Medicina e ricerca

Farmaci innovativi, Garattini: «Disco verde solo se c'è valore terapeutico aggiunto»

di Rosanna Magnano

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«Innovazione è una parola molto bella ma poi le vere innovazioni sono poche. La maggior parte dei nuovi farmaci approvati non sono vere innovazioni. Sono nuove molecole che hanno tutte le caratteristiche per essere approvate secondo la legge europea, ovvero in base a qualità, efficacia e sicurezza. Però questo non ci dice se il nuovo farmaco è veramente innovativo, perché per essere innovativo dovrebbe essere meglio di quelli che già esistono, o perché meno tossico o perché più efficace». Per Silvio Garattini - scienziato, ricercatore, medico e docente in chemioterapia e farmacologia, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche "Mario Negri” – è questa la prima valutazione da fare sull’ondata di tecnologie sanitarie che a ritmo serrato raggiunge le sponde del Sistema sanitario pubblico italiano, mettendo alla prova accessibilità e sostenibilità delle cure.

Le valutazioni dell’Ema non bastano per discernere la vera innovazione?
Per la maggior parte dei farmaci che vengono approvati dall’Ema non sappiamo quale sia la loro posizione rispetto a questo principio. Per esempio, se prendiamo i farmaci anti tumorali nella maggioranza dei casi non sappiamo nemmeno se aumentano la durata della vita oppure no. Lo apprenderemo soltanto in futuro.

Quindi bisogna attendere le valutazioni post marketing?
Esatto. Soprattutto perché molti dei farmaci che vengono approvati sono sostanzialmente dei prodotti che hanno delle caratteristiche per essere certamente attivi ma non è detto che siano meglio. In generale però costano di più. E questo è un problema da tener presente. La rivista medica francese “Prescrire”, che ha valutato tutti i farmaci approvati dall’Ema negli ultimi dieci anni ha stabilito che circa il 70% non rappresentano nessuna novità. Quindi l’innovazione è molto scarsa.

Ci sono invece promesse reali e concrete?
Certamente molti dei trattamenti che si basano sulle nuove tecnologie, come il Car-T cells per quanto riguarda alcune forme di leucemia e di linfomi che sono resistenti a tutti i trattamenti potrebbero essere un trattamento innovativo. Il problema è che lo sapremo soltanto in futuro. Sarebbe molto meglio che questi farmaci che sono attivi fossero messi in circolazione quando si sa che effettivamente danno un notevole risultato e che hanno una minore tossicità.

Quindi che cosa dovrebbe cambiare nel processo autorizzativo o nelle modalità della ricerca?
Bisognerebbe cambiare la legislazione. Se si dicesse che i criteri per approvare un nuovo farmaco sono qualità, efficacia e sicurezza, ma anche valore terapeutico aggiunto, cambieremmo completamente la faccia del problema. In questo modo si approverebbero soltanto quei farmaci che sono meglio di quelli che già esistono.

Sembrerebbe scontato e invece non lo è?
Studi comparativi se ne fanno molto pochi. E molto spesso la comparazione è fatta col placebo, anche se c’è già un farmaco di riferimento. Perché è più facile avere un risultato positivo contro placebo piuttosto che con il miglior farmaco che viene utilizzato.

Quindi tutto è affidato alle autorità nazionali, nel nostro caso all’Aifa?
L’Ema approva questi farmaci ma non è detto che l’Aifa debba metterli nel prontuario dei farmaci rimborsati dal Servizio sanitario nazionale. L’Aifa dovrebbe fare una valutazione e in assenza di studi comparativi dovrebbe attendere che arrivino questi studi prima di utilizzare il farmaco.

Questo però non rischia anche di allungare i tempi per i pazienti?
Perché dobbiamo pagare dei farmaci se non sappiamo se c’è qualcosa di più? Non dimentichiamoci che a causa di questo sistema circa i due terzi dell’aumento riconosciuto al Fondo sanitario nazionale sono stati assorbiti dai farmaci. Il che significa che non sono andati a completare dei servizi o delle difficoltà del Servizio sanitario nazionale. Quindi tutti gli anni c’è un aumento, anche nel 2017 di un miliardo e mezzo, e non possiamo continuare ad aumentare la spesa senza avere dei reali benefici.

O certezze sull’efficacia dei nuovi trattamenti..
Certo. Sui farmaci per l’eradicazione dell’Epatite C evidentemente non c’è stata una grande discussione perché i risultati erano molto convincenti. Ma sugli oncologici andrebbero fatte molte più verifiche. Anche perché questi farmaci non sappiamo in che dosi usarli, per quanto tempo usarli, in associazione con cosa usarli. Servirebbe quindi un forte investimento da parte dello Stato per studiare questi farmaci da parte di enti indipendenti, in modo tale che poi vengano utilizzati, ma solo se ci sono veramente dei risultati che ne attestino l’efficacia.

Che cosa suggerirebbe al nuovo Governo?
Di essere molto più vicino all’evidenza scientifica. Per approvare solo quei farmaci per i quali c’è un’evidenza scientifica che sono meglio di quelli che già esistono.


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