Medicina e ricerca

L’enorme costo della demenza. Ma non è solo malattia di Alzheimer

di Leonardo Pantoni *

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Il deterioramento cognitivo, cioè la perdita di alcune o di più capacità mentali, nelle sue varie declinazioni di gravità (dalle forme lievi a quelle più gravi denominate demenza), è un problema di enorme valenza epidemiologica e impatto sociale ed economico. Una stima che probabilmente sottovaluta i dati reali indica che in Italia almeno 1 milione di persone ne sono colpite, con enormi ricadute sul piano dell’assistenza sanitaria ma anche con alti costi socio-economici.
La forma più nota e frequente di declino cognitivo è la malattia di Alzheimer. Tuttavia vi sono diverse altre condizioni patologiche che possono portare a demenza. L’ictus e le malattie cerebrovascolari, la malattia di Parkinson, il trauma cranico, ne sono alcuni esempi. Purtroppo l’attenzione prestata a queste cause di declino cognitivo è stata finora molto scarsa, in primo luogo da parte di tutti gli operatori sanitari coinvolti in fasi diverse nella gestione di questi pazienti. Noi medici per esempio siamo molto preparati nel riconoscimento e nella gestione dei deficit motori conseguenti ad ictus cerebrale ma poco preparati a riconoscere i segni del declino cognitivo in questi pazienti.
Eppure i numeri sono impressionanti. Una recente ricerca condotta presso l’ospedale Sacco di Milano ha dimostrato che 3 mesi dopo un ictus il 50% dei pazienti presenta, se specificamente indagato, una qualche forma di declino cognitivo e che questo in metà di essi è una demenza, un deficit cioè per il quale il paziente non è più in grado di badare da solo alle attività della vita quotidiana. La ricerca ha inoltre evidenziato che una parte (40%) di questi pazienti mostra segni di declino cognitivo già prima dell’ictus, un dato non del tutto sorprendente considerando che la fascia di età nella quale l’ictus si verifica più frequentemente è quella avanzata e quindi coincidente con le classi di età più a rischio di declino cognitivo indipendentemente dall’ictus.
Lo stesso gruppo di ricerca del Sacco ha evidenziato che a distanza di 9 mesi da un ictus cerebrale solo un quarto dei pazienti sopravvissuti sono esenti da deterioramento cognitivo. Dati con alto impatto assistenziale. Basti pensare a come il deterioramento cognitivo possa interferire con il processo di recupero motorio ed avere impatto negativo sulla gestione della prevenzione secondaria (controllo dei fattori di rischio e terapie farmacologiche).
Uno dei fattori che ha limitato il riconoscimento del deterioramento cognitivo nel paziente con ictus è stata la poca abitudine all’uso di strumenti specifici a questo scopo. Mentre infatti la valutazione della forza o della coordinazione motoria sono facilmente eseguibili al letto del paziente in poche manovre, la valutazione cognitiva è di base molto più complessa e lunga. Al di fuori del campo dell’ictus questa valutazione è eseguita attraverso la somministrazione di una serie di test ciascuno dei quali valuta aspetti diversi dello stato cognitivo (memoria, orientamento, attenzione, capacità di riconoscere cose o persone, calcolo, linguaggio, ecc.). Tipicamente questi test sono somministrati in ambulatorio a pazienti in grado di stare seduti al tavolo. Tutto questo non è facilmente eseguibile nella stroke unit, il reparto di degenza semi-intensivo in cui il paziente trascorre le prime giornate dopo l’ictus. Tuttavia l’esperienza condotta presso il Sacco ha evidenziato che in tale ambiente sono somministrabili dei test cognitivi semplici e relativamente rapidi in grado di definire con sufficiente precisione lo stato cognitivo del paziente e che, ancora più rilevante, predicono lo stato del paziente a distanza dall’ictus.
È quindi fondamentale che chi si occupa di ictus divenga familiare con queste semplici procedure i cui risultati possono portare a decisioni mediche e gestionali con ricadute in termini socio-economici. Anche per questo è stata lanciata una campagna denominata “Gesti che tornano a essere importanti” incentrata su alcuni grandi temi legati alla demenza quali la selezione dei pazienti da sottoporre alle possibili nuove terapie che si affacciano all’orizzonte, ma anche le enormi ricadute organizzative che questo può comportare, il riconoscimento del declino cognitivo in condizioni in cui questo non è tipicamente fatto, quali il già citato campo dell’ictus cerebrale ma anche quello della malattia di Parkinson e del trauma cranico.

* Direttore Uoc Neurologia Ospedale Luigi Sacco, Università degli Studi di Milano


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