Medicina e ricerca

Il peso del lockdown sugli screening oncologici: 4 milioni di test da recuperare

di Paola Piccioni *, Maria Cristina Perrelli *

S
24 Esclusivo per Sanità24

La Fase 1 dell’emergenza Coronavirus ha decretato lo stop, su tutto il territorio nazione, delle attività ambulatoriali e di ricovero non urgenti e differibili.
Le Regioni sono state anche chiamate a prendere una posizione circa l’opportunità di proseguire o meno i programmi di screening oncologici (mammografico, cervicale, colorettale) e a definire l’eventuale rimodulazione dei servizi di prevenzione.
I contenuti delle delibere regionali sono variegati e in molti casi le decisioni sono state delegate alle singole Aziende. Tuttavia, come riportato dall’Osservatorio Nazionale Screening, «gran parte delle Regioni ha stabilito la sospensione degli esami di primo livello, interrompendo le chiamate attive, e di mantenere gli approfondimenti quando non procrastinabili, spesso attraverso un triage telefonico per accertarsi delle condizioni dei cittadini».
La Fase 2 ha dato finalmente avvio alla graduale riapertura della sanità ordinaria e alla riprogrammazione, da parte delle Aziende Sanitarie, delle attività di erogazione delle prestazioni (di ricovero e ambulatoriali) programmabili e non urgenti.
Come nel caso della chiusura, anche in quello della riapertura le Regioni si muoveranno secondo tempistiche e modalità differenti, anche per quanto riguarda la ripresa dei programmi di screening oncologici.
Il tema della necessità di riavvio delle attività di prevenzione secondaria è al centro del dibattito ed è sufficiente citare alcuni numeri di contesto per capire il perché.
Se si guarda allo screening mammografico, si stima che negli ultimi 10-20 anni, abbia ridotto la mortalità per questa neoplasia – in Italia prima causa di morte per tumore femminile - di circa il 45%.
Dal 2015 al 2017 sono stati effettuati, attraverso il Servizio sanitario nazionale, oltre 5 milioni di test mammografici e sono stati diagnosticati oltre 24.600 carcinomi, pari a circa il 17% dei tumori mammari individuati nel triennio.
A questi numeri si aggiungono quelli riferiti al 19% delle donne che scelgono di effettuare i controlli in ambito privato: se si assume per le visite di prevenzione effettuate in strutture private un tasso di individuazione del carcinoma pari a quello dello screening pubblico (4,6 per mille), si stima che ogni anno la prevenzione secondaria consenta di individuare precocemente circa 11mila carcinomi mammari.
Per quanto riguarda invece i tumori della cervice dell’utero, nel triennio 2015-2017 sono state oltre 5 milioni le donne che si sono sottoposte a screening, e sono state individuate oltre 13mila lesioni con istologia CIN II o più grave, che possono condurre nei casi più critici a carcinomi. L’adesione allo screening cervicale si aggira attorno al 40%, ma si registra una quota elevata di donne (34% secondo l’Osservatorio Passi) che si rivolge a strutture private per esami di prevenzione.
Considerando sia l’ambito pubblico che quello privato, si stima che i test effettuati per la diagnosi precoce portino all’identificazione di un numero di lesioni con Istologia CIN II o più grave prossima agli 8.000 casi all’anno.
Infine, il tumore del colon retto, terzo tumore più frequentemente diagnosticato negli uomini e secondo nelle donne, che ha causato nel solo 2017 ben 19.407 morti.
Lo screening colorettale ha interessato negli anni dal 2015 al 2017 oltre 7 milioni di persone in Italia, e ha portato all’individuazione di circa 52mila adenomi avanzati e 9mila carcinomi, evidenziando un tasso di identificazione del tumore pari all’1,3 per mille. Considerando la quota di popolazione che effettua visite di prevenzione in strutture private pari all’8% della popolazione target, si stima che il numero di carcinomi individuati con lo screening preventivo – attraverso Ssn e privato - in un anno sia pari a circa 3.800.
Le Breast Unit (centri specializzati nella cura del tumore al seno) dichiarano la sospensione degli screening decisamente critica ma ancora sotto controllo, in termini di impatto sulla capacità del sistema di intercettare precocemente nuovi tumori. È però necessario ripartire, e farlo nel più breve tempo possibile, per far sì che i servizi di prevenzione secondaria ritornino presto a regime e recuperare la diminuzione delle attività diagnostiche imposta dall’emergenza.
Nell’ipotesi che la situazione sanitaria non imponga nuovi stop ai programmi di prevenzione, la ripresa delle attività troverà verosimilmente piena applicazione solo a partire dal mese di settembre.
A quel punto, quanti saranno i test che il Servizio Sanitario Nazionale dovrà recuperare?
Secondo stime Nomisma, nell’ipotesi di un riavvio parallelo - e non subito a pieno regime - dei tre programmi di prevenzione a partire da maggio, all’inizio di settembre ci si troverà ad aver eseguito solo un terzo dei test di quelli effettuati mediamente in un anno.
Ciò significa che, per arrivare a fine anno “in pari” con gli anni precedenti, bisognerà effettuare negli ultimi quattro mesi 1,2 milioni di test diagnostici mammografici, 1,1 milioni di test cervicali e circa 1,6 milioni di test colorettali.
Numeri straordinari che, con ogni probabilità, il Servizio Sanitario Nazionale farà fatica a soddisfare nel breve periodo. Il recupero dei ritardi accumulati si troverà, infatti, ostacolato da molteplici fattori; primi fra tutti, il distanziamento sociale che imporrà un contenimento degli accessi nelle strutture e una possibile iniziale refrattarietà della popolazione a sottoporsi ad esami diagnostici che, purtroppo, in diversi casi (in particolare in alcune regioni) vengono ancora considerati non strettamente necessari o comunque rimandabili.
Diversi sono gli scenari percorribili: pianificare il recupero non sul breve ma (almeno) sul medio periodo; oppure interpretare questa esperienza come input per un “aggiornamento” delle strategie e degli impianti organizzativi fino ad ora adottati. È verosimile che, nella prima fase di ripresa, i Servizi Sanitari regionali concentreranno gli sforzi sulle fasce di età e sulle situazioni valutate come maggiormente a rischio. Ma è anche auspicabile che la corsa al recupero diventi occasione per riflettere su possibili rimodulazioni migliorative delle attività e sull’opportunità di un eventuale potenziamento delle risorse (economiche, umane, tecnologiche) di norma dedicate.
Quel che è certo è che la prevenzione oncologica deve restare un asset fondamentale del Servizio sanitario nazionale anche in periodo di crisi. Gli investimenti effettuati negli anni, i risultati ottenuti e i gap da colmare in alcune aree del Paese devono rappresentare la base dalla quale le Regioni dovranno riorganizzarsi e ripartire.

* Nomisma


© RIPRODUZIONE RISERVATA