Lavoro e professione

Violenze contro i sanitari, così va potenziata la legge tra fase preventiva e repressiva

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Sono ormai passati due anni e mezzo dall’entrata in vigore della legge sulle violenze contro i sanitari e si può affermare quello che, purtroppo, è sotto gli occhi di tutti: la situazione è addirittura peggiorata e gli effetti della legge sono del tutto inconsistenti. Negli ultimi giorni, a fronte degli ennesimi episodi di violenza, i soggetti pubblici interessati sono intervenuti con contenuti piuttosto diversificati. Ecco una breve sintesi:
• Il ministro della Salute ha dichiarato di aver già avuto i primi colloqui con il ministro dell'Interno per avviare dei protocolli tra le Prefetture e le aziende ospedaliere per far sì che ci possa essere un pronto intervento in caso di aggressione.
• La Fnomceo ritiene che è necessario recuperare la dimensione umana nell’assistenza ma nel contempo, serve una maggiore sorveglianza, l’impiego di tutti quei sistemi di sicurezza che restituiscano a tutti la serenità necessaria per esercitare questa delicata professione.
• La Fiaso ha avanzato la proposta di arginare e prevenire gli episodi di aggressione fisica e verbale perpetrati nei confronti dei professionisti sanitari, a partire dalla stipula di protocolli operativi con le forze dell'ordine nei casi di violenza in ospedale e nei luoghi di cura.
• L’Anaao Assomed afferma che quanto è stato fatto non è abbastanza e che le misure di deterrenza sono utili ma non determinanti. Serve un'azione «strutturale» con più strategie da attuare insieme, come attribuire al medico lo status di pubblico ufficiale, per esempio.
•La Cimo-Fesmed chiede l'invio nelle strutture ospedaliere le Forze dell'Ordine, eventualmente anche l'esercito, per garantire l'ordine pubblico.
• Altri sindacati hanno dichiarato di aver già in programma degli eventi di formazione per autodifesa e supporto psicologico.
L’elemento comune a tutti gli interventi è quello che si rivolgono alla fase preventiva – la più difficile, quasi impossibile da gestire – mentre quasi nulla si dice riguardo alla repressione e alle evidenti necessarie modifiche della legge. La prevenzione fisica è quasi impossibile se si analizzano tutti gli episodi di violenza accaduti. Le aggressioni si svolgono all’improvviso e in pochi secondi e l’intervento delle forse dell’ordine – quand’anche si ripristini il posto di polizia in tutti gli ospedali – sarebbe sempre inevitabilmente tardivo. Senza contare la situazione delle strutture territoriali, a volte isolate. Tra l’altro, dove si trovano migliaia di poliziotti ? Se la finalità è quella della deterrenza va bene, ma i protocolli ipotizzati dal Ministro dovevano essere fatti già da due anni (art. 7 della legge 113/2020), Sicuramente più efficace l’installazione di telecamere che avrebbero il pregio di servire all’identificazione degli aggressori. Sotto questo aspetto, potrebbe essere un punto di riferimento l’esperienza di Ancona, dove sono state installate 500 telecamere in tutta la città e, in particolare, in ospedale. Ha ragione il segretario nazionale dell’Anaao a proporre la qualifica di pubblico ufficiale, ma tutta la giurisprudenza da tempo ha avallato questa previsione, nel senso che i medici sono "già" pubblici ufficiali. Quello che si potrebbe fare è una norma legislativa che lo ribadisca in modo esplicito e inequivocabile, percepibile da tutti: gli esercenti le professioni sanitarie, nell’espletamento delle loro funzioni, sono pubblici ufficiali ai sensi dell’art. 357 del cp. Riguardo alla proposta della Cimo, voglio credere che sia soltanto una provocazione e, peraltro, chi l’ha avanzata dovrebbe informarsi sulle regole di ingaggio dei militari nell’Operazione "Strade sicure".
Senz’altro utili le iniziative "fai da te" relative ai corsi di autodifesa. In tal senso il recente Ccnl del comparto ha previsto che le aziende sanitarie "favoriscono la formazione di tutto il personale finalizzata alla conoscenza dei rischi potenziali per la sicurezza e le procedure da seguire per proteggere sè stessi ed i colleghi da atti di violenza, attraverso la formazione sui rischi specifici connessi con l’attività svolta, inclusi i metodi di riconoscimento di segnali di pericolo o di situazioni che possono condurre ad aggressione, metodologie per gestire pazienti aggressivi e violenti". (art. 65, comma 4)
Preoccuparsi, esecrare, auspicare non basta più; bisogna puntare seriamente sulla fase repressiva e sul supporto al personale aggredito, senza tuttavia tralasciare la prevenzione anche se è, ripeto, estremamente complessa da realizzare. Chi scrive sostiene da due anni che la legge 113/2020 ha ancora molti spazi di miglioramento e anche i contratti collettivi possono contribuire a combattere questo fenomeno.
In particolare, perché il quadro repressivo e di supporto possa diventare più completo, ho suggerito:
• obbligatorietà della segnalazione alla Procura da parte dell’Azienda sanitaria;
• la obbligatorietà della costituzione di parte civile dell’Azienda;
• la previsione del danno all’immagine per l’Azienda e del danno esistenziale per il sanitario;
• introduzione della pena accessoria del volontariato in ospedale;
• per i casi più gravi o reiterati benefici similari a quelli stabiliti per le donne vittime di violenza;
• specifiche polizze integrative dell’assicurazione obbligatoria nell’ambito del welfare aziendale;
• rivalsa della retribuzione erogata ai dipendenti assenti dal servizio a causa delle aggressioni;
• finalizzazione dell’importo delle multe alla sicurezza del personale sanitario, come già previsto nel Ccnl dell’Area della Sanità.


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