Medicina e ricerca

Epatite C, nuovi modelli di intervento per le categorie fragili dove si annida il sommerso

di Barbara Gobbi

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Nuovi obiettivi e novi modelli di intervento. Queste le priorità d'azione nell'ambito della lotta all'epatite C, patologia diventata l'emblema delle chance di successo dei nuovi farmaci eradicanti, ma anche - tutt'ora - sfidante per la complessità dei soggetti e dei casi che restano da trattare. Se ne parla in una "due giorni" a Matera, prima di quattro tappe nazionali che passeranno poi il 13 e 14 giugno per Roma e a settembre a Torino e Milano.
Oggi nel mondo ci sono circa 71 milioni di persone affette dal virus dell’epatite C. In Italia, che tra i Paesi europei presenta il maggior numero di persone esposte al virus dell’epatite C, si stima che la prevalenza del virus sia dello 0.7-1.4 per cento.«Tossicodipendenti, detenuti, pazienti fragili e con esposizione ai fattori di rischio tradizionali (emotrasfusioni, pratiche a rischio) rappresentano le categorie di popolazione sulle quali è opportuno concentrare oggi i nostri interventi di sanità pubblica, attraverso studi pianificati, coorti,percorsi di screening gratuiti per le categorie a rischio, al fine di promuovere l’eradicazione del virus dell’Hcv come previsto dall’Oms a partire dal 2030 - dichiara Nello Buccianti, direttore Uoc Medicina interna ell'Azienda ospedaliera universitaria San Carlo di Potenza. «L’Italia - ricorda il medico in occasione dell'evento "Be Fast, Be Different", organizzato con il contributo non condizionato di AbbVie martedì 21 e mercoledì 22 maggio a Matera - è tra i pochi Paesi ad aver aderito a questo programma. Ridurre la prevalenza dell’infezione del 90% significa ridurre la mortalità del 75% per le complicanze associate all’infezione (epatocarcinoma e manifestazioni extraepatiche)».
Ma affinché la microeliminazione del virus sia un obiettivo realizzabile, a cambiare devono essere anche i modelli di intervento: tra questi, il “case finding”, che richiede la collaborazione tra i Serd, gli istituti penitenziari, i medici di medicina generale per rendere più fluido il trattamento dei pazienti che abbiano contratto la malattia negli anni ’60 e ’70. L'idea degli incontri tra professionisti ed esperti di settore dedicati all'epatite C è proprio far emergere nuove strategie per estendere l’efficacia dei trattamenti antivirali a popolazioni a rischio e individuare quei casi di infezione sommersa che rappresentano i “reservoir”, i serbatoi ancora attivi del virus.

Il punto sul sommerso. Dall’inizio delle nuove terapie in Italia sono state trattate oltre 170mila persone, a fronte dei 240 mila previsti per il triennio 2017-2019. Ecco perché proliferano le occasioni di confronto e i convegni per sensibilizzare e educare specialisti e operatori sanitari al fine di poter raggiungere porzioni di popolazioni e di pazienti anche ignari di avere contratto la malattia. Alle circa 100mila vittime dell’Hcv sino ad oggi, vanno ad aggiungersi altre circa 100mila persone che sono infette senza saperlo. Il progetto avviato da Aifa per il trattamento di tutte le persone con Hcv - i farmaci disponibili sono di altissima efficacia e assicurano in oltre il 95% dei casi l’eradicazione dell’infezione - sta procedendo bene, ma una strategia globale di emersione dei casi nascosti ancora non c'è. «I nuovi farmaci hanno la peculiarità di condurre all’eradicazione del virus nel soggetto infetto in appena 8 settimane di terapia - spiega Massimo Andreoni, direttore scientifico Simit, Società italiana malattie infettive e tropicali -. Serve un approccio assai rapido e diverso in modo particolare per i casi più complicati, in cui fondamentale resta l’aderenza alla terapia e la corretta assunzione dei farmaci per non incorrere in successive difficoltà. Ciò vale soprattutto per le cosiddette key population, come tossicodipendenti e detenuti, migranti e persone fragili. I tossicodipendenti in particolare sono la fonte principale di trasmissione del virus. Si è calcolato che un tossicodipendente infetto è in grado di trasmettere l’infezione in 3 anni ad almeno altri 20 soggetti, generando uno di quei serbatoi del virus che intendiamo combattere e eliminare».

Ad oggi nel mondo ci sono circa 71 milioni di persone affette dal virus dell’epatite C. In Italia, che tra i Paesi europei presenta il maggior numero di persone esposte al virus dell’epatite C, si stima che la prevalenza del virus sia dello 0.7-1.4%. Oggi, grazie alle nuove terapie antivirali IFN-free (DAA), è possibile raggiungere la clearance virale e dunque la guarigione in oltre il 95% dei casi trattati. Ad oggi i trattamenti antivirali avviati sono circa 170 mila a fronte dei 240 mila previsti per il triennio 2017-2019.
Ecco perché proliferano le occasioni di confronto e i convegni per sensibilizzare e educare specialisti e operatori sanitari al fine di poter raggiungere porzioni di popolazioni e di pazienti anche ignari di avere contratto la malattia. Nelle scorse due decadi, analogamente a quanto avvenuto in Europa, anche nel nostro Paese si è registrata una significativa modificazione dell’epidemiologia dell’infezione da HCV. È ormai dimostrato che il trattamento dell’infezione da HCV ha un vantaggio sia a livello del singolo individuo sia a livello della popolazione generale. Inoltre si stima che attualmente oltre 200mila italiani siano rimasti da trattare e che molti di questi possano rischiare una degenerazione sino alla cirrosi epatica o al tumore del fegato, due delle principali complicazioni dell’epatite C, con un costo sociale di centinaia di milioni di euro l’anno legato alla gestione di queste condizioni cliniche.


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