Medicina e ricerca

Ci possiamo fidare dei risultati di laboratorio? Luci e ombre della valutazione delle tecnologie sanitarie

di Mario Plebani (Cattedra di Biochimica Clinica e Biologia molecolare clinica- Presidente Scuola di Medicina e Chirurgia, Università di Padova)

C'era una volta Elizabeth Holmes. Una giovane ricercatrice inserita da Forbes fra le persone più ricche degli Stati Uniti. La sua fortuna: una nuova compagnia che promette un sistema di prelievo indolore, su piccolissimi volumi di sangue, tecnologie innovative, costi rasati. Questa nuova azienda viene battezzata Theranos. Per diffondersi, crea una sinergia con una nota catena americana di farmacie e centri benessere, Walgreens, ed apre circa 80 punti di prelievo. Il business lievita ma, a distanza di tre anni, il sogno si infrange. La Holmes è costretta ad annunciare formalmente la chiusura dell'attività: una serie di visite ispettive da parte degli organismi di regolamentazione ha documentano severe infrazioni e non conformità, inducendo Walgreens a interrompere ogni rapporto con Theranos.
La domanda è: «Come può succedere un fatto simile nel 2016?». Com'è possibile che la valutazione delle tecnologie sanitarie, che ha dato brillante prova in altri settori della medicina (farmaci, grandi strumentazioni), non sia ancora entrata nel mondo del laboratorio clinico?
La risposta non è semplice, ma certamente è legata alla concezione meramente aziendalistica dell'analisi di laboratorio come “prodotto”. Peggio, una merce disponibile e fruibile sul mercato, distinguibile solo per il costo: gli anglosassoni direbbero una “commodity”. La qualità ? Viene data per scontata, e l'esame meno costa, meglio è. Anzi, il trend si concentra sui volumi di produzione e sull'abbattimento del costo per test, favorendo la creazione di megastrutture, veri esamifici, totalmente sconnessi con la pratica ed il contesto clinico.
Questa visione è un eco del ruolo ancillare affidato storicamente all'analisi di laboratorio che doveva semplicemente “confermare” il sospetto clinico e l'ipotesi diagnostica basata sulla sintomatologia e l'anamnesi. Se le andava bene, poteva eventualmente monitorare l'andamento della malattia.
Solo recentemente, con l'evoluzione delle conoscenze di fisiopatologia, con l'approfondimento della natura genetica e molecolare delle patologie e con lo sviluppo di una nuova generazione di esami di laboratorio, si è iniziato a comprendere che l'esame stesso può identificare “fattori di rischio” ed intercettare segnali deboli della malattia prima ancora che siano evidenti i sintomi clinici. Oggi si distinguono esami di laboratorio che sono il gold standard per diagnosi precoci e più accurate, ed altri che sono indispensabili per la guida mirata delle terapie. In altre parole, senza il laboratorio clinico non può esistere la medicina personalizzata di cui tanto si parla.
È recente la discussione su quali siano i requisiti necessari a garantire qualità e sicurezza per il paziente e su come vada affrontato il tema della valutazione delle tecnologie sanitarie (Hta) in medicina di laboratorio. La valutazione, infatti, di un test diagnostico non può limitarsi alla mera misurazione delle prestazioni analitiche (esattezza e precisione), nè all'accuratezza diagnostica. Dal momento che l'esame di laboratorio deve essere sempre utilizzato nel contesto di un percorso preventivo e/o diagnostico-terapeutico, il problema è capire “perché, come e quando” viene richiesto, quali sono i suoi effetti nel migliorare gli esiti di salute, il costo/beneficio per il paziente. Tranne nei casi dell'autocontrollo, per esempio la glicemia nel diabetico ed il tempo di protrombina (INR) nel paziente che assume anticoagulanti, è sbagliato e sconsigliabile che un paziente richieda ed interpreti i risultati di un esame di laboratorio, banalizzando l'interpretazione nella lettura degli asterischi che segnalano una possibile anormalità. L'esame di laboratorio non può essere visto asetticamente isolato dal contesto clinico. Non è un un bene acquistabile al supermercato: senza un appropriato collegamento al contesto clinico che ne condiziona e personalizza l'appropriata interpretazione, il risultato di un'indagine di laboratorio non ha alcun valore ed in qualche caso può arrecare danni al paziente.

