Medicina e ricerca

Fibrillazione atriale, ne soffre un anziano su 12. Con la prevenzione risparmi per 152 mln

di Ernesto Diffidenti

Un anziano su 12 soffre di fibrillazione atriale che aumenta di 5 volte il rischio di ictus cerebrale. Tra questi pazienti, circa 1,1 milioni in tutta Italia, il 30,7% ancora non viene trattato con farmaci anticoagulanti che riducono del 70% le possibilità di aggravamento. E’ quanto emerge dai risultati presentati oggi a Roma del “Progetto Fai: la fibrillazione atriale in Italia”, finanziato dal Centro per il controllo delle malattie del ministero della Salute, promosso dal Dipartimento Neurofarba dell’Università di Firenze, coordinato dalla Regione Toscana e sviluppato in collaborazione con l’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche.

La prevalenza della fibrillazione atriale è strettamente correlata all'età: i tassi vanno, infatti, dal 3% nei soggetti nella fascia d’età 65-69 anni al 16,1% negli ultraottantacinquenni. Ma a soffrirne, in particolare, è l’8,3% degli over 65, con un dato più alto tra gli uomini (l’9,1%) rispetto alle donne (il 7,3%). Il campione totale del progetto è stato costituito da 6.000 ultrasessantacinquenni divisi in tre aree: Nord (Provincia di Bergamo), centro (Firenze) e Sud (Vibo Valentia) dove i dati sono risultati in leggera in controtendenza sia per l’età media più bassa (nascono più bambini), sia perché gli anziani tendono a ricongiungersi con i figli in precedenza emigrati verso il Nord Italia.

«Il Progetto Fai ha permesso di stimare la frequenza della fibrillazione atriale in un campione rappresentativo della popolazione anziana italiana - ha dichiarato Domenico Inzitari, dell’Università di Firenze, responsabile scientifico del progetto -. I tassi di prevalenza riscontrati indicano una frequenza elevata di questa importante aritmia negli anziani in Italia, che risulta, tuttavia, in linea con le stime più recenti attualmente disponibili nei Paesi occidentali, ed indica che nel nostro Paese, nella popolazione anziana, i pazienti affetti da fibrillazione atriale sono oltre 1.100.000».

Ebbene, solamente immaginando di abbassare la percentuale della fibrillazione atriale del 5%, secondo Inzitari «il Servizio sanitario nazionale potrebbe avere risparmi per 152 milioni di euro». L’aritmia, secondo lo studio, già costa al Ssn, un miliardo di euro di spese dirette derivanti dal verificarsi di un ictus cerebrale «a cui bisogna aggiungere un ulteriore miliardo di costi indiretti a carico delle famiglie» .

Il campione totale del progetto, 6mila pazienzi ultrassessantacinquenni assisiti dai medici di medicina generale (Mmg), come ha ricordato Antonio Di Carlo dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche «sono stati sottoposti a una doppia procedura di screening, domiciliare e ambulatoriale, seguita da una fase di conferma diagnostica che ha previsto l’esecuzione di un elettrocardiogramma, eseguito presso lo studio del medico di base».

Secondo i risultati sottolineati da Bianca Maria Polizzi del ministero della Salute «più di 3 pazienti su 10 che soffrono di fibrillazione atriale non vengono trattati con farmaci anticoagulanti, nonostante questi riducano del 70% il rischio di ictus cerebrale». Secondo lo studio, infatti, il 59,2% dei pazienti segue terapie di soli anticoagulanti, mentre il 10,1% fa cure con l’abbinamento di antiaggreganti e anticoagulanti. Il 9,4% non segue nessuna terapia mentre il 21,3% assume solo antiaggreganti «inadatti a ridurre il rischio ictus nei pazienti affetti da fibrillazione atriale». Il 14,3% dei pazienti ha dimostrato scarsa collaborazione a voler avere terapie di anticoagulanti, mentre il 4,1% l’ha rifiutata.

Uno studio parallelo riguarda gli elettrocardiogramma eseguiti in ambulatorio sui pazienti affetti da fibrillazione atricale in base ai quali, ha sottolineato Maria Grazia Dalfonso dell’ospedale Careggi di Firenze «risulta al 23% una fibrillazione atriale persistente, al 34,3% permanente e al 42,5% parossistica che si risolve nel giro di una settimana». Dunque, serve prevenzione. In questo ambito è centrale il ruolo dei medici di famiglia cui spetta il compito «attivo» di diagnosticare la fibrillazione atriale, spesso asintomatica, ma anche quello delle istituzioni che dovranno prevedere apposite campagne di screening.


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