Lavoro e professione

Il Sostegni-bis battezza il ruolo sociosanitario dell'Oss: tutti i risvolti del nuovo profilo

di Stefano Simonetti

S
24 Esclusivo per Sanità24

Per non farci mancare nulla, abbiamo ora un nuovo ruolo del personale del Servizio sanitario nazionale. Infatti la Camera dei deputati in sede di conversione del decreto legge n. 73 del 25 maggio 2021 – il cosiddetto "Sostegni bis" - ha approvato l’emendamento, a firma della deputata Elena Carnevali che, secondo la proponente, riconosce finalmente il giusto inquadramento normativo agli assistenti sociali, sociologi ed operatori sociosanitari dipendenti del Ssn istituendo il ruolo sociosanitario e "affrancandoli così dalla vetusta e inidonea collocazione nel ruolo tecnico, in cui erano confinati dal lontano 1979". Il testo del decreto 73 è stato convertito definitivamente nella legge 23 luglio 2021, n. 106 (GU n.176 del 24.7.2021), con il voto di fiducia del Senato del 21 luglio scorso. Come purtroppo avviene sempre più spesso, gli emendamenti hanno stravolto i contenuti del decreto originario visto che il testo passato al Senato contiene 393 commi aggiuntivi, rispetto ai 479 originari e, tra quelli, c’è anche il comma 9-ter dell’art. 34 di cui ci stiamo occupando. Ma questa volta il Presidente della Repubblica, con una lettera di quattro pagine, ha inviato un severo monito ai Presidenti delle due Camere per ripristinare la correttezza legislativa e il rispetto dell’art. 77. Il Presidente Mattarella ha puntualmente elencato i commi incriminati più eclatanti tra i quali non figura quello che qui interessa ma ciò non vuol dire che non sia lo stesso fuori contesto. Almeno, rispetto agli altri, l’argomento non è totalmente avulso dal titolo del decreto 73 ma per i non addetti ai lavori – ma forse anche per loro - è arduo comprendere come l’istituzione di un nuovo ruolo possa concretamente e operativamente "fare fronte al perdurare dell’emergenza epidemiologica da Covid-19", come afferma l’emendamento. Tale ultima motivazione sembra alquanto pretestuosa e, inoltre, il fatto che possa rientrare “nei casi straordinari di necessità e urgenza” non è così lampante in una vicenda che è radicata negli anni e la cui soluzione era sicuramente necessaria ma che fosse anche straordinaria e urgente almeno qualche perplessità la desta. Tra l’altro, riguardo agli aspetti di metodo, una modifica ordinamentale di questa portata non dovrebbe essere attuata con decretazione d’urgenza che inevitabilmente va a creare una stratificazione normativa priva di linearità e coordinamento. Intendiamoci: non vi vuole certo dire che gli Oss non avessero problemi ma il modo di risolverli deve essere un altro. Ma la vicenda è estremamente complessa e ha origini molto lontane nel tempo.
Per tentare di capire il senso dell’operazione va innanzitutto precisato che i veri interessati sono in pratica soltanto gli Oss e basta fare un giro su internet per rilevare commenti trionfalistici da parte degli Operatori sociosanitari – anche se per la verità molti non sono affatto convinti - scarni commenti degli Assistenti sociali e un silenzio completo da parte dei Sociologi; e proprio per questi ultimi si pongono fin da adesso molti problemi, come vedremo nel prosieguo. Ma torniamo agli Oss perché la battaglia è stata tutta loro.
L’Operatore sociosanitario è un profilo inquadrato in categoria B, livello economico Bs. Fa la sua apparizione nelle aziende sanitarie nel 2001 con l’art. 4 del Ccnl del 20.9.2001 come evoluzione del profilo di Operatore tecnico addetto all’assistenza (Otaa) - istituito dall’art. 40, comma 3 del DPR 384/1990 - che venne contestualmente posto ad esaurimento. A sua volta, l’Otaa aveva costituito lo sbocco professionale dell’Ausiliario specializzato del contingente addetto ai servizi socio assistenziali (ma non di quello dei servizi economali). Per più di 15 anni la situazione è rimasta sostanzialmente in stallo e nel frattempo sono sorte ulteriori problematiche riguardo, ad esempio, alle differenze o affinità con gli OSA e al recupero degli Otaa ancora in servizio.
