Lavoro e professione

Nadef: effetto-Pil sulle pensioni ma prima bisognerà recuperare le perdite del 2020

di Claudio Testuzza

S
24 Esclusivo per Sanità24

La Riforma Dini del 1995, che è a tutt’oggi ancora considerata tra le più importanti riforme del sistema pensionistico del nostro Paese, soprattutto per i suoi contenuti altamente innovativi, ha introdotto il sistema di calcolo contributivo, ovvero il calcolo dell’importo della pensione sulla base della somma di tutti i contributi versati nella vita lavorativa ( montante ).
Il calcolo contributivo dovrebbe rappresentare la garanzia di sostenibilità del sistema pensionistico nel problematico futuro della previdenza, connotato da squilibri demografici e tassi ridotti di sviluppo economico. Tra i principali fattori, che incidono su tale sistema di calcolo c’è infatti la crescita della ricchezza del Paese. Il cosiddetto prodotto interno lordo ( PIL ).
La pensione del lavoratore è , quindi, data dalla sommatoria dei contributi versati nel corso della vita lavorativa capitalizzati alla media quinquennale del Pil nominale e moltiplicati per il coefficiente di trasformazione stabilito dalla legge in base all’età del soggetto al momento del pensionamento. Possiamo, pertanto, affermare che dall’evoluzione del PIL dipenda in misura rilevante l’entità del futuro assegno pensionistico di chi oggi lavora. La legge Dini prevede infatti che : “ il tasso annuo di capitalizzazione è dato dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo, (PIL) nominale, appositamente calcolata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), con riferimento al quinquennio precedente l’anno da rivalutare”.

Ma se la variazione è negativa ? Infatti, anche se questo era stata considerata un’ evenienza assolutamente rara, ricordiamo che già nell’anno 2014, per la prima volta dall’entrata in vigore del sistema contributivo, l’ISTAT aveva comunicato un tasso di capitalizzazione negativo. In termini riduttivi ciò stava a significare che per chi avesse maturato al termine del 2013 un montante di 100.000 euro, la pensione sarebbe dovuta essere calcolata su 99.807 euro per effetto del Pil negativo. Ancora più marcato d’allora è stato il danno economico prodotti dal Coronavirus. Danno economico che ha determinato addirittura un calo per il 2020 dell’8,9 % del PIL. Per cui la valutazione futura dei trattamenti pensionistici è apparsa particolarmente negativa.

Ma le ultime valutazioni indicate dal Governo appaiono davvero confortanti perché l’economia sta tirando. Nel 2022 il PIL dovrebbe salire dal 6 %, nel 2022 oltre il 4,7 %. Livello davvero alto, ma realizzabile anche perché il dato in positivo va correlato ai tracolli passati. Per il 2023 il PIL previsto dovrebbe attestarsi al 2,8 % e nel 2024 all’1,9 per cento. Ma andando al PIL del 2020 il dato negativo non ha potuto, tuttavia, scalfire il montante previdenziale individuale in quanto il Governo aveva previsto, già nel 2014, con il decreto legge 65/2015, di congelare l’eventuale svalutazione, stabilendo che in tali circostanze debba essere applicato un tasso di rivalutazione comunque pari ad 1, cioè azzerando la perdita. Tutto bene, allora, e solamente vantaggi con i nuovi PIL in piena ascesa ? Non è proprio così ! Bene la previsione del congelamento della svalutazione, ma il decreto 65 precisava anche un “ salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive ”. In pratica gli aumenti saranno, ai fini dell’incremento pensionistico futuro, decurtati dalle perdite di Pil dell’anno Covid 2020, dovendo il sistema previdenziale recuperare il previsto azzeramento delle perdite con gli auspicati aumenti del PIL degli anni a venire.


© RIPRODUZIONE RISERVATA