Medicina e ricerca

Recovery Plan: una filiera integrata ricerca-innovazione-impresa per la sanità digitale

di Lilia Alberghina*

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24 Esclusivo per Sanità24

Lo sviluppo del digitale sarà uno degli assi portanti del New Generation EU (NGEU), il cui obiettivo è di produrre un accelerato stimolo della competitività economica ed il raggiungimento di un benessere sociale realmente inclusivo, in una Ue gravemente ferita dalla pandemia COVID-19.
In effetti il ritardo europeo nel digitale precede di parecchi anni la crisi generata dalla pandemia: mentre gli USA, e qualche tempo dopo anche la Cina, sviluppavano un'industria digitale che ha dato origine a potentati tecnologici quali Google e Amazon in USA ed Alibaba e Tencent in Cina, nulla di comparabile è stato realizzato nella UE.

È ovvio che il primo obiettivo per il digitale europeo sia quello di utilizzare queste tecnologie (dagli algoritmi ai robot) per aumentare la competitività di imprese e servizi con chiare potenzialità di crescita in termini di fatturato e di creazione di posti di lavoro. Tuttavia ancor più interessante appare la circostanza che, all'alba dell'avvio degli investimenti senza precedenti del Recovery Plan, l'Europa si trovi di fronte all'opportunità irripetibile di poter mirare ad un obiettivo di ben altra portata ed ambizione, da individuare e perseguire il più rapidamente possibile: progettare una filiera integrata di ricerca-innovazione-impresa nel settore ancora non completamente presidiato da USA e Cina della salute e dell'ambiente. Una sorta di "One Digital Health" da affrontare con un approccio sistemico, orientato all'individuazione delle leggi e delle relazioni che governano i fenomeni, potenziato, più che derivato, da un uso ragionato di Big Data e Intelligenza Artificiale.

Finora i temi afferenti al mondo della vita, che nell'insieme costituiscono la struttura portante di NGEU, dalla salute umana ed animale alla produttività agricola, dalla sostenibilità ambientale alle tecnologie green di produzione, sono stati affrontati in modo specialistico, attraverso tecnologie cellulari e molecolari, sempre più sofisticate.
Si comincia ora a sentire l'esigenza di un quadro di riferimento in cui le molteplici conoscenze specialistiche trovino le leggi delle loro interazioni, riconoscendo il fatto che tutti gli aspetti della vita sono fra loro interconnessi, come le recenti gravi crisi della pandemia, dell'inquinamento ambientale e del "climate change" stanno evidenziando.
Questo quadro generale può essere reso possibile solo da una ampia e sofisticata applicazione delle tecnologie digitali, da qui il nome di "One Digital Health" al comparto che, ove sviluppato, darebbe ampia e risolutiva risposta a molti degli obiettivi del NGEU.
Diventa quindi dirimente quale strategia scientifica si persegue per realizzare quella integrazione tra infotech e biotech, che anche N.Y. Harari indica, nei suoi libri, come determinante il futuro della società umana del XXI secolo.

Finora la integrazione infotech e biotech è avvenuta seguendo il paradigma: Big Data ed Intelligenza Artificiale. Il che non stupisce dato che tanto i successi economici quanto l'immenso potere accumulato dalle Big Tech, sia USA che Cinesi, si basano sull'uso dei Big Data, raccolti dalle più diverse fonti, utilizzati in modo estremamente lucroso per ottenere con sofisticati algoritmi la profilazione dettagliata di milioni e milioni di soggetti da offrire al mercato pubblicitario, alle aziende o ai partiti politici.
Tuttavia, l'esperienza di questi anni ci mostra che l'uso dei big data per comprendere ed imparare a gestire processi biologici complessi non ottiene risultati altrettanto soddisfacenti. L'individuazione di correlazioni tra set di dati, infatti, se va molto bene per la pubblicità, non riesce invece a individuare i meccanismi causali che sottendono processi biologici complessi.

Bisogna quindi guardare al problema da una prospettiva diversa: piuttosto che ricercare correlazioni statistiche che nulla ci dicono delle ragioni alla base dei fenomeni biologici complessi (ad es. quelli alla base di molte malattie difficili da trattare come il cancro o le malattie neurodegenerative) occorre applicare tecnologie computazionali capaci di aiutare l'intelligenza umana nella costruzione di modelli matematici predittivi: ricorrere quindi ad una intelligenza umana 'aumentata' dalle tecniche digitali piuttosto che affidarsi ad una intelligenza artificiale dimostratasi infeconda di risultati in questo campo. E' questo il tema affrontato dalle scienze sistemiche ed infatti, da almeno venti anni, la systems biology ha un ruolo sempre crescente nella scienza della vita.

