Lavoro e professione

Scotti (Fimmg): «Medicina generale a tutta performance»

di Barbara Gobbi

Esclusiva. Il contratto, certamente, con la revisione normativa ed economica, da condurre in porto se possibile entro l’anno, al più tardi entro fine Legislatura. Ma anche un nuovo perimetro, da ridisegnare insieme a istituzioni e stakeholder, dentro il quale la Medicina generale va ricollocata se davvero si vuole vincere la doppia sfida del secolo: cronicità e costi. Il segretario della Fimmg Silvestro Scotti, padrone di casa al 74° Congresso nazionale di Domus De Maria (Cagliari) dal 2 al 7 ottobre, traccia la rotta a breve-medio termine della professione.

“D alla prestazione alla performance”: il titolo del Congresso riassume la filosofia del suo mandato?
Esattamente. Ed è una provocazione a tutto il sistema. È chiaro che la performance non si può misurare su un’unica area professionale, ma è la sfida che la medicina generale lancia al sistema sanitario nel suo complesso.

Quanto, a suo avviso, i tempi sono maturi?
Sicuramente il sistema ha bisogno degli strumenti contrattuali dei professionisti. C’è una coincidenza di rinnovo che riguarda un po’ tutti. E c’è un indirizzo della nuova normativa sul pubblico impiegom che non può essere ignorata: avendo sottolineato la necessità che i contratti incidano, anche sul piano della capacità retributiva, su livelli meritocratici, è chiaro che tutto il sistema deve tendere a quella valorizzazione.

È un problema solo di risorse o anche di capacità di programmare o attuare percorsi nuovi?
Il problema è cominciare a uscire fuori da dinamiche di silos contrattuali - di appartenenze specialistiche o generaliste - e iniziare a parlare di modelli di assistenza per il cittadino che siano valutati sugli outcome e non sugli output. Vanno messi a bilancio i risultati di salute: è l’unico modo, anche, di portare dentro il sistema una valorizzazione delle azioni di prevenzione, che oggi sono poco valorizzate e “contabilizzate”.

Ma esistono indicatori validi per misurare una presa in carico complessa e quindi remunerarla adeguatamente?
Il Dm 70 già prevede che i Dg possano essere commissariati, se non vengono centrati gli obiettivi previsti sugli indicatori, prima ospedalieri e poi di integrazione ospedale-territorio. In ogni caso, esistono sistemi di valutazione di audit per i medici, che sono le basi su cui i professionisti avranno la necessità di cominciare a confrontarsi. Il punto è che ora serve lo strumento contrattuale per rendere tutto ciò un obiettivo. Il tema è “come si ricompensa adeguatamente un lavoratore”: nella medicina convenzionata significa attribuirgli un riconoscimento economico ma anche sociale, importante perché strettamente connesso alla scelta che il cittadino fa del proprio medico di famiglia. Abbiamo gli strumenti che permettono di valutare la medicina generale, ad esempo il Chronic care model. Abbiamo fin troppi dati, che però vanno uniformati e messi a sistema e hanno bisogno della valorizzazione professionale della medicina generale.

In tutto ciò, si paventano scenari di desertificazione della medicina generale...
Senz’altro scontiamo un difetto di programmazione, ma abbiamo oggi la possibilità di riqualificare, in termini numerici, il numero di assistiti per Mmg. Ogni medico potrebbe avere ben più pazienti, ottenendo una remunerazione maggiore, purché migliori i percorsi organizzativi nell’ambito della nuova cornice contrattuale. La sfida è riuscire a far crescere il modello organizzativo individuale: sulla base di una logistica del Paese piuttosto diversificata, quando si realizzi la necessità di una complessità assistenziale maggiore, il medico può entrare con la sua organizzazione all’interno delle strutture complesse. Il risultato è offrire un accompagnamento al paziente più significativo, ma sempre mantenendo l’offerta sulla sede periferica, dove il cittadino si è abituato a trovare il suo Mmg.

A questo punto l’allerta borse di studio per la Mg è un falso problema?
In questo momento non basterebbe raddoppiare le borse di studio, per risolvere il problema: in 5 anni 25mila medici andranno in pensione; poiché se ne producono 800 l’anno, ci vorrebbero 30 anni, in teoria, per rimpiazzare quanti escono. Impossibile. Serve una combinazione di soluzioni: è sicuramente necessario aumentare le borse di studio, ma la ri-programmazione dev’essere in sintonia con il modello che auspichiamo si affermi con la nuova Convenzione.

Al congresso ospiterete una serie di interlocutori-chiave. Partiamo dalla ministra della Salute Lorenzin: cosa chiederle?
Le chiediamo di rappresentare una dinamica proattiva al tavolo del Governo, rispetto alla prossima manovra finanziaria. Seppure pare non ci si possano aspettare aumenti del Fsn, ci attendiamo una defiscalizzazione delle quote variabili per obiettivi, collegate alle performance. Con un minimo investimento delle Regioni, la nostra categoria avrebbe un massimo vantaggio reddituale. La seconda aspettativa è che in legge di Bilancio sia attivata la defiscalizzazione, per i primi anni dell’avviamento al lavoro, delle figure professionali di cui ha bisogno la Medicina generale. Che, voglio ricordarlo, produce Pil sia in termini di occupazione che di tecnologia.

