Medicina e ricerca

Depressione, dalla diagnosi alla terapia serve un approccio diversificato e personalizzato

di Cosimo Argentieri* , Maurizio Pompili**

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24 Esclusivo per Sanità24

Le categorie diagnostiche adottate sino ad oggi per la diagnosi di depressione e disturbi di personalità, richiedono un forte ripensamento perché rappresentano generalmente fotografie istantanee della situazione clinica del paziente e ignorano la molteplicità degli aspetti sintomatologici del disturbo.

Di questi temi si è discusso ampiamente nei giorni scorsi a Firenze, durante il convegno organizzato da Neomesia - che in Italia gestisce 18 strutture tra cliniche specialistiche psichiatriche e comunità terapeutiche, anche per minori, dislocate in 8 regioni per un totale di 667 posti letto - in cui sono state approfondite tematiche inerenti alle dimensioni psicopatologiche (nuovi profili diagnostici) e terapeutiche (tecniche innovative di trattamento). Come sottolineato nell’introduzione al Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, DSM-5, l’evidenza scientifica colloca ormai molti disturbi all’interno di uno spettro di disturbi strettamente correlati che condividono sintomi, fattori di rischio genetici e ambientali, e potrebbero condividere substrati neurali. In breve, i confini tra i vari disturbi sono meno impenetrabili di quanto si ritenesse in passato (D. Kupfer, Darrel A. Regier -2014).

Le relazioni scientifiche presentate in sede congressuale sono state concordi sulla necessità di adottare un approccio terapeutico diversificato e soprattutto personalizzato, sulla base di una diagnosi dimensionale che considera i sintomi non come elementi singoli, ma come variabili di uno stesso disturbo (spettro).
Allo stesso tempo vi è la necessità di rivedere i trattamenti clinici in un’ottica di medicina transazionale, integrando sistemi di cura farmacologica, psicologica e fisica, poiché non solo i sintomi ma anche gli esiti delle terapie variano da individuo a individuo.
Così come ha affermato Giulio Perugi, professore di psichiatria all’Università di Pisa, «la depressione maggiore è una sindrome eterogenea che richiede un intervento terapeutico individualizzato. Molte delle depressioni ‘resistenti’ sono in realtà ‘non-responsive’ ai farmaci ad azione sui sistemi monoaminergici. L’efficacia dei trattamenti che non agiscono sul sistema monoaminergico coinvolgono aspetti della depressione precedentemente trascurati e ci costringono a ripensare il procedimento diagnostico, il modello nosografico e l’approccio terapeutico».

Un elemento cruciale è la necessità di intervenire e gestire complesse poli-terapie che tengano conto della presenza di comorbidità mediche, in un ambito di controllo e sicurezza clinica. In tal senso si rende auspicabile la presenza di luoghi specifici di cura, dove interagiscano diverse professionalità in maniera multidisciplinare e dove si possa effettuare un monitoraggio ed un percorso riabilitativo intensivo individualizzato.
Il modello di inquadramento clinico-diagnostico che valorizza il processo terapeutico multidisciplinare, permette di identificare ed intervenire sulle condizioni psicopatologiche in maniera dinamica, combinando i trattamenti farmacologici e psicoterapici, alle terapie fisiche innovative quali la stimolazione magnetica trans-cranica.
Le considerazioni sopra esposte sono particolarmente importanti quando si parla di problematiche inerenti al suicido, un grave problema nell’ambito della salute pubblica. L’Organizzazione mondiale della sanità stima circi 880mila morti per suicidio ogni anno nel mondo.

Il suicidio non emerge mai dal piacere (sebbene vi siano delle eccezioni del tutto particolari), piuttosto è sempre legato a dispiaceri, vergogna, umiliazione, paura, terrore, sconfitte ed ansia. Si tratta di uno stato della mente in cui il soggetto perde gli abituali punti di riferimento. Si sente angosciato, frustrato, senza aspettative nel futuro.
In Italia vi sono circa 4.000 suicidi ogni anno, con netta prevalenza del tasso di suicidio nelle regioni settentrionali e nelle cinque province della Sardegna rispetto al resto della penisola. L’Istat ha riportato uno studio approfondito sul suicidio in Italia. Spicca come dato identificato da questa analisi, che in oltre l’81% dei casi non si rilevano né disturbi mentali né malattie fisiche.

Agli psichiatri di oggi e a tutti gli operatori della salute e della salute mentale viene veicolato il messaggio che possono trovarsi di fronte a individui i cui sintomi non soddisfano pienamente i criteri per un disturbo mentale, ma che mostrano un chiaro bisogno di trattamento o di cura. È dunque richiesto di allargare il campo di azione, trattare la sofferenza a prescindere dalla diagnosi e non confondere il suicidio come sintomo di un certo disturbo psichiatrico.

Presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea di Roma vi è un servizio dedicato cerca di sostenere gli individui a rischio di suicidio e a coloro che hanno perso un caro per suicidio. (www.prevenireilsuicidio.it). I sopravvisuti (coloro cha hanno perso un caro per suicidio), infatti, sono la più grande comunità di vittime con disturbi mentali connessi al suicidio. Si stima che per ogni suicidio siano almeno sei le persone colpite da questo evento, e si tratta comunque di una sottostima.

* direttore sanitario Neomesia
** professore di psichiatria e direttore scuola di specializzazione in psichiatria, Università La Sapienza - Roma


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