stallo. Manca una cabina di regia, opacità sull’import di generici»

di Rosanna Magnano

A due mesi e mezzo dalla determina dell’Aifa sugli 11 nuovi criteri per il trattamento dell’Epatite C - che ha di fatto predisposto l’accesso universale alle terapie di tutti i malati e non solo dei più gravi - la tabella di marcia dell’arruolamento dei pazienti viaggia ancora al ralenti. Nel periodo tra gennaio e maggio di quest’anno sono stati trattati 12.260 pazienti, 4.128 in meno rispetto allo stesso periodo del 2016. Il punto è stato fatto questa mattina al Convegno «Hcv Regione Lazio: clinici, pazienti ed istituzioni a confronto», realizzato grazie al contributo incondizionato di AbbVie.

Se il ritmo dovesse restare questo, il programma di eradicazione immaginato dall’Aifa, che prevede il trattamento di 240mila pazienti in tre anni (ovvero 80mila l’anno) avrebbe bisogno di altri tre anni. Insomma per centrare l’obiettivo, la velocità dei motori andrebbe raddoppiata. «Da marzo in poi abbiamo registrato un incremento nella presa in carico dei pazienti del 25% - spiega Ivan Gardini presidente di EpaC onlus - ma il problema è che il piano di eradicazione Aifa prevede un incremento del 166% rispetto alla terapie avviate nel 2016».

I punti deboli del sistema
Eppure i tasselli del puzzle sembrano apparentemente tutti al loro posto. L’Aifa ha ampliato il ventaglio dei criteri e la platea dei pazienti, il fondo ad hoc di 500 mln l’anno per i farmaci innovativi previsto dalla legge di bilancio 2017 c’è ed è considerato extra-tetto rispetto ai limiti di spesa per la farmaceutica ospedaliera, quindi fattore neutro anche sul capitolo payback; un finanziamento importante che dovrà essere speso anche con una certa (non definita) sollecitudine dal momento che, secondo quanto previsto dalla «manovrina», le risorse non utilizzate rientreranno nella disponibilità del Fondo sanitario nazionale. Infine dopo una lunga fase di contrattazione i farmaci sono ormai disponibili a prezzi sostenibili (il costo della terapia oggi si aggira intorno ai 6-8mila euro). Che cosa c’è che non va?

«Il pallino è nelle mani delle Regioni - continua Gardini - ma a parte alcune eccezioni positive, come Emilia Romagna e Lazio, siamo in fase di stallo. C’è uno scollamento tra ministero della Salute e Regioni, non c’è una cabina di regia e all’interno della Conferenza Stato-Regioni nessuno si occupa del problema». Il grande assente, secondo l’associazione dei pazienti EpaC, è un adeguato Percorso diagnostico terapeutico (Pdta) che faccia chiarezza sulla capacity attuale dei centri autorizzati a erogare le cure, sugli obiettivi annuali di performance di reclutamento per ogni singolo reparto prescrittore e che preveda una data di inizio terapia da comunicare al paziente alla visita di controllo. «È necessario riorganizzare e ampliare le reti di cura a livello regionale. Vuol dire che serve personale aggiuntivo, reti Hub&Spoke che includano anche le carceri, i Sert e il coinvolgimento dei medici di famiglia se vogliamo curare fin all'ultimo paziente, bene e velocemente. E soprattutto fare chiarezza sui centri non autorizzati, che in certi casi arruolano più pazienti delle strutture preposte, forse con l’obiettivo di entrare a far parte della rete».

Le cure «parallele» dei medici non autorizzati
Ed EpaC segnala un altro inquietante cono d’ombra. «C’è un ruolo poco chiaro dei medici non autorizzati. Da un lato il declassamento in fascia C di Sovaldi e Harvoni lascia alcuni pazienti scoperti da trattamenti ottimali e dall’altro le incertezze sulla tempistica della presa in carico insieme con la possibilità prevista dalla circolare ministeriale che a determinate condizioni autorizza l’import per uso personale di farmaci dall’estero, consente di fatto a medici non autorizzati di dirottare i pazienti dal percorso di cura nei centri autorizzati per spingerli all’acquisto del generico di tasca propria, magari con un’agenzia che li consegna pure a domicilio direttamente dall’India. Tutti pazienti che sfuggono a qualunque monitoraggio e sono maggiormente esposti al rischio di reazioni avverse. Questa è un’ambiguità che non si può tollerare. Delle due l’una: o i medici non autorizzati vengono autorizzati a prescrivere, oppure si obbligano in qualche modo per legge a inviare i loro pazienti ai centri autorizzati, con delle penalità se non complianti».

Lo strumento del Piano nazionale Epatiti
Una svolta a livello centrale potrebbe arrivare dall’aggiornamento in corso del Piano nazionale Epatiti. «Stiamo lavorando con il ministero a una revisione del piano varato nel novembre 2015 - spiega Antonio Gasbarrini professore di Gastroenterologia, Università Cattolica del Sacro Cuore - che non è mai stato attuato. Il lavoro dovrebbe terminare a dicembre, ma non è escluso che ci sia un’accelerazione. L’ampliamento della platea dei pazienti a quelli meno gravi e asintomatici richiede infatti un piano di case finding. C’è un problema epidemiologico, di quasi totale mancanza di dati, a parte quelli sui pazienti presi in carico dai centri autorizzati. Bisogna valutare il grado di conoscenza del problema e prevedere un’ampia campagna di screening, focalizzandosi sulle categorie a rischio. Infine va trovata una soluzione sull’intercettazione dei pazienti. I Mmg potrebbero essere obbligati a segnalare il paziente affetto da Hcv. In alternativa si potrebbe prevedere la prescrivibilità per tutti i medici. Ma si perderebbe in qualità delle cure. Anche perché la rete di centri di eccellenza autorizzati ha raggiunto livelli di performance superiori a quelli degli studi di registrazione». Il problema insomma è di natura organizzativa e politica. «A seguito della decisione dell'Aifa - conclude Gasbarrini - perché il piano di eradicazione Hcv abbia efficacia, sarà necessaria una forte spinta politica in ogni singola Regione. Altrimenti l'obiettivo dell'eradicazione sarà molto difficile da raggiungere».

Il caso Lazio
Una «caccia» benefica al paziente che la Regione Lazio sta già preparando. «Il presidente Zingaretti fin dall’arrivo delle nuove terapie - spiega Maria Teresa Petrangolini, VII Commissione Sanità del Consiglio regionale e coordinatrice dell’Osservatorio Epatite C Lazio - ha deciso di assumere l’eradicazione dell’infezione come una priorità. Sono stati potenziati i centri, è prevista una grande campagna di informazione a partire da settembre e a breve partirà un corso di formazione a Tor Vergata per gli operatori delle unità di strada con l’obiettivo di avviare gli screening nelle fasce a rischio».

«Il Lazio ha lavorato per un’attivazione precoce del piano - spiega Saverio Mennini research director Eehta Ceis Tor Vergata e membro del tavolo tecnico regionale sull’Epatite C - con la centralizzazione degli acquisti e l’individuazione dei centri e si adopererà per garantire criteri di accesso uniformi in tutto il territorio regionale. Al giugno 2017 sono stati avviati a trattamento 6.228 pazienti e al netto di pay back, rimborso delle confezioni eccedenti e del fondo innovativi, la Regione ha speso 33,5 mln di euro».


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