Medicina e ricerca

Cupe vampe della meningite

di Donatella Lippi (Storia della medicina, Università di Firenze)

Ippocrate IV.35, «Si a febre detento collum derepenti inversum fuerit, et vix deglutire possit, tumore non existente, lethale».

«Da febbre continente, l’infermo a lungo o in breve tempo afflitto, se inverte in tal maniera il collo di repente che non possa inghiottir che con dispitto, vivere indarno spera, più senza tumore gli appariscon le fauci, egli sen muore».

Meningix, membrana.

Dura mater, aracnoide e pia mater: circondano l’encefalo e il midollo spinale, lo proteggono, lo nutrono.

Forse, anche per questa loro funzione, chi tradusse il termine umm dall’arabo al latino privilegiò la parola mater, anziché la denominazione descrittiva di membrana...

Dall’anatomia, alla patologia.

Prima, Robert Whytt nel 1768 descrisse una condizione di “dropsy in the brain”, provocata verosimilmente dai fluidi raccolti nei ventricoli, sede delle facoltà mentali, che causavano la sonnolenza e il coma.

Era il 1803, quando il chirurgo militare François Herpin coniò il termine “meningitis”, per indicare una infiammazione delle membrane del cervello: Herpin stava studiando le infiammazioni del sistema nervoso centrale come complicanze di eventi traumatici al capo, e descrisse, in sede autoptica, la presenza di pus nelle meningi.

Alcuni dei soldati dell’armata del Reno non avevano mostrato delirio, che era considerato elemento distintivo delle phrenitis: per questo, inventò una nuova parola, che definitivamente localizzava la malattia.

Phrenitis, Cephalitis, febbre cerebrale, idrocefalo acuto: emicrania, febbre, delirio e, poi, vomito, fotofobia, convulsioni...

Erano gli occhi a reagire in maniera particolare, in una sorta di “oscillazione convulsiva”. Le pupille si dilatavano, senza reagire alla luce... e, post mortem, i ventricoli si riempivano di liquido sieroso.

La piccola paziente di Louis Odier, otto mesi e mezzo, moriva in pochi giorni per «une inflammation sourde ed lente des méninges...»: era il 1789 e Odier poneva questo epitaffio a chiusura di un caso clinico infausto, che, sul tavolo autoptico, confermava uno strato di pus verdastro tra le meningi e la presenza di siero nei ventricoli.

Era necessario usare un “toquet” per i bambini, una sorta di cappello imbottito, che proteggesse il capo: e raccomandava uno stile di vita sano, all’aria aperta, un’alimentazione adeguata, un giusto rapporto sonno-veglia.

Nella Parigi di Rousseau e di Tissot, questa attenzione alla salute dei bambini e alla prevenzione era verosimilmente uno dei mezzi migliori per ridurre i casi di meningite tubercolare...

Ancora, nella Ginevra del 1805, 33 bambini morirono nel giro di tre mesi.

I sintomi, raccolti da Gaspard Vieusseux, sostenitore, tra l’altro, della inoculazione preventiva del vaiolo, erano sempre gli stessi: in un’unica famiglia, prima toccò al ragazzo più grande, di diciassette anni.

Poi, «la jeune fille, de onze ans, se plaignit à huit heures, lundi 11, d’une douleur de tête légère, et de mal d’estomac; à neuf heures, alle fuit ancore à la ville; à midi, le mal augmenta, et la marche fut la même, à quelque chose près. Elle mourut avec des movimens convulsifs, comme son frère, à la fin de l’accès, le mardi 12, à huit heures du matin, le visage un peu bouffi»...E, poi, la pétite de six ans... e la plus pétite de treize mois...

E, nel freddo del resoconto autoptico, «i vasi delle meningi, e degli emisferi parevano iniettati a forza da mano destra, tanto erano distesi e rigonfi... inondazioni di sieri puriformi ne’ ventricoli...».

Non a caso, Giuseppe Mela, chiamò “spinitide”, questa «infiammazione della midolla spinale o de’ suoi involucri» (1815).

Ma, ancora, non si credette al contagio.

Superato il concetto di “idrocefalo acuto”, André Matthey coniò il termine “Hydro-méningite”, schematizzando diverse entità morbose, che, negli anni successivi, si vennero sempre più identificando.

Meningite tubercolare e meningite non tubercolare, quest’ultima nelle forme acuta e cronica: era il méthode numérique, inaugurato da Pierre Charles Alexandre Louis, a essere tradotto in ambito pediatrico.

Le conferme istologiche sarebbero venute dopo.

Fino alla fine del XIX secolo, la diagnosi continuò, infatti, a essere basata su un approccio squisitamente clinico: fu Heinrich Quincke a sperimentare, già nel 1888, la puntura lombare per l’analisi del liquido cefalorachidiano, ma il segno di Brudzinski, insieme al segno di Kernig, rimangono tra i segni “meningei” tradizionali, evocati nell’esame clinico di un paziente, nel quale si sospettino patologie delle meningi.

Individuati gli agenti patogeni, accreditata l’idea del contagio, sperimentati trattamenti mirati, dalla sieroterapia agli antibiotici, furono i lavoratori delle miniere nel Transvaal centrale, a fornire e Sir Almroth Wright (1914) le evidenze dell’efficacia della vaccinazione.

Dalle miniere d’oro del Witwatersrand alla medaglia d’oro di Bebe Vio. La inoculazione profilattica come “routine measure”.

La distanza di un secolo.

«Since the introduction of smallpox vaccination by Sir Edward Jenner in 1796, it took 184 years until the WHO could declare the world free of smallpox. How long will it take to eliminate pneumococcus from the world?» (Ger Rijkers).


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