Lavoro e professione

Voto Fnomceo/ Anelli: «Incomprensibile l’attacco di Chersevani. Ma siamo in democrazia». E racconta il suo programma

di Barbara Gobbi

I grandi temi della sostenibilità delle Ssn e delle disuguaglianze in sanità. I temi, molto concreti, dell’organizzazione del Ssn e della formazione. Il nodo da sciogliere dei rapporti con le istituzioni e con la politica, portati a un punto di rottura soprattutto dalla “bomba” del Ddl Lorenzin. Filippo Anelli (Omceo Bari), il candidato presidente della lista unica che (dopo il voto fissato per il 20, 21 e 22 gennaio) per il prossimo triennio si prepara a governare la Federazione nazionale degli Ordini dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo), in questa intervista detta la sua linea di governo. Che darà seguito - promette - all’attività cui si è dedicato in Federazione soprattutto negli ultimi due anni. Ma prima di tutto, vanno chiariti i termini della polemica sollevata dalla lettera della presidente uscente Roberta Chersevani e di altri altri tre leader di Omceo, che mettono in guardia i colleghi dal rischio di una Federazione eccessivamente sindacalizzata.

Cosa rispondere alla fronda?
A mio avviso, di fronda non si tratta: siamo in democrazia e chiunque può presentarsi ai presidenti. La lista non è blindata: vorrà dire che invece di 13 nomi, ne compariranno diciassette. Ciò che contesto sono però le motivazioni: Chersevani attacca la stessa logica che la portò alla presidenza, tre anni fa, quando fu supportata da Giacomo Milillo. E se ben ricordo si trattava di un segretario della Fimmg, non di un presidente di ordine quale è invece Silvestro Scotti. Quanto al peso dei sindacati, su questo aspetto avevo avuto già modo di rispondere a Pagani, in sede di Consiglio nazionale. Dal mio punto di vista i sindacati sono una risorsa importante, la cui voce e le cui istanze vanno tenute presenti quando si preannuncia un rinnovo nazionale della Federazione.

Chiaro. Cominciamo dalla sfida sostenibilità, su cui da ultimo si è espressa la commissione Igiene e Sanità del Senato...
Molti dei punti evidenziati dall’Indagine conoscitiva sono ampiamente condivisibili, ma noi ci proponiamo di fare un passo in più: proporremo una riflessione su come oggi è organizzato il Ssn. Perché quello che emerge dall’Indagine, insieme al disagio dei cittadini, è il malessere della professione medica. E aggiungo che il meccanismo di finanziamento del Ssn e di riparto del Fondo sanitario nazionale, sono una delle questioni di fondo che oggi determinano disuguaglianze. Se è vero che a minori risorse corrispondono inferiori servizi e che a questi si associano indicatori di salute più bassi, il problema si pone in tutta la sua gravità. Oggi, come noto, il riparto è deciso sul parametro invecchiamento e le Regioni del Nord ricevono più risorse. Ma per affrontare i gap e le disuguaglianze bisognerebbe tener conto di tutta una serie di altri criteri: come la povertà - tra le principali cause di aumento delle malattie croniche, che assorbono l’85% delle risorse Ssn - e gli aspetti ambientali, al Sud ma in generale ovunque si presentino situazioni gravi.

Nella sua relazione programmatica annuncia un nuovo modello per il Ssn…
Ci sono due aspetti: uno di respiro più ampio, che si riferisce al modello organizzativo del Ssn, che oggi è aziendalistico, basato su un meccanismo orientato a un controllo quasi maniacale della spesa. Nel frattempo è intervenuta la legge costituzionale n. 1 del 2012, che ha profondamente modificato l’organizzazione dello Stato, introducendo l’equilibrio di bilancio in tutti i settori: ciò ha fatto sì che il modello aziendalista fosse superato dai fatti, oggi siamo chiamati a ragionare con le risorse disponibili, per perseguire l’obiettivo salute. Questo sistema non può più essere gestito con criteri aziendalistici, ma aprendo alla piena partecipazione dei professionisti, che detengono le competenze per definire - sulla base dei dati epidemiologici di cui dispongono ma anche attraverso l’ascolto - gli obiettivi da raggiungere in un determinato territorio e in una determinata Asl. Proponiamo alla politica di rivedere un meccanismo che oggi crea sofferenze e disagio sia tra i medici che tra i cittadini. Va realizzato un percorso con le istituzioni, che porti a produrre anche una proposta.

Il secondo aspetto?
Sono le risorse. Va capito se sono sufficienti a raggiungere gli obiettivi di salute. C’è una spesa “out of pocket” che si aggira sui 40 miliardi. L’utilizzo del secondo pilastro, se integrativo puro e non sostitutivo, potrebbe essere un’opzione da perseguire: una parte di questo sistema può alimentare il Ssn con una forma, anche assicurativa, che consenta di mirare a degli obiettivi in forma strategica. Gli stessi Lea potrebbero essere non direttamente sostenuti dal Ssn, ma da un secondo pilastro, sempre con la regia Ssn, che rimane un patrimonio straordinario di solidarietà e di universalismo.

Proposte che richiedono, se pensate di sostenerle, di ricomporre la frattura con la politica…
La ricucitura, se ci sarà, dovrà ripartire dalle questioni programmatiche. Poniamo ai partiti questioni-chiave: se c’è l’intenzione di ragionare su una riforma del Ssn, se questo debba o no essere ancora sostenuto, e se sì in quale forma e con quali risorse.

