Lavoro e professione

Morti improvvise nello sport: quando la genetica può prevenirle

di Peter J.Schwartz *

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24 Esclusivo per Sanità24

Troppo spesso veniamo colpiti dalla notizia che un giovane in buona salute, magari un atleta, è morto improvvisamente e allora ci domandiamo: "non si poteva sapere prima che era a rischio?". Una utile risposta a questa domanda giunge da tre documenti appena pubblicati in Europa in cui si evidenzia che in molte condizioni lo screening genetico effettuato sulla base di un sospetto clinico aiuta i medici a formulare una diagnosi precisa, fornisce informazioni sulla prognosi e può determinare la terapia più efficace. Per esempio nella sindrome del QT lungo, che può essere fatale ma che si cura molto bene, l’elettrocardiogramma può essere quasi normale e l’analisi genetica è necessaria per chiarire la diagnosi e permettere una terapia “mirata” in quanto la specifica variante genetica può determinare le situazioni a rischio (quali sforzi fisici o rumori improvvisi) come abbiamo dimostrato 20 anni fa.
Il grande impatto clinico della genetica è ben dimostrato dal fatto che una volta identificata la mutazione che causa la malattia in un soggetto diventa possibile, in pochi giorni, valutare l’intera famiglia (queste malattie genetiche si trasmettono con una probabilità del 50% ad ogni gravidanza e quindi molti familiari possono essere affetti). Ad esempio, dopo un arresto cardiaco in un atleta diventa imperativo cercare di identificare la mutazione responsabile e poi cercarla subito in tutta la famiglia per prevenire ulteriori rischi o tragedie.
Oggi abbiamo anche a disposizione la pubblicazione di una utile guida ai Medici dello Sport per decidere quando è opportuno eseguire uno screening genetico in un atleta, sulla base del sospetto diagnostico di varie cardiomiopatie (come la cardiomiopatia aritmogena o la cardiomiopatia ipertrofica) e canalopatie (come sindrome del QT lungo o sindrome di Brugada). Particolarmente importante è l’informazione riguardante le probabilità che il test genetico dia risposte utili per una decisione clinica perché queste probabilità variano da malattia a malattia e sono particolarmente alte per la sindrome del QT lungo e per la Tachicardia Ventricolare Catecolaminergica (Cpvt).
Abbiamo infine un documento, pubblicato sullo European Journal of Preventive Cardiology e coordinato dal Prof. Michael Papadakis di Londra, in cui viene fornito un approccio pratico alle diverse casistiche, presentando una serie di scenari clinici per sottolineare l’importanza del test genetico per la diagnosi, la stratificazione del rischio e la terapia in atleti in cui si sospetti una cardiopatia o una canalopatia ereditaria.
È sempre più evidente quindi come la genetica delle aritmie sia uscita dai laboratori di ricerca e sia ora in grado di contribuire in modo decisivo al management clinico e alla prevenzione della morte cardiaca improvvisa, soprattutto nei giovani e negli atleti.

* Direttore del Centro per lo Studio e la Cura delle Aritmie Cardiache di Origine Genetica e del Laboratorio di Genetica Cardiovascolare dell’Irccs Auxologico di Milano


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