Medicina e ricerca

Screening mammario a 25 anni? Una proposta molto pericolosa

di Antonio Bonaldi (presidente di Slow Medicine)

Nella seduta del 14 febbraio 2017, il Senato, in ossequio all'idea dominante che fare di più sia sempre meglio, ha approvato (bipartisan) diverse mozioni, una delle quali, impegna il Governo ad estendere lo screening mammografico a partire dalle donne di 25 anni d'età.
Così, mentre il mondo scientifico internazionale s'interroga sui benefici e i rischi dello screening mammario, i nostri politici, senza dubbio in buona fede ma incuranti del dibattito in corso e insensibili ai ripetuti allarmi che giungono dal mondo scientifico, adottano un provvedimento con conseguenze molto pericolose per la salute delle donne. Eppure, prima di decidere su temi così rilevanti i parlamentari avrebbero il dovere di informarsi. Se qualcuno di loro o degli esperti di cui si fidano, avesse letto gli ultimi studi pubblicati a questo riguardo sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, avrebbe appreso che i benefici dello screening mammario sono molto più modesti di quanto pensassimo, mentre sono sempre più certi i rischi associati alla sovradiagnosi cioè, alla possibilità di identificare e curare dei tumori che non avrebbero provocato né sintomi né tantomeno la morte. Questi tumori, che potrebbero rappresentare fino ad un terzo di quelli individuati con lo screening, potrebbero spiegare, almeno in parte, sia l'aumento dei tumori al seno, sia il miglioramento della loro prognosi. Non c'è niente di più efficace, infatti, che curare una malattia che non avrebbe dato alcun segno di sé.
Certo, siamo ben consapevoli che la questione è spinosa. Questi dati sono difficili da accettare perché rappresentano una vera e propria eresia rispetto al pensiero dominante. La propaganda, che accompagna le campagne di screening ci ha ormai convinto che ‘una mammografia può salvare la vita' e mettere in dubbio questo slogan è alquanto impopolare e sgradito. Cionondimeno è tempo di pensarci: in Svizzera, per esempio, lo Swiss Medical Board ha raccomandato di non avviare nuovi screening mammografici sistematici e di porre un limite temporale a quelli attualmente in corso nella confederazione elvetica.

Allora cosa si dovrebbe fare? Prima di tutto non si dovrebbe estendere lo screening alle giovani donne, dato che al momento non c'è alcuna prova scientifica che tale procedura possa essere utile prima dei 50 anni, anzi è molto probabile che provochi più danni che benefici. In secondo luogo si dovrebbe eliminare tutto il materiale di propaganda finora prodotto per promuovere la partecipazione allo screening. Oggigiorno, infatti, i contenuti della quasi totalità degli opuscoli, dei dépliant e delle lettere di invito allo screening mammografico non descrivono né quantificano i benefici, i rischi e gli effetti negativi dello screening e pertanto non consentono di scegliere in modo consapevole.

Il materiale informativo non dovrebbe essere redatto dai promotori dello screening (per evidenti motivi di conflitto di interesse) bensì da agenzie neutre sulla base di rigorosi criteri scientifici. Di solito le informazioni si concentrano sul fatto che il test è facile da eseguire, non ha effetti collaterali di rilievo ed è in grado di salvarci la vita. Non si fa invece alcun cenno al rischio di sovra-diagnosi: cioè alla possibilità di individuare un tumore che non evolverà né provocherà alcun disturbo nel corso della vita. Eppure questo rischio non è affatto trascurabile. Secondo il Canadian National Breast Cancer Study, una ricerca che ha seguito 90.000 donne per 25 anni, la sovradiagnosi riguarderebbe il 22% dei tumori identificati con la mammografia. Quante donne conoscono questo rischio? Quante di loro sanno che, dopo dieci anni, su 1.000 donne che non fanno lo screening 5 moriranno di cancro, mentre tra quelle sottoposte regolarmente ogni due anni alla mammografia ne saranno morte 4 e 100 saranno sottoposte a inutili trattamenti mutilanti e invasivi, riducendo così il vantaggio in termini di mortalità per tumore alla mammella ad 1 decesso evitato. Perché le donne non sono correttamente informate sui vantaggi e gli svantaggi della mammografia? Eppure qualcuno dovrebbe avvisarle che sottoporsi al test potrebbe salvar loro la vita (forse), ma potrebbe anche rovinargliela per sempre. Ne consegue che può essere ragionevole partecipare allo screening mammografico, ma può essere altrettanto ragionevole non parteciparvi.
Lo scopo di un programma di screening non dovrebbe essere quello di fare tanti esami, bensì di avere il maggior numero possibile di persone informate che scelgono in modo autonomo ciò che ritengono più utile per sé, ben sapendo che sono scelte difficili perché non si basano solo su una mera valutazione probabilistica dei rischi e dei benefici. Spesso, infatti, le decisioni sono influenzate da altri elementi, quali, per esempio, la familiarità, la presenza di altri fattori predisponenti, la propensione personale al rischio, la paura di perdere la salute, la fiducia riposta nella medicina e nel medico, il parere dei familiari.

In conclusione, quando si tratta di adottare iniziative che riguardano la salute e la vita delle persone è doveroso agire con molta cautela, considerare con senso critico tutte le informazioni disponibili, valutare i benefici e i rischi associati a quelle decisioni e predisporre interventi informativi corretti ed efficaci sia a livello collettivo che individuale. Da ultimo dobbiamo assolutamente evitare che interessi economici, professionali e di consenso politico possano prevalere sulla difesa della salute e soprattutto sulla corretta informazione delle persone.
In questo senso, vorremmo che i comportamenti di tutti ed in particolare dei politici, dei giornalisti e dei professionisti fossero più coerenti con le conoscenze di cui disponiamo e soprattutto fossero guidati dai principi che stanno alla base dell'etica: fare il bene delle persone, non recare loro danno e metterle nelle condizioni di decidere in modo autonomo e consapevole.
In tre parole: agire in modo sobrio, rispettoso e giusto.


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