Le risorse per il rinnovo dei contratti, alla fine non sono arrivate… Cosa c’è da aspettarsi? Il mancato rinnovo della Convenzione e dei contratti, quanto impatta sulle vostre proposte?
Registro una diversità di vedute sull’“essere medico”, tra i burocrati della sanità, e della politica che non fa scelte, e gli stessi camici bianchi. Questo provoca anche una difficoltà nell’impostazione dei rinnovi contrattuali: se il medico è considerato un mero tecnico della sanità, gli vengono chieste soltanto prestazioni. Se invece assume una funzione - anche in ragione delle norme costituzionali - che lo ponga a tutela della salute del cittadino, nell’ottica di una visione olistica della relazione terapeutica, l’approccio sarà profondamente diverso.

Ma quanto sarebbe stato determinante avere le risorse necessarie per rinnovare i contratti?
Oggi noi pensiamo che gli adeguamenti contrattuali siano esattamente quelli stimati dalla Corte costituzionale. Detto questo, le risorse messe in campo dal Governo servono semplicemente ad adeguare i contratti e bene farebbe l’attuale esecutivo a procedere in tal senso, adeguando i loro contratti di lavoro alle previsioni fatte in ragione della sentenza della Consulta. Mentre al nuovo Governo spetterà di ragionare su come sviluppare il rapporto all’interno del Ssn e non vi è dubbio che lo sviluppo della medicina del territorio rappresenti una delle priorità in vista del governo della cronicità.

E per quanto riguarda l’ospedale?
Questo versante è esattamente speculare a quanto detto fin’ora: vi si riversano i blocchi delle assunzioni con gli aumenti dei carichi di lavoro, spesso oltre il necessario, una difficoltà nell’intervenire nelle decisioni e nel subire, anzi, attraverso gli ordini di servizio, atteggiamenti e imposizioni qualche volta in contrasto con il Codice.

Complementare è il tema della formazione: quali proposte, a partire dai “teaching hospital”?
Gli ospedali rappresentano un bagaglio di esperienza notevolissima, quindi sicuramente si deve attingere ad essi come momento di formazione. In più, noi proponiamo di liberalizzare il sistema formativo universitario, oggi vincolato alle risorse che lo Stato mette a disposizione. Da sempre le università italiane sono punti di riferimento nella cultura europea, anche in medicina. Oggi questa capacità attrattiva si è persa, perché il modello attuale non consente di porsi sul mercato della formazione in modo attrattivo, sia rispetto al resto d’Italia che all’estero. La formazione andrebbe invece parametrata sulla base della capacità delle università di offrire un insegnamento sulla base di criteri di qualità, senza limitarsi alla logica della programmazione sanitaria del pubblico, che ha le sue esigenze e le sue capacità formativa.

E i finanziamenti?
Potrebbero arrivare anche dalle Fondazioni, recuperando un ruolo che oggi è andato sfumando, o dal privato.

Il punto però è l’imbuto formativo pre specializzazione…
Si continua a programmare sulla base della mancanza di un dato reale, senza il quale non è possibile fare un’idonea programmazione. Servono tutti i numeri sugli specialisti presenti e sulle potenzialità formative delle università. In ogni caso, il numero dei laureati deve coincidere con quello degli specialisti.

Non si rischia la pletora medica?
Su questo si può ragionare, anche perché le capacità formative italiane sono limitate e in ogni caso ci sarà il numero chiuso.

Il Ddl Lorenzin: dopo l’Aventino avete annunciato il vostro ritorno ai tavoli istituzionali, in vista dei decreti attuativi. Tre obiettivi per “raddrizzare” un provvedimento che avete tanto contestato…
Il primo obiettivo è definire che cosa significhi “sussidiarietà”. Se riusciremo a trovare un’intesa su questo fronte, probabilmente potremo anche discutere di tutto il resto. Il secondo tema è quello, difficile da regolamentare, del procedimento disciplinare: si è aperto un dibattito che andrebbe ricondotto a unitarietà. Noi vogliamo occuparci di deontologia e degli aspetti ad essa collegati: la Federazione non c’entra, con la violazione dei contratti. Terza priorità sono le norme di carattere elettorale.

La legge sulla responsabilità professionale, quanto impatta sulla vita del medico e come va valutata?
Impatta molto, perché attiene ad un aspetto fondamentale della vita del medico. Anche qui, le prime interpretazioni della legge creano preoccupazioni: se si smantella quella parte della legge Gelli, che pone in capo al cittadino l’onere della prova, l’intero impianto si indebolisce. Poi, c’è il problema delle linee guida: vanno intese come uno strumento che orienta il comportamento del medico. Con la Legge Gelli diventano uno strumento di valutazione della sua attività professionale… su questo vorremmo aprire una riflessione per capire fino a che punto ci sono di ausilio nell’attività quotidiana o addirittura diventano limitative rispetto all’essere medico.

Gli infermieri sono nemici, amici o concorrenti?
Senza dubbio sono amici. Medici e infermieri lavorano fianco a fianco ogni giorno. Bisogna ripartire dalla vita professionale quotidiana, per risalire a un rapporto di collaborazione e ritrovare, anche a livello alto, le ragioni comuni per operare a favore del cittadino.

Il giudizio sulla ministra della salute Lorenzin…
Molta buona volontà con alcuni scivoloni, a cominciare dal decreto appropriatezza per arrivare al Ddl Lorenzin, su cui la ministra poteva spendersi di più. Non c'è stato lo sforzo di trovare la sintesi tra le varie esigenze. E il Ddl Lorenzin è tutt’ora un elemento di frattura. Che ancora aspetta di essere sanato.


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