Se passiamo dalla teoria alla pratica, va chiarito che in Europa il marchio CE, pur rappresentando un passo in avanti rispetto al passato, attesta la conformità di un prodotto a requisiti di produzione, ma non certamente la sua accuratezza ed utilità clinica. Negli USA, l'FDA (Food and Drug Administration), organismo deputato alla valutazione dei test diagnostici, segue un modello più rigoroso ma non certo esente da critiche e con molti “buchi neri”. Ad esempio, solo recentemente l'FDA ha aperto un dibattito sulla necessità di regolamentare i test genetici eseguiti “in house”, ossia dai laboratori con metodologie sviluppate internamente e non con reagenti e sistemi diagnostici già oggetto di valutazione. Questa, attualmente contestata prospettiva, si basa in realtà su una serie di drammatici errori che hanno causato eventi avversi per pazienti che avevano eseguito esami genetici eseguiti in laboratori commerciali con metodologie che si sono poi rivelate scarsamente accurate ed esposte ad errore. Poichè l'informazione di un esame genetico eseguito solo per curiosità ed ansia, al di fuori di sintomi clinici o familiarità, diviene una “guida al buio” in quanto non confermabile o falsificabile in base alla clinica o ad altre indagini diagnostiche, un errore si traduce in danno per la salute del paziente.
Il recente documento dell'Institute of Medicine (IOM) “Improving diagnosis in healthcare” ha enfatizzato ancor più il problema dell'importanza della qualità dell'informazione di laboratorio per ridurre l'errore diagnostico, migliorare la sicurezza per i pazienti, diminuire i contenziosi e le cause sempre più numerose di quelle che vengono definite “situazioni di malasanità”.
La risposta a queste problematiche non può che provenire da un’alleanza fra i professionisti della medicina di laboratorio, le aziende produttrici di diagnostici in vitro (IVD) e le autorità del Sistema Sanitario. La qualità e la sicurezza dell'esame di laboratorio nascono dal rispetto delle regole che prevedono una gerarchia ben definita e non negoziabile di processi volti a valutare l'appropriatezza della richiesta, del prelievo, del trasporto, dell'esecuzione e dell'interpretazione, nonché delle decisioni correlate. I professionisti della medicina di laboratorio sanno gestire questi processi nella loro complessità conoscitiva ed operativa ma devono poi integrarli in un sistema più vasto di valutazione degli esiti di salute. Purtroppo, nel caso degli esami di laboratorio, e a differenza del farmaco, non esiste la consuetudine di trials clinici volti a valutare con disegni di studio rigorosi le ricadute cliniche dell'esame stesso. Le ragioni sono numerose e spaziano dalla carenza di fondi alle difficoltà di mettere in relazione il risultato dell'esame con la sua interpretazione/utilizzazione, e con esiti clinici che dipendono da molte altre variabili. Vi è però un'altra strada più semplice da percorrere per tradurre nella pratica la valutazione delle tecnologie sanitarie e saldarla con la pratica di tutti i giorni: l'accreditamento.
Nel caso dei laboratori clinici, unico caso in medicina, esiste uno Standard Internazionale specifico, l'ISO 15189, che valuta sia il sistema di gestione della qualità che le competenze tecniche specifiche della disciplina e delle varie sottodiscipline (ematologia e coagulazione, biochimica clinica, immunologia clinica, biologia molecolare clinica etc). Competenza tecnica significa valutazione delle tecnologie di laboratorio per utilizzare solo quelle di provata validità, appropriata formazione del personale e dimostrazione che il servizio è realmente centrato sui bisogni degli utenti (pazienti e clinici). Solo quest' esame di parte terza è in grado di superare ogni presunzione di autoreferenzialità ed assicurare all'utente la qualità del servizio svolto in un'ottica di miglioramento continuo. Ma se questo sforzo, che il mondo della professione ha avviato, non si coniuga con un recepimento da parte delle autorità regionali e nazionali del Sistema Sanitario, diverrà vano e infruttuoso. Parodiando la famosa frase di John Ruskin “la qualità non è mai un evento fortuito. E' sempre il risultato di uno sforzo intelligente”.


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