Lavoro e professione

L'inflazione morde le pensioni

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

L’economia italiana è ripartita ma i prezzi al consumo continuano ad infiammarsi. L’Istat ha rivisto al rialzo il tasso di inflazione di settembre che, dal 2,9 % delle stime preliminari, è a novembre passato al 3,8 %, e forse in ulteriore incremento , tornando ad un massimo che non si toccava dal 2012. Se per i consumatori è suonato l’allarme, per i pensionati si comincia vedere il fuoco.
Che i pensionati, nel lungo periodo di sofferenze Covid, abbiano potuto, comunque, avere una condizione più favorevole rispetto ad altre categorie che, avendo perduto la possibilità di lavorare, si sono trovate in gravissime ristrettezze economiche, è indiscutibile. Ma questo, spesso, piccolo privilegio, non può farci dimenticare che per i pensionati l’inflazione è una vera e propria disgrazia. L’attuale forma d’incremento delle loro pensioni, come oggi previsto, comporta e comporterà un sempre più ridotto adeguamento al costo della vita. Ricordiamo che la così detta “perequazione” delle pensioni prevede un incremento annuo sulla base della percentuale dell’inflazione, calcolata dall’Istat, dell’anno precedente. Questa percentuale veniva, fino al 2021 applicata interamente solo alle pensioni fino a quattro volte il minimo (minimo oggi di 515,58 euro) Inps che in base alla normativa attualmente in vigore (Legge 145/2018) sono indicizzate al 100%. Si tratta, quindi, di assegni fino a 2mila euro lordi al mese. I trattamenti più elevati, invece, erano rivalutati solo parzialmente con la seguente modulazione: al 77% fra quattro e cinque volte il minimo Inps: al 52% fra cinque e sei volte il minimo; al 47% fra sei e otto volte il minimo; al 45% fra otto e nove volte il minimo. Sopra nove volte il minimo la rivalutazione è del 40%. È sconcertante pensare, che il blocco della rivalutazione, attivato in passato, abbia superato la soglia degli undici anni di anzianità. È certamente questa la parte più grave, iniqua e dolorosa introdotta dal legislatore. Tale sistema di adeguamento non ha mai tutelato concretamente il reale potere d’acquisto dei pensionati che, negli ultimi 16 anni, ha subìto oltre il 30% di perdita del suo valore.
Ultimamente è stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale, il decreto del 17 novembre 2021 del Ministero dell’Economia e delle Finanze che riguarda la perequazione delle pensioni. Si tratta cioè dell’adeguamento al costo della vita dei trattamenti previdenziali e assistenziali, che viene effettuato ogni anno tenendo conto dell’incremento del costo del paniere della spesa e delle bollette di luce e gas, al fine di non far perdere la capacità di acquisto a chi non è più nel mondo del lavoro. Il 31 dicembre 2021 scade l’ultimo rinnovo della disciplina transitoria introdotta con la riforma Fornero. Dal 2022, l’adeguamento all’inflazione seguirà le vecchie regole, con il ritorno delle classiche tre fasce di perequazione.
Adeguamento del 100% per le pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo.
Adeguamento del 90% per le pensioni tra le quattro e le cinque volte il trattamento minimo.
Adeguamento del 75% per le pensioni di oltre cinque volte il trattamento minimo.
La pensione minima è fissata a 515,58 euro. Le fasce sono dunque le seguenti.
Adeguamento del 100% fino a 2.062,32.
Adeguamento del 90% da 2.062,33 a 2.577,9‬.
Adeguamento del 75% oltre i 2.578.
Per l’anno 2021, la perequazione delle pensioni è stata determinata in misura pari a 1,7% dal 1° gennaio 2022, salvo conguaglio, che appare inevitabile visto l’incremento del dato Ista preso a riferimento, da effettuarsi per l’anno successivo
Comunque vada il potere d’acquisto dei pensionati si troverà, ancora una volta, a ridursi e avrà, con il sistema della perequazione a scaglioni, modeste possibilità di recupero. Appare, quindi, necessario, nel corso delle trattative sul sistema previdenziale puntare anche a intervenire sul fronte pensioni in grossa sofferenza se non si vuole far passare i pensionati nel novero della povertà.


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