Nel Ccnl del 21 maggio 2018 – che, ricordiamolo, arrivò dopo nove anni di blocco della contrattazione collettiva – molti si aspettavano la definizione del nuovo profilo dell’Oss ma elementi contingenti e anche una certa fretta di chiudere il contratto non resero possibile la revisione del profilo. Venne allora istituita con l’art. 12 una Commissione paritetica presso l’Aran con competenze racchiuse in ben 8 punti tra le quali la più significativa era senz’altro la previsione di quattro aree prestazionali – allora del tutto fantomatiche - che dovevano essere l’aspetto qualificante del nuovo contratto ma per molti motivi (tra cui la sovrapposizione con i pregressi e mai abrogati ruoli del DPR 761/1979 che sono, tra l’altro, materia riserva di legge) non fu evidentemente possibile disciplinare. Lo stesso Atto di indirizzo del Comitato di settore della Sanità ipotizzava che l’istituzione delle aree “comporterebbe la riscrittura della desueta articolazione del personale nei quattro ruoli”. I lavori della Commissione – che dovevano terminare entro luglio 2018 secondo lo stesso art. 12 - sono iniziati con un anno di ritardo e si sono conclusi senza la diramazione di un documento conclusivo. Forse l’unica valutazione che si è potuta tentare tre anni fa era che tale nuovo modello sembrava funzionale soltanto all’evoluzione dell’Operatore sociosanitario attraverso l’istituzione dell’area delle professioni socio-sanitarie.
Va ricordato in tal senso che la “terza s” degli Oss era già stata decisa con un Intesa in Conferenza Stato-Regioni sulla formazione complementare, rimasta lettera morta a causa dell’intervenuto blocco contrattuale nel 2010. Nel frattempo, a complicare ancora di più il quadro di riferimento normativo, è sopraggiunto l’art. 5 della cosiddetta legge Lorenzin (n. 3 del 2018) che ha istituito formalmente l'area delle professioni sociosanitarie, con anni 18 anni di ritardo rispetto a quanto previsto dall'articolo 3-octies del d.lgs. 502/1992. Senza alcun mutamento giuridico sono compresi nella nuova area professionale i preesistenti profili professionali di operatore socio-sanitario, assistente sociale, sociologo ed educatore professionale, con una aggregazione a dir poco sconcertante, visto che si tratta di tre profili del comparto e un profilo dirigenziale.
Il fatto poi che l’Oss sia diventato una “professione” appare alquanto singolare. Resta comunque il fatto che far capire ai lavoratori la differenza e i rapporti tra i vecchi 4 ruoli e le nuove 4 aree prestazionali è un’impresa che nessuno ha nemmeno tentato di compiere. Durante le trattative qualcuno aveva anche pensato di sopprimere i ruoli del 1979 per mezzo del nuovo contratto ma, come detto, ciò era inibito alla contrattazione collettiva poiché la materia è una delle sette per le quali è sancita la riserva di legge (vedi l’art. 2, comma 1, lettera c, punto 5 della legge 421/1992). Solo per completezza si potrebbe ricordare che l’occasione si è presentata ed era costituita dalla stessa legge Lorenzin che è entrata in vigore pochi mesi prima del Ccnl e ben poteva abrogare i vecchi 4 ruoli nel momento che istituiva le aree prestazionali (guarda caso 4 come i ruoli).
Per riassumere l’attuale quadro di insieme, il personale del S.s.n. è oggi articolato in:
5 ruoli = sanitario, professionale, tecnico, amministrativo e sociosanitario. I primi risalenti all’art. 1 del DPR 761/1979 e il quinto istituito con l’art. 34, comma 9-ter della legge 106/2021.
1 area delle professioni sociosanitarie = ai sensi dell’art. 5 della legge 3/2018, in prima battuta sono compresi nell'area preesistenti profili professionali di operatore socio-sanitario, assistente sociale, sociologo ed educatore professionale.
4 aree prestazionali = per il solo comparto si potranno avere: Area delle professioni sanitarie - Area delle professioni socio-sanitarie - Area di amministrazione dei fattori produttivi - Area tecnico-ambientale; da verificarne la possibilità di previsione, come detto nell’art. 12, comma 4, lettera e) del ultimo contratto collettivo.
Non è compreso nel nuovo ruolo sociosanitario il profilo professionale di educatore professionale che risulta già classificato tra le professioni sanitarie, tant’è che l’articolo 5 della legge 3/2018 termina specificando che: «resta fermo che i predetti profili professionali afferiscono agli Ordini di rispettiva appartenenza, ove previsti» e non era quindi ipotizzata una modifica dell’inquadramento giuridico degli educatori professionali dipendenti pubblici del Ssn che rimangono inseriti, giustamente, nel preesistente ruolo sanitario di cui all’articolo 1 del Dpr 761/79.
