Lavoro e professione

Accordo quadro: i punti deboli della "preintesa" per il comparto sanità

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Nel mese di aprile è stata sottoscritta la Preintesa del nuovo accordo quadro per la definizione dei comparti di contrattazione rispetto ai quali aprire la tornata 2019/2021. La trattativa ha tardato la sua conclusione perché era sorta una questione molto complessa e delicata che riguarda proprio una parte della dirigenza della sanità e che rischiava di bloccare la rapida conclusione del contratto. Come ipotizzato da chi scrive fin da mese di marzo, la soluzione più logica e di buon senso sarebbe stata quella di scindere il testo del CCNQ in due parti pervenendo ad una rapida chiusura per i Comparti e prendendo una pausa di riflessione per le Aree dirigenziali; in tal modo il percorso per i quattro comparti dei livelli avrebbe potuto iniziare subito, tenuto anche conto che il ministro Brunetta ha già diramato l'Atto di indirizzo generale per tutti i Comitati di Settore – la cosiddetta "direttiva-madre". Ed infatti, nell'art. 7, comma 2 della Preintesa del 15 aprile si legge che "la composizione delle Aree di cui al comma 1 verrà definita in apposita successiva sessione negoziale, che dovrà concludersi entro 3 mesi dalla sottoscrizione del presente contratto".

Il contratto quadro che provvede alla mappatura e all'articolazione dei comparti è un atto negoziale propedeutico all'apertura nelle trattative per il rinnovo del triennio contrattuale. Poiché tutti i CCNL del pubblico impiego sono scaduti il 31 dicembre 2018 – cioè ventotto mesi fa - questo accordo-quadro doveva essere già stato fatto da tempo.

Nel testo dell'ultimo Accordo quadro, quello del 13 luglio 2016, si potevano rilevare alcuni aspetti che già allora meritavano una breve riflessione. E'singolare innanzitutto ritrovare nell'art. 3 il CNEL che doveva essere soppresso e anche l'AIFA che, forse, sarebbe più coerente si trovasse nell'Area della Sanità ovvero che anche l'altra Agenzia vigilata dal Ministero della Salute (AGENAS) fosse collocata nell'Area delle Funzioni centrali. Anche la collocazione dell'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nell'Area Istruzione e ricerca desta qualche perplessità visto che i dirigenti non sanitari delle ARPA – le quali fanno parte insieme all'ISPRA del SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente), istituito dalla legge 132/2016 - sono nell'Area Funzioni locali.

Nel contratto-quadro venivano citate espressamente le aziende ospedaliere-universitarie con riferimento al decreto Bindi-Zecchino del 1999: il riferimento genera però dei dubbi perchè le denominazioni utilizzate nel decreto 517/1999 erano transitorie e dovevano durare un quadriennio. Per intenderci: le aziende ove prevale l'aspetto didattico, cioè le nove"aziende ospedaliere universitarie integrate con il Servizio sanitario nazionale" (i vecchi Policlinici a gestione diretta), sono confluite nel comparto C e quelle dove prevale l'aspetto assistenziale – le sedici "aziende ospedaliere integrate con l'università" - restano nel comparto D. Tra l'altro, definire le aziende ospedaliere "diverse" rispetto a quelle universitarie appare incongruo, se non ingiusto, perché semmai sono quelle ad essere "diverse", quantomeno per il numero. I richiami alle aziende ospedaliero-universitarie erano contenuti negli artt. 5 e 6 del CCNQ che riguardavano i livelli mentre nell'art. 7 in relazione alle aree dirigenziali troviamo semplicemente "Area della Sanità" senza alcuna specificazione rispetto alle 9 aziende ospedaliero-universitarie. La spiegazione risiede nella circostanza che nelle aziende che sono state ricomprese tra le funzioni centrali nel comparto C risulta contrattualizzato solo il personale dei livelli e quello dirigenziale è costituito da docenti universitari, notoriamente in regime di diritto pubblico.

Nell'art. 6 si trovava il richiamo alle "aziende sanitarie, ospedaliere del Servizio sanitario nazionale", laddove – a parte la bizzarra punteggiatura – si perpetua una inesattezza che esiste fin dal primo contratto quadro del 1998 e cioè quella di omettere l'aggettivo "locali" dopo le parole "aziende sanitarie", visto che per aziende sanitarie tout court si intendono da sempre "tutte" le aziende del servizio sanitario, siano esse ASL o ospedaliere. Di maggiore sostanza appare invece il fatto di aver allora ignorato le odierne numerose e diversificate realtà regionali. A parte l'ormai consolidata esistenza di enti quali ARES, AREU, AREUS, ESTAR (ex ESTAV), ALISA, AZIENDA ZERO, ARCS (ex EGAS), AReSS, ecc., va ad esempio segnalato che in Lombardia già da anni le vecchie ASL sono denominate ATS (Agenzie di tutela della salute, insieme alle ASST per la parte ospedaliera) e che nelle varie Regioni le denominazioni sono le più eterogenee. Al momento della trattativa dell'accordo quadro in realtà esisteva formalmente il solo ESTAR in Toscana (subentrato nel 2014 agli ESTAV) ma con l'entrata in vigore dei tre contratti collettivi del 2016/2018 si erano ormai costituiti tutti gli altri soggetti sovraziendali.

