Medicina e ricerca

Medulloblastoma: speranze per una terapia personalizzata a bersaglio molecolare

di Gianluca Canettieri (professore associato di Patologia Generale - Università “La Sapienza” di Roma)

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Il medulloblastoma è il tumore del sistema nervoso centrale più comune nell'età infantile e colpisce prevalentemente bambini tra i due e i sette anni di età. Ne è affetta circa una persona su duecentomila e si manifesta con sintomi neurologici, come perdita dell'equilibrio e della coordinazione, visione doppia, cefalea, nausea, vomito.
Il trattamento, che prevede la rimozione chirurgica associata a radio e chemioterapia, permette un tasso di sopravvivenza media del 70%. Sfortunatamente il rimanente 30% dei pazienti non è trattabile o va incontro a recidive. Inoltre, nella grande maggioranza dei casi, dopo il trattamento insorgono gravi effetti collaterali permanenti, prevalentemente di tipo neurologico, che compromettono i movimenti, l'apparato sensoriale e cognitivo.
Per tale motivo sono auspicabili strategie terapeutiche alternative, che aumentino la sopravvivenza e riducano gli effetti collaterali. Una delle strade più promettenti in tal senso è la cosiddetta terapia personalizzata a bersaglio molecolare. Tale approccio mira a identificare “vie molecolari” alterate in un determinato tumore, da cui esso dipende per la sua crescita, e tentare di disinnescarle usando farmaci specifici.
Il sequenziamento dell'intero genoma in un ampio numero di pazienti ha portato a una comprensione dettagliata dei geni e delle vie molecolari alterate nel medulloblastoma. Sono stati identificati quattro distinti gruppi molecolari, ciascuno caratterizzato da specifici gruppi di geni e vie molecolari alterate. Uno di questi è il cosiddetto medulloblastoma del gruppo Hedgehog (Hh).
In questi pazienti (circa il 40% di tutti e il 60% di quelli in età pediatrica) il medulloblastoma è causato dall'abnorme attivazione della via di Hedgehog, un insieme di proteine che normalmente regola lo sviluppo embrionale e la proliferazione delle cellule staminali. In questi pazienti, la via di Hh funziona “ad alto regime” e questo predispone le cellule normali a trasformarsi in neoplastiche.
Oltre al medulloblastoma, l'iperattivazione della via di Hedgehog si riscontra anche in altri tipi di tumore, come il carcinoma a cellule basali della pelle e vari altri tipi di neoplasie, tra cui quelle della prostata, del pancreas, della mammella, del polmone e del colon.
E' chiaro quindi che, una volta constatato il ruolo cruciale svolto da questa via molecolare nella patogenesi tumorale, il passo successivo è quello di tentare di identificare farmaci in grado di bloccarla.
Screening di molecole, eseguiti da università e case farmaceutiche, hanno portato all'identificazione di alcuni farmaci che riescono a bloccare la via legando il recettore di membrana. Si tratta dei cosiddetti “antagonisti di Smoothened”. Uno di essi, il vismodegib, è stato approvato nella pratica clinica per il carcinoma a cellule basali (BCC). Nei pazienti affetti da medulloblastoma la sperimentazione clinica ha mostrato che il vismodegib fa regredire il tumore rapidamente. Tuttavia, sfortunatamente, nel giro di poco tempo i pazienti sviluppano recidive, dovute all'insorgere di meccanismi di resistenza al farmaco, messi in atto dalle cellule tumorali. In altre parole, il tumore trova il modo di far funzionare comunque la via, passando dalla porta di servizio invece che da quella principale.

Come contrastare questo meccanismo?
E' questa la domanda che ormai da qualche anno ci poniamo con il nostro gruppo di ricerca del Dipartimento di Medicina Molecolare della Sapienza e con l'Istituto Pasteur di Roma.
Una prima strategia è di colpire dei bersagli molecolari noti, localizzati più “a valle” dei recettori, primi tra tutti i cosiddetti fattori di trascrizione Gli. Nei nostri laboratori abbiamo identificato alcuni farmaci in grado di esercitare questa funzione, come ad esempio gli inibitori HDAC. Questi farmaci, detti anche epigenetici, inibiscono Gli promuovendone il legame a una molecola di acido acetico.
Un'alternativa a tale approccio è di identificare nuovi elementi della via, bersagliabili farmacologicamente. In tale ottica, abbiamo avviato alcuni anni fa degli screening, arrivando a individuare una nuova via di segnalazione, non canonica, fondamentale per lo sviluppo tumorale. Tale via porta alla produzione intracellulare di poliammine, piccole molecole a carica positiva associate alla proliferazione cellulare e spesso aumentate nei tumori. Abbiamo capito nel dettaglio i vari passaggi che portano all'aumento delle poliammine nel medulloblastoma, utilizzando vari approcci metodologici. Abbiamo osservato che la via di Hh regola direttamente della sintesi proteica di un enzima, l'ornitina decarbossilasi (ODC), che catalizza il primo passaggio della biosintesi delle poliammine. Questa evidenza ci è sembrata molto importante, soprattutto perché esiste un farmaco, il DFMO, che inibisce efficacemente l'enzima ODC. Abbiamo pertanto somministrato il DFMO a modelli animali di medulloblastoma per vedere se riuscivamo a contrastare la crescita del tumore. Gli effetti osservati confermavano la nostra ipotesi: l'inibizione farmacologica di ODC riesce a rallentare in modo significativo la crescita del tumore. I risultati del nostro studio sono stati pubblicati sulla rivista Developmental Cell lo scorso ottobre 2015.
Sarà possibile utilizzare questo farmaco nei pazienti affetti da medulloblastoma? E' chiaro che questo è l'aspetto più importante da capire. Il DFMO è un farmaco relativamente innocuo con effetti collaterali di modesta entità ed è già in fase di sperimentazione clinica in un altro tumore del sistema nervoso: il neuroblastoma. Tuttavia, per poterlo usare nei pazienti con medulloblastoma saranno necessari altri studi sui modelli animali, analizzando accuratamente la risposta farmacologica nel corso del tempo, ampliando la casistica e valutando l'efficacia di questo farmaco in monoterapia o in associazione con terapie convenzionali.


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