Ora, al di là delle "certezze" di infermieri, tecnici sanitari, dipendenti amministrativi e professionali, sarebbe interessante chiedere a tutti gli altri cosa hanno capito della sovrapposizione tra ruoli e aree prestazionali con la variante dell’area delle professioni sociosanitarie: cosa significa dal punto di vista operativo e funzionale? cosa cambia riguardo alle attribuzioni ? porta benefici economici ? consente un migliore sviluppo di carriera?
Per ciò che concerne il rapporto con gli Ordini professionali, lo scenario dei quattro profili è completamente divergente. Infatti, gli Assistenti sociali hanno un Ordine fin dal 1993, contrariamente a tre altre professioni del comparto che avevano, storicamente, un “Collegio”. Gli Educatori professionali dal 2018 sono obbligatoriamente iscritti all’Ordine delle Professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, con albi separati per ciascuna delle 19 professioni aggregate. I Sociologi non hanno un Ordine professionale ma soltanto un apposito elenco tenuto presso il Ministero della Giustizia in applicazione di una direttiva della UE. Infine gli Operatori sociosanitari, non hanno ovviamente Albo e Ordine professionale in quanto non sono una professione.
Vediamo un po’ di numeri. Secondo l’Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale, nel 2019 il personale ammontava a 603.856 unità e risultava così ripartito: il 72,2% ruolo sanitario, il 17,5% ruolo tecnico, il 10,1% ruolo amministrativo e lo 0,2% ruolo professionale. Il Ruolo Tecnico era, dunque, costituito da 105.471 unità cosi suddivise: 270 Analisti, 69 Statistici, 367 Sociologi, 5.203 Assistenti Sociali, 2.984 Collaboratori Tecnico-professionali, 2.539 Assistenti Tecnici, 642 Programmatori, 26.226 Operatori Tecnici, 54.513 Operatori Tecnici di Assistenza e, infine, 12.658 Ausiliari Specializzati. Attualmente i numeri sono così riaggregati: il 72,2% del personale resta ovviamente nel ruolo sanitario, così come il 10,1% nel ruolo amministrativo e lo 0,2% nel ruolo professionale, il ruolo tecnico scende al 7,5% e il nuovo ruolo sociosanitario consta del 10,2% del totale.
Tornando alle vicende degli Oss, va riconosciuta la forte ambiguità del profilo, sicuramente utilizzato nelle aziende in modo sovraesposto rispetto alla normativa vigente. L’esempio più caratterizzante di questa ambiguità è senz’altro la cosiddetta “deroga Balduzzi”, cioè la norma che nel 2012 ha previsto la non applicabilità del termine massimo di 36 mesi ai contratti a tempo determinato del “personale sanitario”. La terminologia impropria e sfuggente dell’art. 4, comma 5 della legge 189/2012 ha consentito ad alcune Regioni di ricomprendere ufficialmente tra il “personale sanitario” anche gli Oss, oltre agli Autisti di ambulanza, avallando apertamente in tal modo il disagio organizzativo di essere inseriti nel ruolo tecnico e inducendo in tutti gli interessati un legittimo affidamento.
Arrivando a recentissimi avvenimenti, c’è da aggiungere che qualche Regione aveva tentato un blitz prevedendo la revisione del profilo mediata attraverso la formazione complementare. In tal senso, Il Tar del Veneto con ordinanza n. 301 dell’8.7.2021 ha accolto la richiesta di sospensiva della delibera della Giunta regionale del Veneto del 16 marzo 2021, n. 305, in merito alla formazione complementare per gli Oss. Il ricorso era stato presentato dalla Fnopi, dagli Opi veneti, da numerosi altri Opi italiani ad adiuvandum e dalla federazione Migep. La presenza di quest’ultimo soggetto – che raccoglie Infermieri generici, Infermieri psichiatrici, Puericultrici, Otaa e Oss - schierato contro la delibera del Veneto la dice lunga su come la categoria sia concordemente unanime sulla carriera dell’Oss. In particolare i Giudici amministrativi hanno affermato che “le censure di parte ricorrente, per quanto sia necessario un puntuale approfondimento nell’appropriata sede di merito, anche in considerazione dell’estrema delicatezza della questione oggetto di giudizio, paiono presentare, ad un esame sommario, profili meritevoli di favorevole considerazione”. L’udienza di merito è fissata al 15 dicembre 2021 ma nel frattempo è entrato in vigore il ricordato comma 9-ter e nel merito del ricorso il Tar non potrà non tenerne conto.