Nel nuovo testo, la cui Preintesa è stata siglata, come detto, il 15 aprile scorso, non sono presenti grandi cambiamenti sostanziali: è stato eliminato l'ospedale Ordine Mauriziano di Torino, in quanto azienda ospedaliera a tutti gli effetti (peraltro fin dal 2004). Può ingenerare curiosità il fatto che dei due soggetti "alieni" presenti in passato (Mauriziano e Galliera) sia stato depennato il solo Mauriziano ma bisogna tenere presente che l'ospedale genovese ha una peculiarità molto speciale che, per una precisa clausola del legato di 130 anni fa, impone che non venga mai mutata la qualificazione giuridica di "ente ospedaliero". Sono stati inoltre inseriti tutti gli enti di cui si diceva sopra nel complessivo numero di 10. Tuttavia, tale cambiamento metodologico mi lascia alquanto perplesso per i seguenti motivi.

In un contesto di natura tassonomica, quando in un atto normativo – sia esso legislativo che contrattuale – si effettua una elencazione sarebbe opportuno seguire questo criterio: o si è esaustivi nelle elencazioni prevedendo tutte le fattispecie esistenti (con alta possibilità di dimenticanze) o si utilizzano esemplificazioni codificate o, ancora, si può ricorrere a termini trasversali quali "ad esempio" oppure "a titolo indicativo". Quest'ultimo strumento ovviamente non appare conforme nel CCNQ che, per definire il campo di applicazione, deve essere oltremodo preciso mentre, per fare un esempio sul campo, è stato utilizzato nell'art. 43, primo comma del CCNL del 21.5.2018 (ma sarebbe stato utile in alcuni altri passaggi dello stesso CCNL tipo l'art. 47, primo comma). Tornando alle altre due metodiche, la prima è altamente rischiosa in quanto è quasi impossibile indicare in modo esauriente tutte le realtà regionali, anche perché è molto plausibile che proprio mentre si negozia e si perfeziona il contratto quadro qualche regione possa ulteriormente cambiare il proprio assetto organizzativo. In ogni caso, nella Ipotesi di contratto di cui si parla mancano già alcune realtà esistenti come la ASUR nelle Marche (primo esempio di azienda unica regionale, seguito poi dalla ASREM in Molise e dalla ATS in Sardegna) nonché la ASUIUD e la ASU FC in Friuli-Venezia Giulia che non rientrano in nessuna delle tipologie previste in quanto sono "aziende sanitarie uniche", ai sensi del comma 546 della legge 208/2015. Peraltro, quelle friulane costituiscono un terzum genus tra ASL e aziende ospedaliere e, dunque, si trovano strette nelle due denominazioni tradizionali.

La scelta delle parti negoziali è stata invece quella di ignorare tutte le denominazioni regionali di "aziende sanitarie" e indicare espressamente solo le realtà sovraziendali. A mio giudizio sarebbe stato preferibile ricorrere ad una formulazione generale inequivocabile, cioè in pratica: "Altre aziende, enti e amministrazioni individuate dalle leggi regionali di organizzazione del sistema sanitario regionale", più precisa di quella presente nell'ultimo alinea, senza alcun rischio di dimenticare qualcosa e lasciando alla singola Regione la discrezionalità di una scelta diversa. In tal senso, l'ARS della Regione Toscana fa parte del comparto Funzioni locali mentre la omologa agenzia pugliese è collocata nel comparto Sanità.

Per maggiore completezza e – lo ammetto – per eccesso di pignoleria, avrei inoltre effettuato queste diverse scelte:

al primo alinea =
- Aziende sanitarie locali individuate secondo la denominazione prevista dalle leggi regionali di riferimento ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e s.i.m.;

al secondo alinea =
- Aziende ospedaliere del Servizio sanitario nazionale individuate secondo la denominazione prevista dalle leggi regionali di riferimento, comprese le aziende ospedaliere integrate con l'università di cui alla lett. b) dell'art. 2 del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517;

a l penultimo alinea =
- Agenzie regionali per la protezione ambientale di cui all'art. 3 della legge 21 gennaio 1994, n. 61, individuate dalla denominazione prevista dalle leggi regionali di riferimento.
Quest'ultima precisazione discende dal fatto che l'acronimo "ARPA" – peraltro diffuso e conosciuto - non si riscontra dappertutto, visto che, oltre all'acronimo ARP seguito dall'iniziale della regione, esistono l'APA e tutela del clima e l'APPA, rispettivamente a Trento e a Bolzano, nonché l'ARTA in Abruzzo.


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