Cosa vi aspettate dall’industria farmaceutica?
L’industria è indubbiamente a un bivio, a livello non solo nazionale ma mondiale. In ambito Onu si sta discutendo su quanto la pur giustificata ricerca farmaceutica in termini di investimento, sia poi compatibile con l’accesso alle cure della popolazione mondiale. Comincia a essere necessario introdurre delle regolazioni etiche, senza che ciò si traduca in una riduzione della ricerca. Grande rispetto per le dinamiche di investimento che le aziende fanno, ma è chiaro che vanno individuati meccanismi tali da consentire l’accesso alle cure oltre i meri paletti dei costi. Il rischio oggi, invece, è che i costi facciano saltare i sistemi pubblici - in primis l’Italia e il Giappone - e che li facciano transitare verso la privatizzazione. Non mi riferisco solo ai farmaci per l’epatite C, ma anche alle terapie per le malattie croniche, ad esempio agli oncologici. Alle imprese chiediamo se la loro posizione è di complicità con quella della Medicina generale, di interesse al mantenimento di un’area di cura pubblica, e con quali equilibri. Altrimenti rischiamo di avere un accesso alle cure limitato al reddito.

Cosa chiedete ad Aifa?
Il discorso di fondo è che i meccanismi regolatori in Italia comincino a mediare tra gli obiettivi assistenziali e quelli economici. L’offerta di accesso alle cure non si può regolare soltanto sul piano economico. L’evoluzione del fascicolo sanitario e delle nuove dinamiche di accordi collettivi nazionali attraverso le performance, devono poter consentire l’impiego di farmaci a prescindere dal prezzo, anche alla luce dell’evoluzione degli stessi costi. Chiediamo che ci venga consentito di attingere a un panel terapeutico più ampio, rispetto all’attuale, oggi ridotto. È chiaro che anche sul tavolo dell’Agenzia del farmaco devono diventare rilevanti le performance di outcome, anche per arrivare a quella personalizzazione di cura che la Mg è in grado di realizzare e che, a livello mondiale, è una delle soluzioni più accreditate.

Cosa vi aspettate dalle Regioni?
Le Regioni stanno superando la dinamica, seguita in passato, di contrasto tra i modelli che ciascuna metteva in campo. Ora si ragiona su un “minimum data set” nazionale, che guardi alla performance prima che al singolo modello organizzativo. La stessa evoluzione della legge 165 rispetto al rapporto tra Acn e integrativi regionali, definisce una prevalenza dell’accordo nazionale. Sarebbe incongruente che la “medicina di base”, più di quella specialistica, dovesse conoscere la massima differenziazione regionale.

Il Mmg e il rischio clinico: svolgimento...
Questo è il tema rilevante, su cui costruire anche il rapporto positivo dei medici rispetto alle performance. Domani, infatti, ragionare sulle performance potrà avere un valore di protezione rispetto al rischio clinico. Se mi abituo ad seguire percorsi che vengono misurati e monitorati periodicamente, riduco il mio rischio rispetto al paziente, metto in sicurezza la mia attività.

Come si declinerebbe il risk nell’ambito delle strutture territoriali complesse previste dall’Acn?
È chiaro che va fatta una valutazione su come, in termini di complessità di rischio clinico, le Regioni pensano di risolvere il problema nella loro richiesta di complessità organizzativa. Se si pensa a una serie di medici operanti all’interno di una struttura, il meccanismo relazionale e la complessità nel passaggio di informazioni che ne derivano possono comportare un aumento del rischio. Per questo, sono convinto che il decreto attuativo della legge Gelli per l’area convenzionata della medicina generale, è lo stesso Acn. Non ne esiste un altro. In regime di autonomia organizzativa, starà al Mmg dare all’azienda le garanzie sulle procedure, sui meccanismi messi in atto e che consentano all’azienda stessa, nel nuovo ambito della responsabilità extracontrattuale, di sentirsi tranquilla. Vanno chiariti, nell’accordo, i compiti contrattuali e quelli extracontrattuali. Su questi ultimi, va detto chiaramente a chi spetta gestire il rischio clinico.

Ha un altro anno di mandato... Si ricandiderà?
Ciò che conta non è ricandidarsi, ma che sia il tuo sindacato a scegliere di farlo, a proporre il tuo nome sulla base dell’impegno che hai profuso.

Tra un anno lo avremo, il nuovo contratto?
Io spero per la primavera prossima. Sennò, la vedo difficile. Se poi fosse entro il 2017, realizzerei il mio sogno di dare una risposta ai giovani: pochi riflettono sul fatto che, se non cambio i meccanismi di accesso, a gennaio le nuove domande dovrebbero seguire i meccanismi del vecchio contratto.


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