Medicina e ricerca

Ematologia, per i tumori del sangue la chance della Combotherapy

di Sergio Amadori (vicepresidente Associazione Italiana contro le leucemielinfomi e mieloma Onlus, Ail) Mario Boccadoro (direttore Divisione Universitaria di Ematologia, Aou Cittàdella Salute e della Scienza di Torino), Maurizio Martelli (Presidente Fondazione italiana linfomi, Fil)

I tumori del sangue rappresentano circa il 10% del totale dei carcinomi. I nuovi casi in Italia sono circa 35mila l’anno. La buona notizia è che oggi la cura delle neoplasie ematologiche ha conosciuto sviluppi formidabili e in molte malattie si sono ottenute remissioni di lunga durata o guarigioni.

Nel mieloma multiplo la sopravvivenza è almeno aumentata di quattro volte (da 2 a 8 anni, ma ci sono proiezioni ancora più ottimistiche) grazie al progresso scientifico e allo sviluppo di nuovi schemi terapeutici. Nel mieloma sono numerosi i nuovi farmaci approvati dalle Agenzie regolatorie (talidomide, lenalidomide, pomalidomide, bortezomib, carfilzomib, ixazomib, daratumumab, elotuzumab).

Combo therapy. Ma la novità è rappresentata dalle combinazioni di nuovi farmaci - la cosiddetta Combo therapy - che hanno ottenuto risultati sorprendenti, con una tossicità ridotta. Le nuove triplette si sono dimostrate nettamente superiori al trattamento con due farmaci, in alcuni casi con una diminuzione del rischio di progressione di malattia di circa il 70 per cento. Con questi trattamenti combinati il 30% dei pazienti ha ottenuto una remissione molecolare e da una prima osservazione clinica, appare altamente probabile che risultati migliori verranno riportati con tali triplette in pazienti con nuova diagnosi. Il reclutamento dei pazienti in trattamento con le triple combinazioni è già terminato in alcuni studi (oltre mille pazienti già reclutati) e ci aspettiamo risultati almeno preliminari entro l’anno.

Questi cambiamenti hanno completamente modificato lo scenario e coinvolto attivamente tutti gli “attori” principali: i pazienti con le loro associazioni, i medici rappresentati dalle società scientifiche di riferimento, le istituzioni. I pazienti devono essere informati e consapevoli che avranno ancora una vita con buona qualità. Grazie a questa virata le associazioni dei pazienti hanno modificato i temi di discussione e gli obiettivi della loro attività, passando dall’impegno nella gestione dell’assistenza di pazienti terminali alla richiesta di reinserimento dei pazienti guariti nel mondo del lavoro. Naturalmente questo nuovo percorso ha coinvolto anche i medici che si sono trovati di fronte a scelte terapeutiche complesse.

Per far fronte a questo trend e per dare risposte certe ai pazienti, sempre più consapevoli delle vaste possibilità a loro disposizione, i medici hanno dovuto investire in un continuo aggiornamento medico scientifico, acquisendo competenze ultra-specialistiche, divenendo così “specialisti guru” di singole patologie.

Nell’ottica di fornire la migliore risposta terapeutica disponibile le società scientifiche hanno favorito e gestito una imponente mole di dati, ricerca clinica e traslazionale e hanno dovuto gestire e organizzare un’articolata formazione dei medici su questi nuovi temi.

Le istituzioni, e in particolare il Servizio sanitario nazionale, hanno contribuito, per la loro natura universalistica, allo sviluppo e sostegno di studi clinici su un elevato numero di pazienti (peculiarità del nostro modello italiano, impensabile per esempio negli Stati Uniti). Ovviamente sviluppo e ricerca richiedono finanziamenti e le nostre Istituzioni hanno dovuto affrontare l’annosa problematica della sostenibilità delle nuove cure. Come medici impegnati in prima linea nell’erogazione di cure di alto profilo terapeutico e innovativo vediamo come unica soluzione per affrontare tutti questi cambiamenti la realizzazione delle reti di patologia che non devono essere fatte di soli medici, ma devono necessariamente includere i pazienti e le loro associazioni. Certamente importanti sono le reti regionali che devono individuare i centri idonei a erogare e a scegliere terapie così complesse. Ma occorrono reti nazionali che superino le divisioni regionali e garantiscano cure simili a livello nazionale. E tutto questo non basta ancora, è necessario che le reti nazionali siano parte di circuiti europei, perché ormai gli studi clinici non hanno confini e sovente comprendono centri che sono da entrambe le parti dell’Atlantico.

Come si è visto in questo breve excursus la cura delle neoplasie ematologiche è sempre più avanzata ma altrettanto complessa. È tutto molto complicato e a problemi complicati non ci sono soluzioni semplici, ma ci possono essere network efficienti in grado di supportare l’identificazione di soluzioni appropriate.

Chance per i mielomi. Parlando di mieloma, va segnalato che si è costituito un Working party che fa capo al Gimema (Gruppo italiano malattie ematologiche dell'adulto), ma che a sua volta è parte dell’European myeloma network, e che ha l’obiettivo di collaborare strettamente con i gruppi di pazienti dell’Associazione italiana leucemie (Ail) e con l’International myeloma foundation.

Il mieloma non è la sola patologia a beneficiare di questo nuovo paradigma di cura. Anche nei linfomi e nella leucemia linfatica cronica si hanno a disposizione molti nuovi farmaci: si amplia il numero di pazienti che possono essere trattati con successo grazie a terapie orali e ben tollerate (es. ibrutinib, Idelalisib).

In altre patologie come la leucemia mieloide cronica i risultati sono talmente positivi che l’attenzione dei ricercatori è concentrata sulla sospensione delle terapie nei pazienti in cui la remissione è misurata oltre che con metodi convenzionali, con metodi molecolari ad alta sensibilità, in grado di riconoscere una cellula leucemica fra 100mila cellule normali.


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