Medicina e ricerca

L’Aids e la scommessa della «cura funzionale»

di Roberto Cauda (professore ordinario Malattie infettive Università Cattolica del Sacro Cuore)

Aids è molto cambiata dalla sua comparsa negli anni ’80. Molti sono stati i progressi, primo fra tutti, la netta riduzione della mortalità. La malattia però è ancora tra noi e il primo dicembre, giornata mondiale dell’Aids, è l’occasione per ricordarcelo. Anche se non ha più i connotati drammatici del passato e per questo fa meno notizia, resta comunque una malattia che ancora richiede la massima attenzione da parte di tutti. Sono ancora troppi i casi che giungono all’osservazione in fase avanzata. Si tratta dei cosiddetti “late presenters” che spesso sono soggetti non più giovani che non hanno una chiara percezione di quali siano i rischi di infezione connessi con determinati comportamenti, e quindi, una volta infettati trascurano i segnali di allarme dovuti alla presenza nel loro organismo del virus. È auspicabile pertanto la promozione di campagne di informazione rivolte non solo ai soggetti tradizionalmente ritenuti a rischio di contagio ma anche a una platea più ampia. Informare dovrebbe diventare quindi la regola per ridurre la diffusione dell’infezione, e per far comprendere l’importanza della diagnosi precoce per iniziare il trattamento prontamente. Si potrà così far emergere il “sommerso”, che ancora esiste, cioè quella quota di soggetti sieropositivi che ancora non sanno di esserlo.

La terapia contro Hiv, virus responsabile dell’Aids, introdotta nella metà degli anni ’90 ha modificato in maniera significativa la storia di questa malattia. Dai tempi dei primi farmaci, non sempre ben tollerati e che richiedevano modalità complesse di assunzione anche in relazione al numero elevato di compresse al giorno, molta strada è stata fatta. Le terapie oggi sono più semplici, più efficaci e meno tossiche e per questo molto meglio tollerate. Va detto che in questo campo si sono ottenuti risultati fino a pochi anni fa neppur lontanamente immaginabili. In molti casi con una singola compressa al giorno si riesce a controllare in maniera efficace la malattia. L’introduzione dei farmaci anti virali su vasta scala ha anche consentito di ridurre la mortalità nell’Africa sub-sahariana tradizionalmente colpita in maniera massiccia dall’Aids, conseguendo un risultato rilevante per la “salute globale”.

Anche se la qualità della vita delle persone sieropositive è migliorata grazie all’efficacia di tali terapie, oggi non si può ancora parlare di guarigione dal momento che il trattamento una volta iniziato va protratto per tutta la vita. La sua eventuale sospensione infatti, è seguita dalla ripresa della malattia.

In una giornata come questa dedicata all’Aids, è normale che si guardi al passato e ai tanti risultati ottenuti, ma anche alle prospettive future. Trovo molto appropriata, pertanto, la frase scelta per celebrare la giornata mondiale dell’Aids 2017, “honor the past, embrace the future”, che tradotta, così suona: «ricordare con onore il passato, e abbracciare con fiducia il futuro».

Ormai da molti anni l’attenzione dei ricercatori è rivolta a quella che viene attualmente definita “cura funzionale” dell’infezione. Si tratta di fatto di una cura che determina per così dire, una guarigione “parziale”, rispetto a quella che corrisponderebbe alla eradicazione del virus. Infatti l’obiettivo della “cura funzionale” è quello di “silenziare” il virus riducendolo a livelli estremamente bassi nell’organismo e rendendolo pertanto “innocuo”, pur sapendo che esso non scomparirà del tutto perché le sue caratteristiche biologiche gli consentono di integrarsi nelle cellule dell’organismo. Se oggi si sospendono le terapie il virus ha di nuovo il sopravvento e con lui la malattia; domani se la “cura funzionale” si rivelerà efficace questo non accadrà più. Interrompendo la terapia dopo un periodo di tempo, il virus rimarrà ma sarà silente, cioè non più in grado di riaccendere la malattia.

Come sempre è avvenuto nella storia dell’Aids, la risposta a questa domanda di “cura funzionale” verrà dalla ricerca scientifica. Dal momento che gli attuali farmaci non sono in grado di guarire, cioè eradicare il virus dall’organismo, cosa che rappresenterebbe ovviamente la svolta decisiva nella gestione della malattia, la ricerca scientifica si è diretta a comprendere le ragioni per cui il virus può “nascondersi” all’interno dei vari organi, rimanendo in una fase di latenza. Una volta chiariti i meccanismi che rendono possibile questa “convivenza” tra virus e individuo infetto sarà forse più facile aggredire il virus, combinando farmaci antivirali con interventi terapeutici in grado di stimolare una specifica risposta immunologica del soggetto. L’obiettivo è senz’altro ambizioso, e a oggi non si registrano ancora risultati significativi. Ma la storia dell’infezione da Hiv e dell’Aids insegna che anche gli obiettivi che nel passato sembravano irraggiungibili sono stati poi raggiunti.


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