Lavoro e professione

Covid/Farmacisti collaboratori: priorità nel vaccino e aggiornamento del contratto

di Roberto Faben

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Rinnovo del contratto nazionale di lavoro, maggior valorizzazione delle competenze professionali in ambito sanitario, richiesta di riconoscimento come categoria a rischio da far rientrare nelle fasce prioritarie per la somministrazione del vaccino anti-Covid. Sono le richieste provenienti dal Movimento italiano farmacisti collaboratori (Mifc), che raggruppa circa 3mila iscritti, ma che ne rappresenta oltre 30mila attivi nella penisola, sia nelle farmacie a titolarità privata, sia in quelle comunali.

Il loro ruolo strategico è emerso già nella prima, drammatica fase dell'emergenza epidemica, nel corso della primavera 2020, «quando – ricorda Michele Scopelliti, 32 anni, presidente del Mifc, collaboratore di una farmacia comunale ad Agrigento, dove l'associazione ha sede – moltissimi pazienti bisognosi di farmaci salvavita, come l'insulina, di fronte all'impossibilità ad ottenere il rilascio delle ricette dagli studi medici andati in tilt e con i pronto soccorsi sovraffollati, si sono riversati nelle farmacie, che hanno risposto con dispensazioni di urgenza senza ricetta». Tuttavia, i farmacisti collaboratori, che svolgono una funzione anche nelle erogazioni di farmaci ospedalieri per conto dei presidi, rivendicano una considerazione professionale che vada oltre il mero ruolo di dispensatori di farmaci, «dato che assicuriamo una pluralità di servizi nel quadro della medicina territoriale, dalle prenotazioni presso i Cup (Centri unici di prenotazione) ai tamponi rapidi e test sierologici per il Covid, dagli screening per alcune forme tumorali ai servizi diagnostici come la spirometria e l'holter pressorio a cardiaco, solo per fare qualche esempio, a supporto del Servizio sanitario nazionale».

Per questo, inquadrati in varie forme contrattuali che oscillano tra quelle a tempo indeterminato e quelle a termine, chiedono maggiori riconoscimenti professionali che migliorino una condizione, sottolinea Cristina Longhini, 39 anni, farmacista a Milano, portavoce del movimento, «nella quale siamo ingiustamente inquadrati nel generico filone dei contratti del settore commerciale e turistico». Il loro contratto nazionale, osservano i farmacisti collaboratori «non è più stato rinnovato dal 2013 per quelli che operano in farmacie private (contratto Federfarma) e dal dicembre 2015 per quelli attivi nelle farmacie comunali (Assofarm)».

Il presidente Scopelliti mette in rilievo il fatto che «la retribuzione oraria di un farmacista collaboratore è di 8 euro per uno stipendio mensile di circa 1.400 euro e per questo proponiamo una remunerazione mista che preveda, accanto a quella assicurata dal titolare della farmacia, un'integrazione del 30 per cento a carico dello Stato, essendo la nostra una categoria che svolge un ruolo di rilievo di affiancamento al Servizio sanitario nazionale, e anche a rischio, poiché non bisogna dimenticare che oltre 20 farmacisti sono deceduti per Covid». Per questo, dopo aver chiesto audizione, nel novembre 2020, con Roberto Speranza e Nunzia Catalfo, rispettivamente ministri della Salute e del Lavoro del secondo governo Conte e aver ottenuto un incontro con la Commissione Affari Sociali prima della crisi di Governo, il Mifc intende ribadire la sua richiesta di attenzione.

Accanto alla questione dell'adeguamento contrattuale, esso si sofferma anche sulla questione dei vaccini che, come previsto da una legge del precedente Governo, potrebbero essere somministrati gratuitamente ai cittadini anche nelle farmacie. «Le Regioni Piemonte e Lombardia – aggiunge Scopelliti – hanno già stipulato un accordo con Federfarma per essere coperte con una quota di 6 euro in Lombardia e di 6,50 euro in Piemonte per il servizio di profilassi. Tuttavia, i farmacisti non sono stati inseriti nelle categorie prioritarie, accanto agli operatori sanitari, ad aver diritto al vaccino e appare assurdo che siamo abilitati a somministrare vaccinazioni senza essere noi stessi vaccinati».


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