Medicina e ricerca

Limiti e potenzialità dei Big Data in un approfondimento del progetto Forward

di Giulia Annovi (Pensiero scientifico editore) e Antonio Addis (Dipartimento di Epidemiologia Regione Lazio)

Per quale invenzione saremo ricordati? Probabilmente verremo considerati gli inventori della Rete. Abbiamo collegato con un reticolo di strade e servizi città paesi delle nostre nazioni e unito le principali capitali mondiali con i voli aerei. Il secolo breve però verrà ricordato, oltre che per i suoi orrori e le sue rivoluzioni socio-politiche, per la creazione del network per eccellenza: internet.
La storia ci ha già permesso di sperimentare che le reti rendono tutto a portata di mano. Di fatto lo stesso accade anche con le malattie. Se gli spostamenti di merci e persone possono creare modelli di diffusione e scenari inaspettati, per le patologie, il web offre la possibilità di scovare indizi utili alla ricerca e di creare un sistema di sorveglianza in tempo reale. Per gli epidemiologi si apre l'opportunità di rispondere a domande nuove, a cui potrebbe dare risposte proprio il grande volume di dati prodotto dall'attività degli utenti stessi della rete.

Le risorse digitali - dalle richieste di soccorso ai tweet caratterizzati da parole chiave o da una localizzazione geografica – sono i nuovi mezzi di cui può avvalersi l’epidemiologia per integrare i propri fondamenti tradizionali. Lo sviluppo digitale dell’epidemiologia potrebbe diventare urgente. Ce lo insegnano le più recenti epidemie (SARS, H1N1, H7N9, Ebola e MERS), per le quali è stato possibile seguire le dinamiche in tempo reale non solo da parte degli esperti ma anche dalla gente comune. La partecipazione attiva e consapevole della popolazione è in grado di potenziare il ruolo dei singoli individui nella sorveglianza della salute, favorendo l'auspicata centralità del paziente e rendendo forse più democratico il concetto stesso di ricerca scientifica. Tuttavia non mancano gli elementi di complessità, capaci di generare resistenze e paura. L’epidemiologia dovrà essere in grado di prevedere e anticipare le dimensioni di un fenomeno, la direzione che potrà prendere nel corso della sua evoluzione e la popolazione che sarà interessata dall'evento con le conseguenti ricadute. A questo scopo, potranno essere preziose le tracce digitali che ogni cittadino lascia nel corso della propria giornata: per esempio, secondo le previsioni tra il 2016 e il 2022 il traffico generato dagli smartphone aumenterà di 10 volte. È qui che entrano in gioco i big data, con la grande quantità di informazione (alto volume), ampia variabilità di fonti e formati e velocità di acquisizione e trasmissione. All'insieme di questi argomenti e alle possibili applicazioni alla sanità pubblica abbiamo dedicato un approfondimento del progetto Forward, promosso dal Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio e curato dal Pensiero Scientifico Editore col supporto di alcune importanti aziende del settore farmaceutico, interessate come noi a interpretare queste importanti novità (http://forward.recentiprogressi.it/big-data/) .