Un passo avanti ulteriore, molto importante, è stato compiuto, più di recente, nel riconoscere il metabolismo, e non la sequenza del DNA, come la più accurata "impronta digitale" di una cellula, di un organismo. La "systems metabolomics" dimostra che il metabolismo integra tutti i segnali che arrivano alla cellula, non solo quelli genetici, ma anche i molti forniti dalle cellule vicine, dai nutrienti ed anche da come il tipo di metabolismo determini il futuro della cellula stessa. Cioè, In poche parole: "la cellula è il metabolismo che ha".

Questi campi di indagine sono già affrontati, in modo settoriale, da molti centri di ricerca sorti spontaneamente in diversi paesi europei. Si tratta ora di metterli a sistema, in modo che l'approccio sistemico, che ha la chiave per comprendere le funzioni sia normali che patologiche, possa fornire supporto allo sviluppo di prodotti o servizi utili alla società: da farmaci capaci di debellare cancro e malattie neurodegenerative, a tecnologie green di biomanifattura, a miriadi di servizi capaci di innovare la sanità ed il mondo del lavoro, in genere. Questo cambio di paradigma produttivo, fortemente sostenuto dal digitale, ma anche "job intensive", potrà consentire la sostenuta crescita di produttività, di cui abbiamo tanto bisogno.
Per raggiungere questi obiettivi bisogna creare un'organizzazione della ricerca scientifica rispondente al nuovo momento storico come fatto in Italia, nel passato recente, nel campo della fisica. Quali sono le caratteristiche di questa nuova organizzazione?
La ricerca scientifica viene articolata su due piani: un piano della ricerca "curiosity-driven", che si svolge nelle università, che ha prevalentemente la funzione di formazione teorico- sperimentale per gli studenti universitari, al fine di prepararli adeguatamente alla vita professionale e, non meno importante, quello di vivaio per futuri docenti universitari.
Essa si svolge prevalentemente in piccoli gruppi, largamente monodisciplinari, rivolgendosi a tematiche, influenzate dalla moda scientifica del momento, ma che dovrebbero consentire di valutare la capacità innovativa dei futuri docenti e le loro competenze.

Il secondo piano si raggiunge quando un'area disciplinare riesce ad esplicitare un concetto fondante, che guiderà la ricerca e l'innovazione per molti anni a venire. Esempio classico: quando la fisica acquisisce il concetto "la materia si può convertire in energia", in un qualche modo ha già determinato, senza ancora saperlo, le strade che porteranno alla bomba atomica, alla fusione nucleare, al bosone di Higgs ed all'origine dell'Universo.
Quando la complessità biologica afferma "una cellula è il metabolismo che ha" apre la strada, basata sul digitale, per rivoluzionare temi enormi: dalla cura delle più diverse malattie, alla comprensione del rapporto cervello/mente, dallo sviluppo di tecniche ecosostenibili a servizi personalizzati per fitness e longevità.

Come la fisica ha organizzato da tempo e con successo centri di ricerca come l'INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) o l'INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) in Italia, o il CERN a livello europeo, istituzioni dove migliaia e migliaia di ricercatori lavorano in modo integrato su grandi progetti, sviluppando una creatività di gruppo che ricorda quella delle botteghe Rinascimentali, altrettanto occorre fare in Italia per la complessità biomedica per acquisire un ruolo rilevante in UE e puntare a risultati di eccellenza: centri come questi, oltre a favorire la contaminazione delle idee, si possono porre come centri di concentrazione di importanti finanziamenti per importanti progetti, superando l'attuale frammentazione delle risorse in mille rivoli incontrollabili ed inefficienti.

Quindi risulta urgente che, al fine di realizzare in tempi brevi il "One Digital Health" europeo, coerente con i valori europei di solidarietà e libertà e capace di promuovere la crescita della UE, dandole anche un forte potere negoziale geopolitico nel digitale, i diversi paesi, e l'Italia in particolare, si attrezzino a riorganizzare una filiera ricerca-innovazione-industria e servizi per "One Digital Health". Questo, tra l'altro, potrebbe offrire larghe e motivanti attività lavorative alle nuove generazioni che, paradossalmente, mentre possono vantare livelli medi di istruzione mai così elevati e con punte anche di notevole qualificazione, si ritrovano troppo spesso espulse dal mercato del lavoro e costrette a cercare un adeguato riconoscimento delle loro qualità e dei loro saperi all'estero.
Una dettagliata descrizione di questa proposta è presentata in un mio libro, in corso di pubblicazione.

*Professore Emerito di Biochimica all'Università di Milano Bicocca e Direttore di SYSBIO, Centro per la System Biology


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