Medicina e ricerca

La bussola dei Comitati etici per i pazienti

di Carlo Petrini* (responsabile dell’Unità di bioetica dell’Istituto superiore di Sanità, componente Cnb), Marianna Gensabella* (professore ordinario di Filosofia morale, Università di Messina, componente Cnb)

Il parere del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) “I comitati per l’etica nella clinica”, pubblicato di recente, tratta un tema non secondario tra i numerosi temi di attualità nell’agenda biopolitica. I motivi della sua rilevanza sono diversi: il primo riguarda il suo impatto sulla vita delle persone coinvolte, siano pazienti e familiari o medici e componenti dell’équipe sanitaria. I comitati per l’etica clinica dovrebbero infatti rispondere a un’esigenza sempre più presente sull’uno e sull’altro versante della relazione di cura: trovare un orientamento o una consulenza dal punto di vista etico su ciò che è “bene” fare in occasione di scelte difficili nell’ambito della cura della salute. Si tratta certo di un’esigenza presente da sempre nell’etica e nella deontologia medica, così come nelle istanze, destinate nel passato a rimanere sotto traccia, dei pazienti e dei familiari. Ma oggi tutto ciò emerge con maggiore evidenza, sia per i problemi etici nuovi posti dal progresso della biomedicina, sia per il progressivo affermarsi dell’autodeterminazione del paziente, e non ultimo, per le diverse concezioni del bene vita e del bene salute. Ed è prevedibile che un’eventuale approvazione del disegno di legge, attualmente in discussione in Parlamento sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento, porti a un ulteriore avanzare di domande etiche su ciò che si “deve” fare al letto del paziente.

Quest’istanza di orientamento è sempre stata tra le finalità principali dei comitati, non a caso denominati etici, sin dalla nascita della bioetica, ma è anche stata, forse sin dall’inizio, a rischio di essere oscurata da un’altra, anch’essa pressante ed eticamente rilevante: quella della valutazione dei protocolli per la sperimentazione.

Da qui il secondo motivo dell’attualità del parere del comitato all’interno dell’agenda biopolitica: l’esigenza di difendere il significato e la specificità del ruolo di orientamento etico nella clinica, cercando di fare chiarezza sull’incertezza che rimane ancora a livello normativo, circa modi e spazi in cui potrà esprimersi l’etica clinica “al letto del malato”. Una difesa già presente nel dibattito internazionale in autorevoli documenti, come le Guide dedicate dall’Unesco ai comitati etici, ma anche nei pareri precedenti del Cnb, sul tema, in particolare nel documento del 2001, e che trova voce nel dibattito bioetico italiano anche nella Carta di Trento, redatta nel 2013 dal Gruppo nazionale di Etica clinica e consulenza etica, su La consulenza etica in ambito sanitario in Italia. Nonostante tali prese di posizione, l’incertezza su dove e come possa esplicarsi la consulenza etica clinica non solo permane, ma va accentuandosi per l’attuale evoluzione dell’assetto normativo sui comitati etici, che attribuisce a tali strutture un ruolo cruciale nella valutazione e autorizzazione delle sperimentazioni di farmaci e dispositivi medici.

Tale ruolo diventerà ancor più pressante e impegnativo nei prossimi mesi, quando diventerà pienamente operativo il regolamento 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea riguardante le sperimentazioni cliniche. L’impegno per la valutazione delle sperimentazioni renderà i comitati, già ridotti di numero a partire dal 2012, e ancora meno numerosi all’attuazione del Regolamento, impossibilitati (e, molto probabilmente, inadatti) a occuparsi di altre problematiche, e in particolare di questioni di etica clinica.

Da qui la necessità secondo il Cnb non solo di evidenziare l’importanza di comitati specificamente dedicati all’etica clinica, ma di proporne i requisiti circa l’indipendenza, le modalità per la consulenza, la struttura, la composizione, i compiti, la localizzazione, la composizione, il coordinamento, le competenze, il regolamento.

