Lavoro e professione

Un piano Marshall per la dirigenza? Alla proposta Anaao aggiungo che...

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Nei giorni scorsi sul questo sito è stato pubblicato un appello dell’Anaao riguardo alla attuale situazione dei medici ospedalieri italiani, con la proposta di sette punti di intervento. Il sindacato lo ha definito un "piano Marshall dedicato" e lo ritiene indispensabile per evitare il completo affossamento della Sanità pubblica. Non si può che concordare con le posizioni dell’Anaao. Tutte i ringraziamenti e le promesse dei mesi scorsi – a volte inutilmente retorici – sembrano totalmente dimenticati e nulla è stato fatto se non interventi congiunturali, a volte pure confusi o sbagliati. Quello che, invece, va fatto è un cambiamento completo di visione del servizio pubblico. La recente emergenza sanitaria dovuta alla pandemia ha messo in evidenza quanto sia importante e indispensabile per la collettività la macchina organizzativa che costituisce il Servizio sanitario nazionale. Il nucleo operativo del sistema sono le aziende sanitarie che sono considerate aziende "labour intensive" cioè organizzazioni ad alta intensità di lavoro che si fondano principalmente sulle risorse umane e sulla qualità professionale delle donne e degli uomini che vi lavorano. Inoltre le aziende sanitarie nello scenario del pubblico impiego risultano quelle con la maggiore scolarizzazione del personale (139.000 dirigenti e quasi 400.000 quadri) che, unita a una complessità professionale unica (tre aree negoziali con 17 profili dirigenziali e una trentina di profili nel comparto), fa ritenere il Servizio sanitario nazionale la punta avanzata del comparto pubblico. Infine – dato non trascurabile - il costo del personale si aggira intorno al 37/38% dei bilanci aziendali. Sono queste tutte buone ragioni per ritenere che la risorsa umana che opera in una azienda sanitaria sia una risorsa preziosissima che va amministrata, gestita e sviluppata con grande cura e attenzione. A maggior ragione alla luce del lungo blocco della contrattazione collettiva e della continua riduzione degli organici, nessuna realtà aziendale può permettersi di mortificare il personale e i medici per primi; ma nemmeno di gestire il personale con superficialità, noncuranza o fuori dal rispetto del principio di legalità che naturalmente deve sempre ispirare l’azione della pubblica amministrazione.
Per ciò che concerne le sette proposte dell’Anaao, mi permetto di dare un contributo e alcune integrazioni.
• Migliorare le condizioni del lavoro ospedaliero e ricostruire un sistema che privilegi, anche per la carriera, i valori professionali rispetto a quelli organizzativi e aziendali. Il Ccnl del 2019 aveva iniziato questo percorso con l’introduzione dell’altissima professionalità che è un primo passo. Temo, però, che la problematica non sia normativa bensì culturale perché è ancora troppo diffusa all’interno della stessa categoria medica la tendenza a cercare la “struttura” piuttosto che la professionalità.
• Aumentare le retribuzioni, detassando gli incrementi contrattuali e il salario accessorio, compensando il rischio contagio, incrementando il valore del rapporto esclusivo. È ovvio che l’aspetto retributivo è di primaria urgenza. Tra l’altro, il Ccnl firmato da poco è scaduto da quasi due anni. Su questo sito nei mesi scorsi ho più volte affrontato le questioni più urgenti emerse durante la pandemia e, in particolare, l’11 maggio puntualizzavo che «se il Governo intende veramente venire incontro a medici e infermieri, si rinnovino subito i rispettivi Ccnl che – forse è il caso di ricordarlo – sono entrambi scaduti da 16 mesi. Non si obietti che c’è un problema di oneri finanziari perché per il rinnovo di tutti i contratti della Sanità basterebbe appena il 5 % dell’importo del fondo Mes e già questa sarebbe una validissima ragione per acquisirlo prima di subito». Inoltre, il 21 maggio segnalavo che «non è stata nemmeno lontanamente ipotizzata una forma di detassazione del salario accessorio nè di decontribuzione». Tuttavia su alcuni aspetti – come quello di detassare gli incrementi contrattuali – andrebbe attuata una riflessione riguardo alla fattibilità. Invece del tutto esigibile l’intervento sul salario accessorio esattamente come avviene nel settore privato. Infine sull’esclusività del rapporto è necessario fare un discorso molto approfondito perché la questione è maledettamente complessa.
• Attribuire un nuovo stato giuridico alla dirigenza sanitaria, nel segno della dirigenza “speciale”, e riconoscere il loro ruolo peculiare attraverso forme di partecipazione ai modelli organizzativi ed operativi. Nel settembre 2015, quando la legge Madia aveva escluso i medici dalla riforma della dirigenza, avevo pubblicato un articolo dal titolo "La specificità del rapporto di lavoro del personale medico del servizio sanitario nazionale” che affrontava tutti gli aspetti della problematica, oggi ancor più attuale di allora, e si concludeva così: «Forse - a fronte delle continue deroghe alla legislazione generale e comune e di obiettive specificità di lampante evidenza - una soluzione potrebbe essere quella di pensare ad un vero e proprio testo unico sul rapporto di lavoro dei medici con il quale rendere esplicite e trasparenti tutte le specificità e le deviazioni dalla normativa generale, con un grande valore aggiunto in termini di organicità e sistematicità». Riguardo alla seconda parte del punto sull’annoso aspetto della clinical governance probabilmente è giunto davvero il momento di ripensare la figura dell’organo monocratico.
• Introdurre il contratto di formazione/lavoro per gli specializzandi e riformare la formazione post laurea, divenuta vera emergenza nazionale, terreno di coltura per il neocolonialismo delle Scuole di medicina nei confronti del mondo ospedaliero. Anche sul punto 4, da anni sostengo che il contratto di formazione e lavoro è l’unica soluzione per il reclutamento dei medici (e degli infermieri) a fianco del concorso pubblico che, come è noto, ha notevoli criticità normative e difficoltà operative e deve essere completamente riformato concettualmente.
• Attuare politiche di assunzioni che recuperino i tagli del passato, come ci chiede la UE, escludano il precariato, eterno e non contrattualizzato, e riducano la eterogeneità nei rapporti di lavoro ospedaliero. Riguardo ai contenuti di questo punto, l’unica soluzione è quella di abolire drasticamente tutto il lavoro atipico – attenzione, non quello flessibile – cioè le co.co.co., le partite IVA, i falsi tirocini e borse di studio, il ricorso alle cooperative. Lo stesso art. 7, comma 6 del decreto 165/2001 deve essere blindato assolutamente.
• Completare la legge sulla responsabilità professionale con il passaggio ad un sistema “no fault” sul modello europeo. Nulla da eccepire sul punto 6 ma c’è da chiedersi perché non sono ancora in Gazzetta tutti i decreti del Mise che completano la legge Gelli.
• Assumere il contratto di lavoro come strumento di innovazione del sistema e di governo partecipato. Del tutto appropriato il richiamo relativo al Ccnl ma deve essere perseguito un obiettivo fondamentale: semplificare la struttura e i contenuti del contratto collettivo, perché non sono più accettabili contratti di 120 articoli, molti dei quali completamente inutili e molti incomprensibili alla stragrande maggioranza dei destinatari.


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