La digital epidemiology. L’applicazione dell’epidemiologia digitale può andare anche oltre la situazione di rischio, per monitorare le condizioni di pazienti che devono convivere con malattie croniche, per studiare comportamenti ed esiti legati a terapie e stili di vita o per integrare l'attività di farmacovigilanza. A volte, l'acquisizione di dati utili all'epidemiologia non è direttamente collegata alla malattia, con informazioni raccolte non solo con lo scopo di preservare la salute pubblica. Sono varie le applicazioni, realizzate per diversi dispositivi, in grado di monitorare le nostre abitudini o i nostri parametri fisiologici. Secondo l'analisi dell'IMS Institute del 2013, ammonta a 100mila unità la stima delle applicazioni per la salute e il fitness che si concentrano soprattutto sullo stile di vita salutare, la dieta e l'esercizio fisico, la gestione dello stress o delle dipendenze. Il backoffice delle applicazioni mostra come vengono capitalizzati dati generati inconsapevolmente dall'utente, a volte senza nemmeno un suo diretto coinvolgimento.
Non mancano gli esempi virtuosi della Digital Epidemiology, che si è introdotta in modo più prepotente nei dibattiti e nella letteratura scientifica tra il 2010 e il 2016. E che sono tati oggetto lo scorso 15 settembre di un workshop al quale hanno partecipato Daniela Paolotti (ISI Foundation) Caterina Rizzo (Istituto superiore di sanità) e Alberto Tozzi (Ospedale Bambino Gesù). I materiali del seminario – comprese le interviste video ai relatori del workshop – sono disponibili sul sito della Biblioteca Alessandro Liberati (www.bal.lazio.it ).
In tale contesto non possiamo tralasciare le perplessità e le questioni ancora irrisolte che riguardano il campione analizzato tramite i mezzi digitali, perché può rivelarsi incompleto o poco rappresentativo. Non possiamo inoltre dimenticare la popolazione che non ha accesso a internet. Ancora, la coerenza e l'affidabilità dei dati possono destare preoccupazioni. Del resto, il filtro operato dagli algoritmi è il più delle volte inaccessibile, così come è complicato selezionare le informazioni più appropriate in mezzo al rumore generato dalla grande mole di dati. La necessità di modelli di validazione resta una delle sfide più grandi per una disciplina che per tradizione si basa su robuste premesse.
Con ogni probabilità, l'epidemiologia del futuro cercherà di rispondere alle sfide della sanità pubblica avvalendosi di specifiche competenze, dialogando anche con fisici, biologi, esperti in computer science e information technology, esperti nelle scienze sociali o nella gestione della comunicazione del rischio. I modelli di adattamento, di comportamento e le previsioni economiche saranno utili a identificare gli interventi più efficienti nel contrastare le malattie che colpiscono uomini o bestiame.

Nell’ambiente digitale l’operazione di raccolta dati può rientrare nell'ambito dei diritti individuali o nella sfera del privato e della proprietà aziendale. Le considerazioni relative alla privacy devono dunque essere riconsiderate tenendo conto di tutte le possibili fonti utilizzate per la raccolta dei dati. L'Europa si è impegnata a creare una legislazione capace di fornire risposte. Varata da meno di sei mesi, la nuove legge entrerà in vigore nel 2018 mentre i singoli stati appartenenti all'Unione dovranno applicare e rendere effettivi alcuni aspetti.
La legge è stata al centro di un lungo dibattito, che ha sostenuto la necessità della ricerca di raccogliere dati in nome dell'assicurazione della salute globale e che ha visto impegnata anche la International Epidemiological Association (IEA). Ora tocca ai singoli Stati membri dare risposta ad alcune priorità identificate dal mondo della ricerca e dalle associazioni di pazienti. Servono direttive più chiare e concrete a supporto della ricerca e al contempo a difesa della privacy. Ed è indispensabile porre le basi per un dialogo internazionale, per rendere corale l'impegno e compatibili tra loro i molteplici sistemi nazionali.
Potrebbe essere addirittura importante fare pressione sulla raccolta dati da parte di aziende private, come quelle che gestiscono i social media, affinché le informazioni sulla salute siano condivise per scopi di ricerca. Potrebbe rivelarsi utile introdurre un'impostazione con licenza “data commons”.
Dare al pubblico e ai decisori politici le corrette informazioni e gli strumenti valutativi è un altro aspetto cruciale, affinché vengano poste le basi per un uso più consapevole e rispettoso dei dati. Di tutti questi aspetti si parlerà il 26 gennaio 2017 a Roma, durante la conferenza dedicata al progetto Forward che si concentrerà su quattro grandi temi destinati ad avere un grande impatto sul futuro prossimo della sanità.


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