Lavoro e professione

«Atto d’indirizzo inadeguato che copre le aggressioni regionali»

di Pina Onotri (segretario generale Sindacato dei medici italiani)

Un autunno caldo? Ci sono tutti i presupposti! La richiesta di una modifica del vecchio atto di indirizzo della convenzionata è stata unanime, ma non è bastata, perché questa è stata frustrata da una nuova bozza che è deludente sia sul piano delle risorse sia per la parte normativa.
Gli incrementi economici sono inadeguati, anche perché si viene da un blocco di quasi 10 anni, ma soprattutto sono incerti, mentre dall’altro lato con pervicacia si insiste nell’aumento della burocratizzazione della professione con la previsione di sempre più compiti impiegatizi e amministrativi che poco hanno a che vedere con il lavoro medico e con la presa in carico del cittadino.
Ancora meno convince l’assenza di una visione strategica rispetto al nuovo piano sulla cronicità e alla sempre irrisolta necessità di aggiornare i Lea.
Ma se tutto ciò non bastasse, dopo gli annunci agostani di nuovo il nulla, l’ennesimo rallentamento della trattativa che non è di certo di buon auspicio per il futuro. Anche perché mentre a Roma la situazione è di stallo, nella “periferia” si fa carta straccia del vigente Acn, degli accordi decentrati, dell’essenza stessa dei servizi sanitari sul territorio. In qualche modo l’ultima versione dell’Atto di indirizzo, nella quale è assente anche la specialistica, sembra quasi infatti voler dare copertura a tutte le fughe in avanti delle Regioni, a vere e proprie aggressioni politiche ai medici, nella riorganizzazione del 118 o per la guardia medica, dopo il tentativo di introdurre la famigerata H16.
Si dimostrano così tutti i limiti di un regionalismo confuso e pasticcione da tempo stigmatizzato dallo Smi.
Solo alcuni esempi: in Sicilia, l’Asp di Catania, unica in tutta Italia, diversi mesi fa, con un poco invidiabile primato, ha contestato prescrizioni a oltre il 90% dei medici. Una vicenda ridicola e non ancora conclusa.
In Basilicata, interpretando con una fantasia che meriterebbe ben altri obiettivi, una indagine della procura della Corte dei conti, forse nel timore di essere chiamati in causa per chissà quali responsabilità personali, sono state tagliate le indennità di guardia medica, previste nella convenzione e regolarmente erogate in tutt’Italia da oltre trent’anni. Sulla stessa linea l’Abruzzo, suscitando così gli inevitabili ricorsi giurisdizionali già annunciati.
In Sicilia si riorganizza il 118 al ribasso, riducendo le postazioni e le ambulanze medicalizzate, mentre si chiudono ospedali e pronto soccorso (nessuno nota la contraddizione), si marginalizzano i medici formati dell’emergenza, si prevede un massiccio ricorso al precariato, si trasforma una area strategica in un tappabuchi gigantesco delle falle della sanità regionale. Ma ricordiamo che proprio l’atto di indirizzo tace sui medici del 118, figli di un dio minore!
La Lombardia ha già previsto di appaltare le cure dei cronici a private forme di assistenza, marginalizzando il ruolo dei medici di medicina generale, che invece vorrebbe essere rilanciato, a parole, dalla nuova bozza (non era presente l’assessore della Lombardia Garavaglia al comitato di settore?)
In Veneto, anni di avanguardia della medicina territoriale, pur tra luci ed ombre, vengono messi in soffitta, mentre il piano nazionale delle cronicità sarà chiaramente in contraddizione, viste le premesse, con la futura convenzione proprio sulla presa in carico dei pazienti cronici, che allo stato appare un mero adempimento burocratico, priva com’è di supporti organizzativi di rete adeguati.
Nord e sud, accomunati dalla proclamazione di stati di agitazione, Sicilia e Abruzzo, e scioperi, Veneto e Basilicata, e piovono anche i ricorsi ai tribunali.
Un scenario che dovrebbe vedere anche una iniziativa complessivamente unitaria dei sindacati, dopo molti anni, non solo in sede regionale, ma anche sul piano nazionale. Ma manca un ragionamento complessivo, sistemico, non solo di opposizione.
La prospettiva, in assenza di cambiamenti da parte del Governo Gentiloni e del ministro Lorenzin, può essere quella di un autunno caldo con una forte e massiccia mobilitazione unitaria dei medici. Serve un “risorgimento” di idee, proposte, e di battaglia, una vera e propria rivoluzione copernicana, non soluzioni estemporanee: la sanità italiana deve essere considerata come una grande opera pubblica, un investimento produttivo, un asset per il rilancio del Paese, sul quale puntare, non facendo elemosina. Così il rinnovo di contratti e convenzioni rischia di restare solo un passaggio formale, burocratico, un altro momento di sconfitta e frustrazione per i medici e un’altra occasione persa per modernizzare la sanità pubblica.
Scongiurare tutto ciò deve essere l’obiettivo dei sindacati, capaci di rinnovarsi, ma soprattutto questa la vera sfida da lanciare a tutto l’arco parlamentare.


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