Lavoro e professione

Quella previdenza «nemica» delle donne

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Molte attività e realtà sociali sono troppo calibrate sugli uomini dimenticando che l’universo femminile è spesso diverso. Basti considerare la sperimentazione dei farmaci a discapito delle differenze strutturali e ormonali delle donne rispetto a quelle degli uomini, le tipologie degli ambienti di vita che non considerano le esigenze del mondo femminile, così come i sussidi alla maternità
Ma dove il sistema appare ancor più punitivo è l’ambito previdenziale attuale. Molte lavoratrici hanno carriere discontinue e meno anni di versamenti.
Spesso le donne inseguono la pensione e le possibilità di migliori scelte ma quasi mai riescono a raggiungerle. E quando lo fanno, come è il caso di Opzione donna, lo realizzano con penalizzazioni che nessun altro in Italia sperimenta. E questo perché deroghe e scivoli pensati negli ultimi dieci anni, dopo la riforma Fornero, sono calibrati soprattutto su carriere lunghe, continue, ben remunerate. In una parola: disegnate per gli uomini. L'esatto opposto di quanto avviene a una donna nel nostro Paese, tanto più se anche madre. Vero è che nel passato le donne italiane hanno beneficiato di sconti rispetto agli uomini. E c'erano anche le baby pensioni - per tutti, non solo le donne! - che permettevano ai lavoratori pubblici di salutare tutti dopo 14 anni, 6 mesi e 1 giorno di contributi da quarantenni pensionati. Ma da allora, 1993 con la riforma Amato, il discorso si è ribaltato. Fino all'ultimo decennio. Un dato su tutti: prima del 2012 due terzi dei pensionati di vecchiaia erano donne, con la riforma Fornero la curva si è invertita con due terzi uomini a uscire con l'età. Il divario di genere si è chiuso solo nel 2020, quando le donne sono tornate ad andare in pensione di vecchiaia (+70 % sul 2019 ). Per loro la legge Fornero non si è mai eclissata. Anzi, si è tradotta in un improvviso maxi scalone di 7 anni. Vera trappola per 400mila lavoratrici, con un risparmio per lo Stato di 8,9 miliardi. Per non parlare degli esodati e soprattutto delle esodate : lavoratori vicini alla quiescenza, all'improvviso senza pensione e senza neanche uno stipendio. Nove salvaguardie hanno salvato più di qualcuno/a. Ma molte donne si sono trovate ancora a rincorrere la pensione.
Si è allora aggiornata l’ Opzione donna, istituita dalla legge Maroni nel 2004 e per anni ignorata perché l'età della vecchiaia all'epoca era 60 anni e conveniva aspettare anziché uscire a 57.
Dal 2012 è sembrata l'unica scialuppa di salvataggio, quel pensionamento a 58-59 anni con 35 di contributi. Ma ecco la sorpresa negativa : il ricalcolo tutto col contributivo della pensione con una perdita dal 20 al 30 per cento della pensione.
Con l'Ape sociale, legge di bilancio 2017, le donne hanno sperato. Prometteva bene l'idea dello sconto contributivo per le madri, fino a due anni per un massimo due figli. Però poi l'uscita a 63 anni è stata ancorata a 30 o 36 anni di contributi (per le mansioni gravose) e le donne non avendo una carriera lunga e continua, non arrivano ad accumulare così tanti contributi. Sino ad adesso con l’Ape hanno beneficiato solo 26.233 donne contro 42.291 uomini, 38% contro il 62%. Sempre meglio di Quota 100, dove il rapporto è di 31% contro 69%. Gli ultimi dati aggiornati a ottobre dell'Inps parlano di 113.614 quotiste (per il 60% nel settore pubblico) contro 250.703 quotisti. Quota 100 consente di uscire a 62 anni, ma con 38 di contributi: peggio dell'Ape sociale. Non meraviglia quindi che escluda ancora una volta le donne.
La differenza di genere, evidente nelle buste paga, si riflette nelle pensioni per cui le donne escono tardi e con mini assegni. Nel 2020 la pensione di vecchiaia in media valeva 740 euro lordi al mese per le donne contro 1.079 degli uomini. Nel settore privato anche peggio: 737 contro 1.439 euro, la metà.


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