Cosa si aspettano gli Oss dall’art. 34, comma 9-ter ? Senza girare troppo intorno alla questione, è ovvio che le attese sono di natura retributiva e tutti i commenti di politici, sindacati e singoli interessati tendono alla valorizzazione economica che potrebbe essere il passaggio di tutti gli Oss in categoria C, soluzione molto più verosimile della previsione di una specifica indennità. Questa circostanza rende più plausibile il contenuto apertamente “provvisorio” dell’Atto di Indirizzo del Comitato di Settore della Sanità del 7 luglio scorso che in tre misere paginette forniva direttive all’Aran per l’apertura delle trattative, senza mai entrare nei problemi e dimostrandosi chiaramente incompleto. Ora è giocoforza che venga riscritto o integrato perché il primo riscontro della nascita del ruolo socio sanitario è senz’altro quello contrattuale e le parti dovranno decidere le conseguenti determinazioni per Assistenti sociali e Oss (il Sociologo, come più volte detto è nell’area dirigenziale delle Funzioni locali, anche se esiste la possibilità di assunzione e reclutamento in categoria D nel profilo di Collaboratore amministrativo–professionale, settore sociologico). Detta così l’operazione appare una normale fase di trattativa ma c’è un problema che, a mio giudizio, complicherà tutto e genererà polemiche. Alla fine del comma 9-ter si afferma che l’istituzione del nuovo ruolo avviene “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” per cui le parti negoziali dovranno decidere gli interventi nell’ambito di quel 3,78% di risorse destinate nel 2021 al rinnovo contrattuale. Poiché risorse extracontrattuali sono evidentemente illegittime alla luce dello stesso comma 9-ter ma anche dell’art. 81 della Costituzione, l’unica soluzione possibile è che qualsiasi beneficio contrattuale venga deciso per Assistenti sociali e Oss sarà in detrazione dagli aumenti per gli altri dipendenti.
Ma anche per i dirigenti Sociologi, non interessati al Ccnl del comparto, esistono notevoli problemi che appaiono, forse, ancor più delicati. Storicamente il profilo di Sociologo era inquadrato nel ruolo tecnico e nel Ccnl del 17.12.2020 ha costituito insieme ai colleghi dei ruoli professionale e amministrativo la sezione Pta del contratto collettivo dell’Area delle Funzioni locali. Ma oggi il Sociologo non fa più parte del ruolo tecnico e abbandona l’Area Fl ma non si sa bene per andare dove. La sede per decidere il destino dell’unico profilo dirigenziale del novello ruolo sociosanitario non può che essere il Contratto quadro la cui Preintesa venne firmata il 15 aprile, che peraltro sospese le determinazioni in merito alla composizione delle Aree di cui al comma 1 dell’art. 7 che verrà definita in apposita successiva sessione negoziale da concludersi entro 3 mesi dalla sottoscrizione del Ccnq. La sospensione riguardava una altra spinosissima questione – quella, per intenderci, del comma 687 – ma ora si aggiunge anche quest’altro tema di ulteriore disagio istituzionale. Personalmente, se fossi un dirigente Sociologo chiederei subito l’applicazione dell’art. 63, comma 4 del Ccnl dell’8.6.2000, tuttora in vigore, che consente “la mobilità del dirigente tra i ruoli amministrativo, professionale e tecnico purché il richiedente sia in possesso del requisito di laurea richiesto per l’accesso dall’esterno” e la laurea in sociologia è per legge equipollente a quella in scienze politiche.
Più o meno nella stessa situazione dei sociologi si trovano le figure dirigenziali dell’Assistente sociale, istituite dall’art. 1-octies della legge 27/2006 che integrava l’art. 7 della legge 251/2000, ma rimaste completamente prive di normativa a valle, da quella concorsuale a quella contrattuale. Già nella tornata contrattuale 2016-2018 gli Assistenti sociali dirigenti sono stati “dimenticati” sia dal Ccnl dell’Area Sanità che da quello delle Funzioni locali e la situazione è ben ricostruita dall’Aran con l’Orientamento applicativo AIII327a. E’ necessario, quindi, che Sociologi e Assistenti sociali dirigenti trovino “casa”.
In conclusione, credo di poter affermare che l’intera materia deve trovare una sistematicità completa e razionale dove si arrivi ad armonizzare tutte le norme che negli ultimi anni si sono sovrapposte una all’altra senza, a volte, una logica. E ci si augura che venga finalmente abbandonata la tecnica della "novellazione a pettine" e il ricorso abnorme e improprio alla decretazione d’urgenza.


© RIPRODUZIONE RISERVATA