Lavoro e professione

Nuovo contratto, comparto in cerca di certezze

di Stefano Simonetti

L'Atto di indirizzo per il personale dei livelli è stato diramato in via definitiva e ha reso possibile il 12 settembre scorso l'apertura ufficiale della trattativa per il Comparto della Sanità. La versione finale dell'Atto di indirizzo è alquanto diversa rispetto a quelle precedenti. Infatti la direttiva tiene conto dei più recenti interventi normativi cioè i decreti delegati 74 e 75 del giugno scorso nonché della direttiva generale della Ministra Madia del 6 luglio 2017. Peraltro è abbastanza singolare che quando si parla delle “profonde modifiche intervenute nell'impianto organizzatorio” non si faccia alcun cenno agli accorpamenti avvenuti negli ultimi anni. Nella maggioranza delle Regioni, non esistono più le realtà territoriali presenti nel 2010 e questo è un elemento fondamentale per definire clausole contrattuali adeguate. Il documento si è arricchito anche della scheda economica che ripartisce le scarse risorse disponibili nel corso dei tre anni di vigenza contrattuale. Invece non troviamo più amenità tipo l'uscita delle posizioni organizzative dal fondo, la previsione dell'operatore senior e un bizzarro riferimento alla estraneità della filiera tecnico-amministrativa al contesto sanitario. Va segnalato, in ogni caso, che nel testo definitivo non sembrano superate molte delle forti perplessità manifestate dal MEF con la nota dell'1.8.2016.

Il documento del Comitato di Settore, peraltro, è ancora abbastanza vago e contiene tutta una serie di impalpabili affermazioni quali “strumento funzionale per l'attuazione del Patto per la Salute”, “motivazione del professionista”, “chiarezza del quadro delle responsabilità”, “architettura dell'organizzazione”. Viene ribadita la necessità del superamento della suddivisione del personale in quattro ruoli, giudicata “desueta …. e non più aderente”. Non si auspica più un intervento legislativo ad hoc ma la questione andrebbe affrontata perché per l'applicazione sul campo potrebbe generarsi una certa confusione tra ruoli ed aree. Il superamento diretto da parte del contratto collettivo dei ruoli dovrebbe trovare un ostacolo nella specifica disposizione dell'art. 2, comma 1, lettera c), punto 5 della legge 421/1992.
Riguardo alla decorrenza del triennio della tornata contrattuale è dato per scontato che sia 2016-2018 ma sono del tutto convinto che si doveva partire dal 30 luglio 2015, data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale. In tal senso si sono tra l'altro pronunciati il Giudice del lavoro di Parma (n. 114 del 17.3.2016), i Giudici del Lavoro di Gela, di Vercelli e altri sei.

Preliminarmente è necessario segnalare lo sforzo fatto dal Comitato di Settore per minimizzare la parte economica rispetto a quella professionale e organizzativa. Sarà tutta la verificare l'effettiva praticabilità dell'assetto prospettato con le quattro nuove aree e i nuovi profili. In tema di scarsità di risorse, si tenta di reperire risorse extra contrattuali ricorrendo al dividendo dell'efficienza di brunettiana memoria. Peraltro questo percorso è già praticabile da sei anni ma è maledettamente difficile da attuale.
L'Atto di indirizzo rinvia alla direttiva Madia tutte le questioni da essa toccate ma lo fa in modo distaccato e acritico mentre per molti degli aspetti sarebbe stato necessario fornire all'ARAN puntuali indicazioni. In via esplicita vengono richiamate la formazione e l'aggiornamento, le assenze per visite e simili per dare applicazione all'art. 55-septies, comma 5-ter, sospeso dopo la nota sentenza del TAR Lazio, la durata delle sessioni negoziali, il lavoro a tempo determinato, i problemi dell'ARPA, il part-time. Infine, si tratta della individuazione delle deroghe alla normativa su orari e riposi. Quest'ultima questione poteva essere trattata fin dal 4 novembre 2015 (data dell'Atto di indirizzo specifico) ma situazioni contingenti non hanno finora consentito neanche l'inizio della discussione. Tuttavia le indicazioni di cui sopra sono una mera elencazione senza alcuna prescrizione. Non c'è una sola parola sui permessi della legge 104 né sulla irrisolta questione delle inidoneità temporanee del personale sanitario.

