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Diabete, i tre “punti chiave” dell’insulina biosimilare: centralità del medico, qualità del prodotto, sostenibilità

Centralità della valutazione clinica, elevata qualità del prodotto, opportunità di liberare risorse da reinvestire per l'innovazione farmaceutica. Sono questi i tre punti chiave, i “pilastri” che rappresentano una delle novità più rilevanti del panorama farmaceutico di questi ultimi anni. Sono i farmaci biosimilari e sono già oggi in grado di conciliare la qualità della cura con la sostenibilità. Qualità significa anche strumenti educazionali e servizi a disposizione dei pazienti. Già presenti in molti settori, i biosimilari sono da poco disponibili in ambito diabetologico con il primo biosimilare per la terapia insulinica: l'insulina glargine biosimilare. Un passo fondamentale perché per la prima volta i biosimilari riguardano la terapia di una malattia ad altissima diffusione tra la popolazione: il diabete. Per 650mila di questi pazienti dieta, esercizio fisico e farmaci orali non sono sufficienti a tenere sotto controllo la glicemia, e necessitano di insulina: parliamo di 390 mila i pazienti con diabete di tipo 2, a cui si sommano gli oltre 260 mila colpiti da diabete di tipo 1. Dei biosimilari nel campo del diabete si è parlato nell'ambito di una tavola rotonda tra specialisti che si è svolta nell'ambito del congresso nazionale della Società Italiana di Diabetologia in corso a Rimini.
«Trattandosi di un farmaco biotecnologico – spiega Pier Luigi Canonico, direttore del Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università del Piemonte Orientale (Novara) – il biosimilare non va considerato come un equivalente (generico). Quest'ultimo è di sintesi chimica, facilmente riproducibile e dal basso peso molecolare; il biosimilare viceversa è una molecola con alto peso molecolare realizzata con la tecnica biotecnologica del Dna ricombinante. Si tratta cioè di un prodotto complesso, realizzato grazie a tecniche di biologia molecolare a immagine e somiglianza del farmaco biotecnologico originatore ed approvato obbligatoriamente mediante una procedura europea centralizzata: una caratteristica importante è che il biosimilare deve avere dimostrato caratteristiche cliniche di efficacia, sicurezza ed immunogenicità sovrapponibili all'originatore. Le procedure per la registrazione di un biosimilare sono, pertanto, tutt'altro che semplificate, come accade invece per i generici, per i quali sono necessari solo studi di bioequivalenza: un biosimilare deve sottostare a regole stringenti per la produzione, deve superare una mole importante di studi preclinici e deve seguire l'iter dei trial clinici che ne certificano l'assoluta sovrapponibilità di comportamento rispetto all'originatore».
«Occorre considerare – aggiunge Agostino Consoli, professore ordinario di Endocrinologia all'Università di Chieti e Pescara – che il passaggio alla terapia iniettiva con insulina ha un impatto emotivo forte ed è vissuto da molti pazienti come un ‘salto nel buio'. Questo nuovo biosimilare dell'insulina, oltre a permettere di offrire una terapia insulinica efficace e sicura ad un prezzo più basso, viene abbinato ad una penna di iniezione molto accurata ed ancora più semplice da utilizzare. Inoltre, insieme a questo farmaco, saranno offerti nuovi strumenti educazionali e servizi sviluppati per essere semplici, chiari e con un linguaggio vicino al paziente, facilitando la gestione della terapia insulinica basale. Questo non potrà non avere un impatto sulla qualità della cura di quella che è una cospicua fascia di pazienti diabetici che utilizzano la terapia insulinica basale (tutti coloro che soffrono di diabete di tipo 1, tranne quella percentuale, molto modesta in Italia, che usa il microinfusore insulinico, ed oltre il 25% dei pazienti con diabete di tipo 2, che in Italia sono circa tre milioni)».
«Fatte queste considerazioni – continua Consoli – occorre comunque ricordare che la scelta di utilizzare un farmaco biosimilare è una scelta che appartiene al medico. Specialmente nel caso di pazienti già in terapia insulinica, la ‘sostituzione automatica' non è una opzione praticabile e non può e non deve prendere il posto di una scelta clinica ragionata che valuti la convenienza ed i vantaggi. Questa scelta deve comunque tenere conto in primis della storia clinica e degli schemi terapeutici del singolo paziente, per il quale - ed insieme al quale - dobbiamo disegnare le strategie più efficienti ed efficaci per raggiungere e mantenere un controllo metabolico ottimale. L'insulina glargine biosimilare è stata infatti sperimentata in numerosi studi di confronto con l'originatore, l'insulina glargine: i due studi condotti in pazienti con diabete di tipo 1 e di tipo 2, ad esempio, hanno dimostrato che non esistono differenze significative in termini di efficacia, sicurezza ed immunogenicità».
«Questa novità – precisa Federico Spandonaro, economista sanitario, professore aggregato presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata e presidente di Crea Sanità – rappresenta una grande opportunità per la sostenibilità dei sistemi sanitari: finita l'‘ondata' dei farmaci generici, ora possiamo attenderci risparmi dall'arrivo dei biosimilari, che creano condizioni di competizione (e quindi potenziali riduzioni dei prezzi) in un mercato costituito da terapie dagli alti costi unitari, che vale circa 5 miliardi di euro. I risparmi che saranno possibili, senza peraltro penalizzare la qualità dell'assistenza, costituiscono linfa vitale sia per liberare risorse destinate alle future innovazioni, sia per allargare la platea dei pazienti in trattamento».


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