Medicina e ricerca

Diabete e scompenso cardiaco, i risultati dello studio Tecos

di Giuseppe Ambrosio - Ordinario di Cardiologia, Università di Perugia- Coordinatore studio TECOS (Italia)

S
24 Esclusivo per Sanità24

Il diabete sta assumendo in tutto il mondo dimensioni pandemiche, ponendo così una grande sfida alla sostenibilità dei sistemi sanitari dei vari Paesi. Una diagnosi tempestiva di questa condizione e un trattamento su misura, che rispetti caratteristiche e attitudini del paziente, rappresentano la ricetta ideale per mettersi al riparo dalle temibili complicanze di questa condizione, che vanno dalle alterazioni della vista all'insufficienza renale fino alla dialisi, alle amputazioni, e soprattutto alle patologie cardiovascolari (infarto, scompenso cardiaco, ictus).
Attualmente si stima che a soffrirne nel mondo siano 387 milioni (prevalenza 8,3%). Una persona su 12, dunque. Dato al quale affiancarne un altro che aggrava ulteriormente il quadro: un malato su due non sa di esserlo. E le previsioni per il futuro non sono affatto rosee: entro il 2035 infatti il numero delle persone con diabete potrebbe superare i 592 milioni. Il diabete rappresenta l'ottava patologia nel mondo, nel 2014 ha causato 4,9 milioni di decessi, per lo più determinati da patologie cardiovascolari: ogni 7 secondi una persona muore per cause correlate alla patologia. I dati sono ancora più preoccupanti nei paesi sviluppati, a causa delle abitudini di vita e della maggiore sopravvivenza, che aumentano l'incidenza di diabete.
Come detto, il diabete aumenta anche il rischio di complicanze macrovascolari, in primo luogo di infarti e ictus, e non a caso sono proprio gli eventi cardiovascolari la principale causa di mortalità tra le persone con diabete di tipo 2, in particolare tra i più anziani (il 70% dei decessi in questa fascia d'età è dovuto ad un evento cardiovascolare). Il rischio relativo di mortalità cardiovascolare nelle persone con diabete è nettamente superiore a quello della popolazione generale, in entrambi i sessi, tanto che i pazienti con diabete di tipo 2 presentano un rischio di infarto paragonabile a quello di chi ha avuto un pregresso infarto. Dopo aggiustamento per la presenza di altri comuni fattori di rischio cardiovascolari, la possibilità di sviluppare una patologia cardiovascolare in una persona con diabete resta quasi il doppio di quella della popolazione generale. L'aspettativa di vita in un quarantenne con diabete, rispetto ad un coetaneo senza la malattia, è ridotta di circa 6-10 anni.

Ma il diabete non è solo un fattore di rischio indipendente per l'infarto ed altri eventi coronarici; si associa infatti anche ad una maggior incidenza di scompenso cardiaco, sia nelle donne (rischio aumentato di 5 volte), che negli uomini (aumento di 2,4 volte). Si stima che la prevalenza di scompenso cardiaco tra le persone con diabete sia dell'11,3%; l'incidenza di scompenso cardiaco tra le persone con diabete è cioè 2,5 volte superiore a quella della popolazione generale.
Dal 2008, l'autorità americana che negli USA controlla la messa in commercio dei farmaci (FDA, Food and Drug Administration) ha imposto alle aziende produttrici di nuovi farmaci per il diabete di tipo 2 di effettuare degli studi di “sicurezza cardiovascolare” che, con un disegno statistico di ‘non inferiorità', dimostrino chiaramente l'assenza di qualunque rischio cardiovascolare inerente all'impiego dei nuovi farmaci. Questa decisione dell'FDA è stata presa sulla scia della pubblicazione di una metanalisi che suggeriva la presenza di un aumentato rischio di infarto con l'impiego del rosiglitazone, un farmaco della classe dei tiazolinedioni.

Nasce in questo contesto lo studio TECOS (Trial Evaluating Cardiovascular Outcomes with Sitagliptin), il più lungo studio di safety cardiovascolare con un ipoglicemizzante orale mai condotto, multicentrico (ha interessato oltre 38 nazioni, con centinaia di centri di arruolamento, tra cui l'Italia che ha partecipato con 192 pazienti), randomizzato versus placebo, in doppio-cieco.
Si tratta di uno studio di non inferiorità controllato con placebo sulla sicurezza cardiovascolare di Sitagliptin, un inibitore della dipeptidil-dipeptidasi 4 (DPP-4), utilizzato in aggiunta alla terapia tradizionale in oltre 14.000 pazienti affetti da diabete di tipo 2 ed inoltre ad elevato rischi cardiovascolare per la loro storia clinica.
Lo studio, una ricerca accademica indipendente portata avanti dalla Diabetes Trial Unit (DTU) della Oxford University e dal Clinical Research Institute della Duke University, ha raggiunto il suo endpoint primario composito cardiovascolare di non-inferiorità (definito come il tempo alla prima occorrenza di uno dei seguenti eventi: morte per cause cardiovascolari, infarto o ictus non fatali, o ospedalizzazione per angina instabile) comparato alla terapia tradizionale senza Sitagliptin. Complessivamente, l'endpoint primario è stato raggiunto nell'11,4% (n=839) dei pazienti trattati con Sitagliptin comparato all'11,6% (n=851) dei pazienti trattati con placebo nella analisi Intention-to-Treat (ITT) (HR= 0.98; 95% CI 0.89-1-08; p<0.001, altamente significativo per non inferiorità). Risultati analoghi sono stati confermati in entrambi i gruppi, Sitagliptin e placebo anche nella analisi Per Protocol (PP) (HR=0.98; 95% CI 0.88-1.09;). Da sottolineare che, tra gli endpoint secondari non si è riscontrato nessun aumento dei ricoveri per insufficienza cardiaca o scompenso, e che e i tassi di mortalità per tutte le cause sono stati sovrapponibili nei due gruppi di studio.

I risultati dello studio sono stati presentati nelle Sessioni Scientifiche del Congresso dell'American Diabetes Association e pubblicati contemporaneamente sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine. Risultati chiari e confortanti perché ci dicono in maniera inequivocabile che il trattamento con Sitagliptin non presenta alcun incremento di rischio cardiovascolare. I pazienti trattati con Sitagliptin non hanno riportato variazioni sia per ictus e infarto che anche per scompenso cardiaco, che invece in studi precedenti su farmaci di questa stessa classe aveva causato qualche perplessità. Le due curve sono assolutamente sovrapponibili.

Questi studi di sicurezza cardiovascolare sono intesi non per dimostrare un beneficio aggiuntivo dei farmaci ma una loro non-inferiorità, cioè per garantire che non comportino rischi aggiuntivi per il paziente sotto il profilo cardiovascolare.
Il fatto che in una popolazione molto a rischio, come quella selezionata per lo studio, non si sia registrato alcun incremento di rischio dà un'opzione al medico di operare in assoluta tranquillità, sia per questo tipo di pazienti che anche per quelli nelle condizioni iniziali della malattia nei casi in cui è indicato, quando è fondamentale trattare il paziente a un target ambizioso, ma in piena tranquillità con un favorevole profilo di sicurezza, per prevenire il danno vascolare, con il valore aggiunto di un'altissima tollerabilità del trattamento, senza aumento di peso e soprattutto con un ridotto rischio di crisi ipogligemiche.


© RIPRODUZIONE RISERVATA