Lavoro e professione

Legge di bilancio, Intersindacale medica: «Cure pubbliche a rischio e contratti appesi a un filo». Camici bianchi pronti allo sciopero

di Rosanna Magnano

L’intersindacale medica e sanitaria deciderà il 14 novembre se e come proclamare lo stato di agitazione della categoria fissando eventualmente alcune giornate di sciopero contro il definanziamento del Ssn e la «lacerante disaffezione dal suo capitale strategico, i professionisti che prestano il lavoro» sottoposti al ricatto-risorse, che mette di fatto a rischio i rinnovi contrattuali dopo otto anni di blocco. L’atto di indirizzo per la dirigenza è stato infatti varato, secondo l’intersindacale, con colpevole ritardo, a sei mesi dall'atto di indirizzo “madre” del Governo per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego e dopo tre mesi da quello per il comparto, con tavoli già avviati con la medicina convenzionata. E con i medici dipendenti nello scomodo ruolo di pallina da ping pong tra Governo e Regioni. «Nessuno ricorda più che il contratto è fermo da otto anni per decisione di vari Governi - si legge in una nota - che gli oneri relativi devono, per legge, essere accantonati per tempo dalle Regioni, che, in questi anni, si è risparmiato solo sul personale, che ha pagato sulla propria pelle i piani di rientro e il definanziamento del sistema, attraverso il peggioramento delle condizioni di lavoro e l'erosione sistematica dei fondi della contrattazione decentrata».

L'atto di indirizzo per la dirigenza rischia, quindi, «di non essere uno strumento concreto per il tavolo contrattuale, se non riconosce le risorse annualmente rese disponibili dal personale cessato dal servizio, come fa la direttiva ”madre”, e non procede ad una individuazione della massa salariale di riferimento comprensiva della esclusività di rapporto, coerentemente a quanto concordato nel Ccnl 2006/2009. Ma soprattutto non si capisce come possa mirare alla riduzione del diffuso e insopportabile “disagio lavorativo” della dirigenza del ruolo sanitario (carichi di lavoro eccessivi, turni di lavoro massacranti, riposi ridotti, ferie non godute, extra orario lavorativo), se non sfuggendo alla tentazione di trasformare le 38 ore settimanali in orario di lavoro minimo, attraverso deroghe strutturali alle disposizioni legislative europee e nazionali e modifiche in peius delle norme contrattuali sulle guardie mediche e sulle pronte disponibilità».

Anche la ventilata valorizzazione piena della carriera professionale non potrà non scontare «l’assenza delle condizioni economiche necessarie attraverso un utilizzo corretto dei fondi contrattuali».

Carlo Palermo (Anaao Assomed): «Così si affossa il Ssn»
«Un atto di indirizzo con troppe criticità - sottolinea Carlo Palermo, segretario nazionale vicario di Anaao Assomed - che non prevede impegni economici sulla Ria e non contempla l’inserimento dell’indennità di esclusività nel monte salari, come previsto dal contratto 2006-09. È inoltre inaccettabile tutto l’impianto delineato sull’orario di lavoro Ue. Con la continua richiesta di deroghe strutturali, quando è noto che la normativa europea prevede deroghe solo in caso di specifiche emergenze. E sullo strumento del contratto individuale, manca un aspetto fondamentale: quello dell’indicazione della sede. Una “dimenticanza” che apre le porte a una mobilità selvaggia e non concordata. E sul nodo risorse, ormai siamo a un punto di non ritorno. Qualunque ulteriore taglio si tradurrebbe in una sottrazione di prestazioni. Ed è sempre più concreto il rischio di affossare il Sistema sanitario pubblico. E non si capisce perché si continua invece ad alimentare sanità integrativa e assicurazioni private con fondi pubblici attraverso la defiscalizzazione».

Guido Quici (Cimo): «Nessuna certezza sui rinnovi, quadro giuridico lacunoso»
«I soldi ce li dovrebbero mettere le regioni - sottolinea Guido Quici, presidente di Cimo - che li hanno accantonati come risparmi e avanzi di gestione per il mancato turnover. Ma il timore è che le Regioni non vogliano farli, questi rinnovi contrattuali, perché più tempo passa e si procrastina e più risparmiano. Certo dopo otto anni sarebbe fuori dal mondo. Non abbiamo certezze».

Ma le risorse non sono l’unica incertezza. A non convincere Cimo è anche il quadro giuridico dell’Atto di indirizzo: «Si parte dall’attuazione del Patto della Salute, che però all’articolo 1 prevedeva un finanziamento che è già stato disatteso. Quindi l’articolo 5 e l’articolo 22 del Patto - sulla progressione di carriera - non hanno fondi per l’applicazione. E nell’atto di indirizzo si condiziona l’avvio della doppia carriera gestionale e professionale alla disponibilità di risorse. Che quindi non ci sono. Un secondo aspetto è che le regioni hanno maliziosamente evitato di menzionare l’ospedale per intensità di cura, che invece hanno esplicitamente indicato nell’atto di indirizzo del comparto. Con la previsione della figura dell’infermiere esperto. Nel nostro atto di indirizzo si fa invece riferimento a una dipartimentalizzazione che si adatta ai modelli regionali. Ma allora come si fa ad organizzare il lavoro dei medici partendo da una frammentazione dei modelli? Questo spiega perché si prevede un intervento regionale sulla base delle esigenze territoriali, sulle materie affrontate dal contratto nazionale. Ma in questo modo si introduce per le regioni un ruolo contrattuale che la legge non prevede, perché i livelli sono due: nazionale e aziendale, con la possibilità per le regioni di intervenire con linee di indirizzo. E poi non si capisce con quali risorse si finanzia il rinnovo dei dirigenti infermieristici, con quelle del comparto o con le nostre?».

Mazzoni (Fassid): «L’atto di indirizzo nasce povero»
«In primo luogo si deve lamentare che nonostante la lunga gestazione - commenta Mauro Mazzoni, coordinatore Fassid - l'atto di indirizzo nasce povero. Sebbene, infatti, ricco di dotte premesse e profonde riflessioni sugli assetti istituzionali e giuridici del Ssn, nonché avventurose, rosee previsioni sul futuro del Ssn, accettabili e condivisibili, forse, a livello di mero auspicio, è totalmente privo delle risorse finanziarie necessarie ad operare anche un minimo restauro del livello retributivo e ancor meno per finanziarie tutte le novità che ci si vorrebbe proporre. Non c'è una lira, e senza soldi i contratti non si possono fare. Lo sa anche il presidente del comitato di settore, che ha dichiarato che per fare il contratto delle sanità servono almeno 1,3 miliardi. E allora ? Bisogna essere chiari: occorre un impegno del Governo e delle Regioni, esplicito e concreto, che ai là delle affermazioni di principio, attesti un reale interesse a tutelare e difendere, con adeguati finanziamenti, quel che resta del Ssn».


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