Medicina e ricerca

I non obiettori a Ban Ki-moon: una giornata dell’aborto sicuro per salvare 50mila donne ogni anno

di Elis Viettone

«L’aborto non in sicurezza rimane la principale causa di morte delle donne in età fertile nel mondo, ecco perché bisogna affermare l'importanza di questa giornata». Lo ha dichiarato Silvana Agatone, presidente di Laiga, Libera associazione di medici non obiettori di coscienza in Italia, poco prima di intervenire oggi al parlamento europeo a Bruxelles, in occasione della giornata internazionale del diritto all'aborto sicuro.
Guardando la situazione nel nostro Paese non consola l'invito in sede Ue: in Italia infatti dal 1978 esiste la legge per l'interruzione volontaria di gravidanza che rischia però di rimanere lettera morta a causa delle percentuali anche del 91% di obiettori di coscienza tra i ginecologi, ostetriche, anestesisti e personale sanitario.
Non è stato sufficiente il richiamo per ben due volte, nel 2014 e nel 2016, da parte del Tribunale europeo per i diritti sociali, che a seguito dei un ricorsi di Laiga, Ippf En (International Planned Parenthood Federation - European Network) e Cgil aveva esortato l'Italia a intraprendere azioni concrete per assicurare questo diritto alle donne ed eliminare le discriminazioni in campo professionale dei pochi medici che ancora applicano la legge.
Rimane il fatto che il focus sulla situazione italiana in programma oggi al parlamento Ue viene presentato come un cattivo esempio della tutela dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne, accostato a Paesi quali Polonia o Irlanda, dove abortire è praticamente vietato se non in casi estremi, e la tendenza globale in materia non è di certo più rassicurante.
«Senza arrivare all'estremismo di Trump, che promette una legge valida su tutto il territorio Usa per negare in ogni caso il diritto di abortire» - spiega Elisabetta Canitano del comitato scientifico di Laiga e presidente dell'associazione Vita di Donna - «abbiamo l'esempio della Polonia, dove è stata proposta una norma in cui vengono cancellati anche i pochi casi, pericolo di vita per la madre, stupro e incesto, in cui l'intervento era consentito. Per arrivare da noi – sottolinea con preoccupazione la ginecologa – dove il ministro della Salute Beatrice Lorenzin fa parte di un gruppo conservatore che ha lanciato la campagna “One of Us”, in difesa dei diritti di feti ed embrioni, in contrapposizione a quelli delle donne, che in poco tempo ha raccolto 1 milione e 800mila adesioni».
Ecco il perché della mobilitazione di un network di 1.800 gruppi e associazioni sparsi in 115 Paesi del mondo che insieme hanno chiesto a gran voce alle Nazioni Unite di riconoscere il 28 settembre come data ufficiale per il diritto all'aborto sicuro, indirizzando una lettera al segretario generale Ban Ki-moon. Ogni anno sono infatti sono quasi 50mila le donne che perdono la vita a causa di un aborto non legale e quindi non sicuro. Eppure una giornata ufficiale per richiamare l'attenzione su questo tema ancora non esiste.
Esiste piuttosto una giornata istituzionale, almeno in Italia, per la promozione della fertilità, che tanto scalpore ha suscitato nelle scorse settimane. «È assurdo che vengano spesi soldi in una campagna di sensibilizzazione di questo tipo – commenta indignata Agatone – come se il problema fossero i giovani che non riescono a procreare, e non piuttosto una loro scelta determinata da motivi sociali ed economici che li spingono a non mettere su una famiglia. Che invito dovrebbero cogliere, quello di fare figli per poi vivere tutti insieme nella povertà assoluta? - si chiede retoricamente la presidente di Laiga – Dall'altra parte vedo lo smantellamento progressivo ma inesorabile dei consultori, quei centri pubblici istituiti proprio per aiutare le donne a una pianificazione famigliare consapevole».
Così, mentre il ministero ribadisce che il servizio sanitario nazionale garantisce la possibilità di abortire e che in Italia non c'è un'emergenza legata all'applicazione della legge 194/78, quei pochi operatori sanitari che ancora praticano le interruzioni descrivono scenari da incubo, con ragazze costrette a fare la fila dalle 5 del mattino davanti ai pochi centri ospedalieri che praticano gli aborti per non perdere il turno, donne lasciate ad abortire tra dolori indescrivibili da sole nel letto d'ospedale, Regioni in cui per interrompere una gravidanza è necessario viaggiare per centinaia di chilometri perché intere province hanno abolito completamente la prestazione.
«A completare il quadro, c'è l'atteggiamento pilatesco di moltissimi di questi medici obiettori - sottolinea Agatone - che, in servizio presso i centri di analisi diagnostica prenatale, quando incontrano dei problemi del feto se ne lavano semplicemente le mani. Immaginate di scoprire in seguito ad alcuni accertamenti che il figlio che avevate voluto ha dei problemi di salute e che siete costrette, con grande dolore, a interrompere la gravidanza. Bene, il medico che avete davanti non vi darà nemmeno un indirizzo o un telefono: da questo momento è un problema vostro», conclude amareggiata la ginecologa.


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