Lavoro e professione

Onco-ematologia, chi sopravvive ha diritto di lavorare

di Felice Bombaci (responsabile Gruppo Ail Pazienti Lmc)

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La ricerca onco-ematologica ha fatto registrare importanti traguardi diagnostico-terapeutici, come la precision medicine, con ciò determinando la cronicizzazione delle malattie oncologiche. Per questo è in crescita il numero delle persone in età ancora giovane che convivono con una diagnosi di tumore. Il ritorno all’attività lavorativa rappresenta per i malati un desiderio oltre che un legittimo e naturale bisogno. Il lavoro, infatti, facilita la guarigione e fa parte dello stesso percorso di cura.

Solo una riabilitazione adeguata può consentire il pieno recupero post tumore. Ma il Ssn non prevede nei Lea la riabilitazione oncologica, concettualmente diversa da quella prevista per esempio per il recupero della funzionalità a seguito di rottura di un arto, in sintesi una riabilitazione psicofisica mirata a superare gli effetti, alle volte devastanti, dei trattamenti chirurgici e farmacologici. Un ulteriore ostacolo al ritorno alla vita lavorativa dei “sopravvissuti” con non lievi ripercussioni sul reddito delle famiglie dei malati e con permanere di evitabili condizioni di invalidità e di costi salati a carico della collettività. Basti pensare a tutti quei lavoratori per i quali non sono previste forme di tutela sociale come nel caso dei lavoratori autonomi che spesso sono costretti a scegliere fra le cure e il lavoro.

Dall’altro canto, non è raro vedere che i malati dichiarati “guariti” dal punto di vista clinico, debbano ingaggiare una nuova battaglia per tornare alla quotidianità di prima, per riprendere le attività sospese o interrotte a causa della malattia e sentirsi pienamente parte del tessuto produttivo della società. Problematiche psicologiche, burocratiche e culturali sono le barriere che si frappongono al ritorno del malato alla normalità. Numerose i casi di persone “guarite” da un tumore che si vedono negare l’accesso al mutuo, che ricevono il rifiuto alla stipula di una polizza assicurativa, a cui non viene rinnovata la patente di guida, che non sono inseriti nelle liste di attesa per un trapianto d’organo o che non vengono reintegrati nei ruoli attivi dell’azienda.

I pazienti, i medici e le autorità del nostro Paese devono mettere in atto un confronto che dia luogo alla risoluzione concreta di questa anomalia, retaggio di un passato in cui la diagnosi di un tumore corrispondeva a una sentenza di morte. I decisori devono rispondere al bisogno di reingresso nella società delle persone guarite, al loro diritto di essere pienamente reintegrati ed evitare discriminazione. È necessario mettere in atto tutte le azioni possibili per superare lo stigma, avviare una battaglia politica, sia in Italia che in Europa, per eliminare i pregiudizi e gli ostacoli che impediscono alle persone guarite di riappropriarsi dei propri diritti socio sanitari ed economici, come l’accesso al mutuo o la stipula di assicurazioni sanitarie


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