Medicina e ricerca

Oncologia, nel “Patto per l’empowerment” la risposta dell’Università in un modello pro condivisione

Pazienti affamati di informazioni, medici e istituzioni consapevoli dell'importanza di condividere i percorsi decisionali. Ma di fatto la metà dei malati non riescono a ricevere le spiegazioni correlate alla malattia di cui hanno bisogno.
Solo il 4% dei pazienti oncologici riferisce di aver scoperto la malattia durante una visita di controllo, segno che c’è ancora molto da fare in termini di campagne di informazione e screening e che, in ottica di patient empowerment, in questa fase preventiva il paziente tende ad avere un approccio poco proattivo. Anche una volta ricevuta la diagnosi sono molte le carenze che il malato deve affrontare: quasi la metà dei pazienti vorrebbe di più da medici curanti e dalle strutture sanitarie e solo il 7% viene accompagnato nel percorso da uno psicologo, presenza invece richiesta a gran voce, almeno nei momenti iniziali, dal 79% degli italiani colpiti.
Questi alcuni dei dati emersi dal primo sondaggio internazionale sul tema, svolto da SWG e presentato in occasione dell'International Forum on Cancer Patients Empowerment, il primo appuntamento promosso su questo tema a livello europeo, organizzato da l'Università degli Studi di Milano, in collaborazione con Fondazione Umberto Veronesi in svolgimento a Milano il 16-17 maggio 2017. Si tratta di patologie con un grande impatto sulla società, la cui gestione sta subendo una rivoluzione, sia dal punto di vista terapeutico, basti pensare alla medicina personalizzata, sia da quello di relazione con il malato.

La buona notizia è che nel nostro Paese la mortalità è diminuita (-23% tra il 1995 e il 2012), più velocemente rispetto agli altri paesi Ue (-17%), grazie agli avanzamenti e progressi scientifici citati e nel complesso il tasso di sopravvivenza a 5 anni è superiore alla media Ue. Tuttavia in Italia l'incidenza del cancro è cresciuta del 15% in circa un ventennio raggiungendo quasi 600 malati ogni 100.000, e il nostro Paese occupa il terzo posto del triste podio dei livelli più elevati d'Europa. Ovunque la diffusione è tale che l'impatto delle patologie oncologiche ha superato quello delle malattie cardiovascolari. «Si tratta di malattie che nel 75% dei casi generano paura, nel 52% tristezza, e in 3 su 10 solitudine e rabbia» illustra Guja Tacchi, Istituto Ricerche SWG, commentando i risultati che emergono dal sondaggio condotto su uomini e donne, over 45, residenti in Italia, UK, Spagna, Francia e Germania, che sono entrati in contatto con una patologia oncologica (personalmente o assistendo un familiare). «Alla comparsa dei sintomi 8 su 10 si rivolgono al medico, nel 60% la prima figura di riferimento è il curante, nel 47% dei casi l'oncologo è reputato il professionista più adatto a comunicare la diagnosi. La partecipazione attiva alle proprie cure viene percepita come molto importante da 7 pazienti su 10. Tuttavia meno della metà (47%) degli intervistati dichiara di essere pienamente consapevole del proprio percorso terapeutico, mentre ben un quarto del campione dichiara di essere poco o per nulla consapevole. A guidare il trend dell'empowerment (con pazienti evoluti, che riconoscono un elevato valore alla partecipazione) sono UK (75%) e Germania (72%), rispetto alla media del 68%. All'ultimo posto la Spagna (con ben 10 punti sotto la media, 58%). Anche l'Italia si attesta sotto la media (penultimo posto della classifica, con il 66%), mentre la Francia si colloca a metà (67%)».
Ci troviamo di fronte a un panorama europeo in cui medici, pazienti e istituzioni sono fortemente consapevoli che la salute non possa prescindere da un paziente informato e consapevole. I malati sono chiamati ad essere più coinvolti in ogni aspetto della loro salute, dal rimodellamento della sperimentazione clinica alla legislazione e in tutte le questioni che li riguardano in prima persona, compresa quella della gestione dei dati genetici, al centro dei nuovi protocolli della medicina personalizzata. Questo modo di agire porta non solo vantaggi in termini di salute, ma anche di prevenzione, diagnosi precoce e migliore compliance. In una parola: risparmio economico.

