Medicina e ricerca

La chemioterapia nella cura dei tumori: un ruolo sopravvalutato?

di Giovanni Apolone (direttore scientifico Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano), Silvio Garattini (direttore Irccs Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri)

Un recente articolo del dottor Peter H Wise, pubblicato sulla rivista BMJ, ha generato un dibattito sul ruolo che si può attribuire alla chemioterapia anti-tumorale in relazione al miglioramento che si è osservato negli ultimi decenni in termini di sopravvivenza. Wise, partendo da alcuni dati recuperati dalla letteratura scientifica, afferma che solo una piccola parte dei miglioramenti osservati negli ultimi decenni nella cura e nella guarigione sarebbe attribuibile ai farmaci e quindi argomenta che, nonostante i grandi investimenti, i vantaggi sono relativamente piccoli e i costi insostenibili per i servizi sanitari. Conclude con alcune riflessioni di tipo etico in quanto i troppi interessi presenti, prevalentemente economici, generano conflitti che si riflettono sulle scelte dei decisori e quindi sulle cure dei pazienti. L'articolo è l'ultimo ma non isolato esempio di una critica alle strategie mediche e sanitarie basate su una eccessiva valorizzazione dei farmaci nei percorsi di cura.

Lo stato dell’arte in Italia e il punto sulle terapie. In Italia si è osservato, negli ultimi anni, un aumento della incidenza dei tumori, cioè di nuovi casi. Questo è dovuto a diversi fenomeni, tra cui l'invecchiamento della popolazione, a uno stile di vita non sempre corretto e all'effetto della prevenzione secondaria che permette di fare diagnosi in fase precoce. È aumentata anche la percentuale di tumori che siamo in grado guarire. Questo ha determinato un aumento della sopravvivenza e un incremento del numero di italiani che hanno avuto un tumore e sono ancora vivi. Che ruolo ha avuto, dunque, la chemioterapia nella cura del cancro?
La domanda richiede alcune precisazioni. Innanzitutto, il cancro è formato da centinaia di malattie diverse. I farmaci antitumorali sono decine e si combinano in centinaia di schemi terapeutici diversi. La chemioterapia raramente è utilizzata come unica terapia, ma sempre più spesso è integrata, all'interno di strategie di cura, con la chirurgia e la radioterapia. Inoltre, la parola chemioterapia viene spesso utilizzata per tutti i farmaci somministrati ai pazienti con cancro; in realtà vi sono almeno 3 tipi di farmaci anti-tumorali. Il primo tipo è rappresentato dai “vecchi” ma ancora validi chemioterapici, utilizzati da decenni, che attraverso diversi meccanismi di azione uccidono le cellule tumorali; il secondo dai relativamente nuovi farmaci “intelligenti”, disponibili da una decina di anni, modellati per colpire target specifici presenti nelle cellule tumorali; il terzo tipo è rappresentato dai più moderni, e ancora in studio, farmaci che svolgono una azione immunologica, potenziando o restaurando l'azione del nostro sistema immunocompetente.

La verità sui dati. Bisogna aggiungere un'ulteriore riflessione sui dati utilizzati da Wise. La sua conclusione si è basata su alcuni lavori scientifici condotti alla fine degli anni Novanta e pubblicati nei primi anni 2000, cioè quasi 15 anni fa. I dati utilizzati non sono quindi aggiornati, in quanto la maggioranza dei nuovi farmaci sviluppati dopo il 2000 - tra i quali alcuni che hanno cambiato le aspettative di vita dei pazienti - non erano ancora prescrivibili negli anni analizzati e quindi non hanno potuto manifestare alcun effetto. Ha dunque torto Wise? Sì, in quanto le statistiche citate non sono aggiornate e non riflettono probabilmente la situazione attuale. Non ha torto, invece, se allarghiamo la questione a uno scenario più ampio: forse la nostra società, per miopia o interessi, attribuisce un eccessivo valore ai farmaci nel miglioramento di aspetti quantitativi e qualitativi della vita, soprattutto quando si tratta di cancro? La maggior parte dei tumori non colpisce le persone per caso e quindi cambiando le nostre abitudini di vita potremmo ottenere risultati migliori con una spesa inferiore. Inoltre, una buona parte dei risultati osservati sul miglioramento della curabilità è da attribuire alla prevenzione secondaria e alla diagnosi precoce, ora possibile per la maggior parte dei cosiddetti “big killer”. Wise ha giustamente identificato possibili cause di questa “sovrastima” legate ad alcune “irregolarità” nel percorso che va dalla scoperta all'utilizzo.

Soluzioni e proposte. Le soluzioni non sono semplici. Prima di tutto vi è un ruolo principale da parte dei Governi che dovrebbero dare priorità a programmi di ricerca basati sulla riduzione dei rischi e sulla diagnosi precoce. È inoltre auspicabile un maggior coinvolgimento dei cittadini e dei pazienti che possano avere un ruolo più diretto nelle scelte. Si dovrebbero regolamentare gli studi di origine industriale che non hanno l'obiettivo di aumentare le conoscenze ma che sono proposti per guadagnare una fetta del mercato farmaceutico. Infine, i criteri con cui le Agenzie regolatorie valutano il rapporto rischio-beneficio e costo-beneficio dei nuovi farmaci dovrebbero essere più rigorosi, centrati su indicatori di beneficio clinico rilevanti per i pazienti.


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