Lavoro e professione

Storia di un contratto che le istituzioni non vogliono fare

di Guido Quici *

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24 Esclusivo per Sanità24

Quando attendi un contratto da 10 anni, quando discuti per 15 mesi per migliorare le condizioni economiche e normative dei medici dipendenti, quando assisti a condizioni di lavoro sempre peggiori per effetto dei tagli aziendali soprattutto sul personale, quando accerti che il fenomeno delle aggressioni nelle strutture sanitarie dipende da una ridotta offerta sanitaria e da una cattiva organizzazione, non puoi accettare un pugno nell’occhio da Aran e Regioni su un testo di rinnovo del contratto volutamente provocatorio e umiliante, che può tranquillamente essere considerato come una dichiarazione di guerra o, peggio, una mossa per costringere a un netto no, cui far strumentalmente risalire l’eventuale causa di una mancata chiusura delle trattative (diabolico, ma plausibile).
A questo punto non si capisce infatti chi voglia chiudere o meno il contratto di lavoro per il semplice fatto che se Cimo-Fesmed e qualcun altro, a queste condizioni, non firmeranno mai nessun pre-accordo, è pur vero che Aran e Regioni fanno di tutto per provocare la reazione dei sindacati, ragion per cui forse non è neanche più in atto il “gioco del cerino” per attribuire al sindacato la responsabilità di un mancato accordo, ma la prevaricazione non datoriale ma dittatoriale di chi, probabilmente, ha l’obiettivo di una sanità proiettata dal pubblico verso altri “orizzonti”, in cui assegnare al privato la parte di maggior valore economico e professionale.
In questo contesto, Aran fa meramente l’agente diretto da due padroni, Funzione pubblica e Regioni, perché obbedisce rigidamente alle indicazioni di questi senza assumere quel ruolo di mediatore che in una contrattazione tra le parti favorirebbe un esito positivo.
Mai come nella sanità la mediazione è determinante, mentre la visione burocratica di Aran testimonia il totale distacco dal mondo del lavoro del medico e dei sanitari che operano negli ospedali o sul territorio: è un dato di fatto che, fino a oggi, ogni suo intervento normativo, non concordato ma imposto, abbia avuto effetti devastanti sulla organizzazione del lavoro, sul contenzioso e sulla sicurezza delle cure.
Con chiarezza, la visione che emerge dagli atti, ovvero la proposta del nuovo contratto di lavoro, appare come una sorta di accanimento proprio verso quella professione medica tra le più penalizzate negli ultimi 10 anni e che, tuttavia, è riuscita a sostenere il sistema sanitario pubblico con il proprio lavoro, sopportando i continui tagli legati alla riduzione dei medici, delle strutture complesse e semplici, dei fondi contrattuali e alle furberie di molte aziende che hanno commesso abusi attraverso la non corretta applicazione delle norme contrattuali. E, mentre mancano i medici, si ricorre agli specializzandi e non, ai lavoratori “interinali”, ai pensionati, ai medici militari…
A chi conviene dunque avere un medico demotivato, sottopagato, magari con un contratto ulteriormente penalizzante? Se la sanità pubblica non è più sostenibile, è bene che ce lo dicano una volta per tutte e che la smettano di far pagare il conto ai medici, sia sul loro compenso che sulla loro reputazione.
Cimo-Fesmed non accetterà mai queste imposizioni. Piuttosto, invece di opporre un no a tutti i costi, da tempo chiede di chiudere almeno la parte economica del contratto di lavoro fermo da 10 anni, che sia cioè riconosciuto quanto dovuto, insieme alle modifiche normative intervenute in questo periodo per effetto delle attuali disposizioni legislative.

* Presidente Federazione Cimo-Fesmed


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