Il concetto di patient empowerment, coniato e sviluppatosi negli Stati Uniti a partire dagli anni '70, si pone oggi come riferimento imprescindibile e unificante delle politiche a livello globale: la partecipazione dei pazienti ai processi decisionali è uno dei valori fondamentali su cui si basa la pianificazione delle nuove strategie sanitarie dell'UE. «Il termine è utilizzato anche in Italia e sta a indicare il coinvolgimento del paziente nelle scelte che riguardano la propria salute», chiarisce Gabriella Pravettoni, direttore della divisione di psiconcologia all'Istituto Europeo di Oncologia e ordinario di psicologia delle decisioni all'Università Statale di Milano. «Oggi, quando si intraprende un percorso di cura, occorre condividerlo con la persona che si ha di fronte: a prescindere dal sesso, dall'età e dalle sue conoscenze in ambito medico. Comunicare è fondamentale, anche perché sempre più spesso dal cancro si guarisce. L'essere ascoltati, seguiti e accuditi dai propri familiari favorisce l'auto-efficacia e riduce i livelli di ansia e preoccupazione collegati alla malattia».
Troppo spesso, tuttavia, il “patient empowerment” resta ancora relegato a una dichiarazione di intenti e raramente tradotto nella prassi medica e sanitaria quotidiana. Per concretizzare la teoria in azioni e indicazioni condivise questo primo Forum internazionale, intitolato “Shared decisions, one policy”, è stato dedicato interamente a questo argomento. In occasione del forum verrà a questo proposito divulgato il “Patto per l'empowerement”, con la richiesta ufficiale alla comunità scientifica, medica, agli operatori sanitari, alle autorità politiche e regolatorie, alle associazioni e all'industria, di adoperarsi concretamente affinché la centralità della persona malata e della sua dignità sia alla base di ogni intervento di ricerca, di formazione e di cura dei pazienti con tumore.
«Pensiamo che una Università con una forte componente dedicata alla formazione medica non possa sottrarsi alla responsabilità di indicare questa come via necessaria e che lo debba fare coinvolgendo tutti gli attori che lavorano per sconfiggere la malattia oncologica, ma prima ancora i pazienti stessi» commenta Gianluca Vago, Rettore dell'Università degli studi di Milano. In quest'ottica è stato creato ed opera il “Dipartimento di Oncologia ed Emato-oncologia (DIPO)”. «Si tratta di una rete multidisciplinare di 47 specialisti, tra docenti e ricercatori dall'elevato spessore scientifico, che rendono questa struttura della Statale di Milano il maggiore polo oncologico universitario, tra i più grandi a livello europeo, dedicato alla ricerca e cura oncologica. Si tratta di un modello di eccellenza italiano da esportare a livello internazionale» spiega Paolo Corradini, Direttore DIPO, Università degli Studi di Milano.
L'industria è un partner chiave per la ricerca e l'area dell'oncologia è una di quelle di punta: molti sono i successi archiviati nelle ultime decadi, e la terapia di precisione e l'empowerment del paziente rappresentano sfide aperte. «Si vive di più e meglio» conclude Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria (si vedano le slide allegate). «Oggi 2 persone su 3 con una diagnosi sopravvivono dopo 5 anni. Trent'anni fa non arrivavano a 1 su 3. Un progresso che si deve per l'83% ai nuovi farmaci. E grazie proprio alle terapie innovative è stato possibile ridurre la spesa sanitaria totale in oncologia, tra le più basse a livello europeo. E il maggior numero di farmaci oggi in sviluppo è contro il cancro, sempre più con un modello di medicina personalizzata che rende le cure più efficaci. Benefici incalcolabili per la salute e per la sostenibilità del Sistema sanitario nazionale, che rimane un'eccellenza del made in Italy».


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