Saranno individuati nuovi profili ma non c'è traccia di come saranno effettivamente finanziati i relativi posti. A tale proposito, visto che il nuovo modello non dovrà “comportare in nessun caso incrementi di costo”, si spera che non si risolva la questione con la classica frase “gli oneri sono a totale carico delle aziende”, tante volte utilizzata in passato con effetti decisamente contrastanti. Tale nuovo modello funzionale prevede l'evoluzione dell'OSS attraverso l'istituzione dell'area delle professioni socio-sanitarie fino al professionista specialista che si dovrebbe affiancare al professionista esperto. E' del tutto evidente che queste previsioni sono funzionali ai modelli organizzativi richiamati nella premessa del documento, ma questa strategia contrattuale potrebbe non essere compresa appieno dalla massa dei lavoratori. Altro rischio insito nel modello è quello di ingessare l'organizzazione creando profili infungibili tra di loro: in una situazione di cronica carenza organica la rigidità nell'utilizzazione delle risorse umane non appare il modo migliore per governare le aziende.
Gli incarichi saranno alquanto rivisitati e potrebbero portare all'unificazione di quelli pregressi. Molte perplessità induce la previsione di un Fondo unico, soprattutto per le modalità di gestione. Sulle modalità di finanziamento degli istituti contrattuali e la necessità di una loro armonizzazione su scala nazionale (penultimo capoverso del paragrafo sui fondi contrattuali), andava detto in modo esplicito che si tratta dell'annosa questione della vecchia indennità infermieristica e della sopravvivenza dell'art. 40 del contratto del 1999..
Per ciò che concerne le relazioni sindacali si riscontra una certa contraddizione quando da un lato di richiamano concetti generici come “condivisione, consenso, contributo” ma dall'altro si ricorda la tassativa esclusione delle materie di organizzazione del lavoro dalla contrattazione. Un aspetto estremamente delicato è senz'altro quello della “integrazione multidisciplinare delle professioni sanitarie” che deve essere perseguita per valorizzare le risorse umane. Il problema è che tutto quello che verrà scritto nel contratto dei livelli dovrà necessariamente avere una speculare previsione anche nel contratto della dirigenza sanitaria, altrimenti resterà una mera affermazione unilaterale foriera di problemi e polemiche. In tal senso è ancora vivo il ricordo del fallimento del “comma 566” così come è nota la copiosa giurisprudenza che si è formata in tema di rapporti tra professioni.
I punti di forza che possono rilevarsi dall'Atto di indirizzo riguardano senz'altro l'esigenza della certezza attuativa e il concetto di “adempimento contrattuale tra le parti”. Finalmente si prende atto della possibilità di passaggi all'interno delle categorie (per intenderci da B a Bs e da D a Ds), operazione che fin dal 2010 personalmente ritenevo del tutto fattibile, ovviamente a certe condizioni.

Interessante il welfare contrattuale e la conciliazione vita/lavoro. Peraltro il vincolo del costo zero – o, in ogni caso, in detrazione agli oneri contrattuali - fa presumere che le due materie troveranno poco spazio nei contratti collettivi di categoria. Sulla previdenza complementare non mi sento di dire molto perché è stata introdotta da più di dieci anni ma non decolla affatto. Gli stessi numeri riportati nella direttiva-madre (ha aderito soltanto il 5,58 % dei dipendenti potenzialmente interessati) dimostra quanto poco interessi la questione dei Fondi pensione.
Mancano completamente molti aspetti che attendono da anni una definizione contrattuale. Mi riferisco alla definizione di accessorio (art. 71, comma 1 della legge 133/2008), al contingentamento di tutte le tipologie di permessi su base oraria (art. 71, comma 4 della legge 133/2008), alla fruizione dei periodi di congedo parentale su base oraria (art. 1, comma 399, lettera a) della legge 228/2012), alla riacquisizione del profilo pregresso per il personale in esubero declassato (art. 5, c. 1, lett. B) della legge 114/2014) e, infine, alla cessione di ferie e riposi (art. 25 d.lgs. 151/2015).

Poiché sette anni di blocco della contrattazione sono stati lunghi e si è formata parecchia giurisprudenza non del tutto conforme, sarebbe poi necessario puntualizzare la volontà delle parti negoziali in merito ad alcune problematiche fonte di continue polemiche e vertenze: l'obbligatorietà della concessione dell'aspettativa, la monetizzazione delle ferie dopo il divieto legislativo, le modalità di accesso alla mensa, il cosiddetto “tempo tuta”, i rimborsi per le trasferte. E già che ci siamo sarebbe quanto mai opportuno dire qualcosa sulla durata massima del contratto a tempo determinato per il personale sanitario e sui limiti della deroga “Balduzzi”, a cominciare dalla stessa definizione di “personale sanitario”. Inoltre, nei contratti dei passati venti anni sono presenti decine di clausole che necessitano urgentemente di interventi di manutenzione.

In conclusione, l'Atto di indirizzo è fortemente condizionato dalla scarsità delle risorse finanziarie disponibili per cui punta maggiormente sui nuovi assetti professionali e organizzativi i quali, peraltro, sono ancora molto indefiniti. Sembra inoltre che sia più interessato a depistare i veri problemi che a mettere mano a questioni annose che continueranno a generare conflitti e contenzioso.


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