La questione cruciale su cui il parere si sofferma è naturalmente definire, sulla base della letteratura, “cosa” sia la consulenza etica, “chi” possa chiederla, il paziente, il familiare, il medico, un componente dell’equipe, e soprattutto “chi” sia autorizzato a darla.

Il Cnb afferma chiaramente la necessità che le valutazioni di etica clinica non sostituiscano la responsabilità del medico e derivino da un lavoro collegiale e non da un singolo esperto. Ciò non significa in alcun modo sminuire il prezioso ruolo svolto da bioeticisti esperti, adeguatamente formati, e da sevizi di consulenza etica operanti nelle strutture sanitarie.

In questo senso si richiamano esempi già in uso in altri Paesi e che assumono varie denominazioni, tra le quali è particolarmente suggestiva l’espressione “spazio etico” adottata, per esempio, in Francia. Il Cnb, però, afferma che le valutazioni etiche debbano essere collegiali, e non affidate a singoli esperti.

Evidente è la preoccupazione di salvaguardare, nel momento di estrema delicatezza della consulenza etica, tre aspetti fondamentali in bioetica clinica: l’interdisciplinarietà, il pluralismo, la relazione tra paziente e medico o équipe sanitaria.

Tale preoccupazione emerge, in tutta la sua centralità nel primo punto delle raccomandazioni, in cui non solo si sottolinea l’importanza dell’indipendenza del comitato dagli organismi da cui è istituito, ma si sostiene anche che la consulenza etica debba essere «compito esclusivo» del comitato e che «debba essere fornita dal comitato nella sua interezza». Solo «per i casi di urgenza o nei casi in cui si renda necessario acquisire informazioni direttamente dal paziente o dai curanti, il comitato potrebbe prevedere la delega di una parte delle proprie funzioni a organismi più ristretti, mantenendo comunque la supervisione sul loro operato».

Ma chi saranno i componenti di questi gruppi più ristretti? Il parere non dà una risposta esplicita su tale punto, quasi a voler lasciare libero il comitato di decidere volta per volta chi delegare, anche se è presumibile che un ruolo di rilievo debba avere in tali gruppi ristretti la figura del bioeticista, considerato come figura che debba essere presente (accanto al medico clinico, all’infermiere, al giurista, all’esperto di rischio sanitario, al rappresentante dei pazienti, all’epidemiologo) nel gruppo stabile del comitato per l’etica nella clinica, gruppo a cui possono affiancarsi di volta in volta, secondo i casi specifici, figure di esperti. Tra tutte queste figure il bioeticista risulterebbe essere il più competente a esprimersi sulla consulenza etica.

Ma chi è il bioeticista? Il Cnb, nel parere, parere focalizza l’attenzione esclusivamente sui comitati per l’etica clinica e non affronta il tema dei bioeticisti esperti di etica clinica, ritenendo che esso meriti una trattazione a parte. Il parere tuttavia in una nota relativa al decreto 8 febbraio 2013, che prevede obbligatoriamente tra i componenti dei comitati etici la figura del bioeticista, evidenzia come nel nostro Paese, a differenza di quanto accade in altri, la figura del bioeticista manchi di una sua definizione, sia per ciò che riguarda le competenze richieste, sia per la formazione necessaria.

Può bastare una nota? Nella postilla che segue il parere si richiama l’attenzione sulla necessità di andare oltre, mettendo a frutto l’esperienza e le competenze maturate dal Cnb nell’ambito della formazione alla bioetica. Anche questa è un’esigenza etica che va nel senso della responsabilità istituzionale: definire chiaramente dal punto di vista professionale una figura di cui l’attuale normativa indica come necessaria la presenza, tacendo però sulle competenze richieste e sulle modalità con cui verificarle. Ricordiamo a margine come l’unico disegno di legge rivolto a istituire la figura del bioeticista risalga all’ormai lontano 2003 e necessiterebbe oggi quindi di un aggiornamento.

Non è un’esigenza da sottovalutare se non si vuole correre il rischio che nei comitati per l’etica clinica, così come in quelli per la sperimentazione, siedano, accanto a esperti di bioetica autorevoli, altri dalle competenze più varie e accertate nel modo più disparato.


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