Medicina e ricerca

La ricerca biomedica e le collaborazioni possibili e (auspicabili) tra istituzioni accademiche e imprese del farmaco

di Franco Locatelli, direttore Onco-Ematologia Ospedale pediatrico Bambino Gesù

L'immunoterapia dei tumori sta vivendo un periodo di grande sviluppo con molti e diversificati approcci ormai in fase avanzata di sviluppo clinico. Tra queste strategie innovative di cura dei tumori attraverso l'impiego dell'immunoterapia, una delle più promettenti è quella basata sull'impiego di cellule geneticamente modificate per essere re-indirizzate sul bersaglio tumorale. Più specificatamente, attraverso approcci di ingegneria genetica, all'interno di un linfocita T viene introdotta una sequenza genica che codifica la sintesi di quello che si chiama un recettore chimerico (chimeric antigen receptor, CAR) che permette di ridirezionare l'azione di questi linfociti sul bersaglio tumorale. Questo approccio d'immunoterapia (basato sull'impiego di linfociti T del paziente nei quali viene introdotto il recettore chimerico per la molecola CD19) si è dimostrato in grado, da solo, in uno studio condotto negli Stati Uniti, di reindurre uno stato di remissione clinica persistente in più del 50% pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta resistenti a tutti i trattamenti convenzionali, incluso il trapianto di midollo osseo.
Analoghe prospettive di applicazione coronata da successo esistono nei tumori solidi. Su tutti basti pensare ai promettenti dati ottenuti, sempre negli Stati Uniti, nel neuroblastoma, il tumore solido più frequente dell'età pediatrica. In questa patologia, nelle forme metastatiche o connotate da alcune lesioni molecolari sfavorevoli, gli approcci convenzionali di chemioterapia, radioterapia e chirurgia consentono di guarire solamente il 40-50% dei bambini e studi pilota, sempre condotti in Nord-America, hanno dimostrato come i linfociti modificati con i CAR possano portare in alcuni pazienti alla scomparsa dei segni della malattia.
L'Europa è, attualmente, in una situazione meno avanzata rispetto agli Stati Uniti nello sviluppo di queste forme di terapia cellulare e, in questa prospettiva, deve essere salutato con grande interesse l'accordo stabilito tra l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e la Bellicum Pharmaceutical di Houston per un'estesa collaborazione centrata su nuove terapie con cellule geneticamente modificate per la cura delle patologie onco-ematologiche. I due enti svilupperanno congiuntamente cellule T linfocitarie modificate con recettori chimerici (CAR T) e altre terapie con cellule ingegnerizzate ideate dai ricercatori del Bambino Gesù. Questa sinergia fra Ospedale Bambino Gesù e Bellicum condurrà, già nel prossimo anno, all'inizio di 2 studi clinici su bambini affetti da leucemia linfoblastica acuta e da neuroblastoma.
La valenza di quest'alleanza fra le 2 Istituzioni travalica, peraltro, la già importante notizia dell'inizio nel nostro Paese di due sperimentazioni cliniche d'immunoterapia cellulare anti-tumorale, in quanto essa inerisce al tema più generale dello sviluppo, trasferibilità e sostenibilità di trattamenti biotecnologicamenti avanzati. Se si vuole, l'accordo investe l'ambito più ampio della collaborazione tra Istituzioni accademiche e Impresa del farmaco. Le prime hanno come naturale missione la ricerca e l'iniziale sviluppo degli approcci terapeutici più innovativi, focalizzati su quella che, a buona ragione, si può chiamare una medicina di precisione. Alle biocompanies spetta, invece, il compito di accelerare, nel miglior interesse dei pazienti, i passaggi esistenti tra scoperte scientifiche e sviluppo di farmaci, terapie innovative e dispositivi capaci di rendere sempre più efficaci e scevri da effetti collaterali i trattamenti dei pazienti con una patologia come il cancro, così rilevante in termini d'impatto sia individuale, sia sociale. La collaborazione tra Bambino Gesù e Bellicum s'inserisce esattamente in questa visione nuova e vincente dei grandi cambiamenti cui assistiamo nelle modalità di ricerca biomedica. Grazie a Bellicum, Bambino Gesù potrà, per la prima volta nel nostro continente, inserire nei suoi prodotti cellulari un interruttore (quello che tecnicamente si chiama un gene suicida, nel caso specifico la Caspasi-9 indicibile), in grado di eliminare i linfociti T CAR in caso di effetti indesiderati e potrà avere le risorse per condurre gli onerosi studi pre-clinici e la prima parte dello sviluppo clinico, ma anche per poter con maggior facilità sviluppare in futuro nuovi prodotti di terapia cellulare. D'altro canto, Bellicum avrà un interlocutore privilegiato cui affidare l'ideazione e l'iniziale sviluppo di nuove terapie sempre più mirate ed efficaci, da traslare poi su larga scala, compito a cui l'accademia non può certo ottemperare.
Difficile pensare a una collaborazione più virtuosa tra accademia e industria del farmaco, con l'auspicio che modelli come questo possano rappresentare uno stimolo da ulteriormente sviluppare nell'interesse del sistema Paese.


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