Medicina e ricerca

Tumori, la combinazione di immunoterapie migliora la sopravvivenza: nel rene il 48% dei pazienti vive a 5 anni, nel mesotelioma il 23% a 36 mesi

di Carmine Pinto *

S
24 Esclusivo per Sanità24

Il 48% dei pazienti con tumore del rene trattati in prima linea con la combinazione di molecole immuno-oncologiche, nivolumab e ipilimumab, è vivo a 5 anni. Un risultato importante per questi pazienti. E nel mesotelioma il 23% è vivo a 3 anni, sempre grazie a questo approccio in pazienti mai trattati prima. Anche in questo caso si tratta di un risultato unico. I dati derivano dagli studi CheckMate -214 e CheckMate -743, presentati al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (Esmo), in corso fino al 21 settembre.
Nel 2020, in Italia, sono stati stimati 13.500 nuovi casi di tumore del rene e più di 144mila persone vivono dopo la diagnosi. La forma più frequente è quella a cellule renali. Oltre il 50% dei pazienti con malattia in fase precoce guarisce. Però il 30% arriva alla diagnosi già in stadio avanzato e, in un terzo, la malattia può recidivare in forma metastatica dopo l’intervento chirurgico. Storicamente, la sopravvivenza a 5 anni nella malattia avanzata o metastatica non superava il 13%. Oggi invece, grazie alla combinazione delle due molecole immuno-oncologiche, quasi la metà è viva a 5 anni. Lo studio di fase 3 CheckMate -214 ha coinvolto 1.096 persone con tumore del rene a cellule renali avanzato e ha valutato, in prima linea, nivolumab più ipilimumab rispetto allo standard di cura costituito da sunitinib. Il follow up è stato di 67,7 mesi. In questo studio di fase 3 la sopravvivenza globale mediana ha raggiunto 55,7 mesi con la combinazione. In tutti i pazienti randomizzati, i tassi di sopravvivenza globale a cinque anni erano pari al 48% con nivolumab più ipilimumab rispetto al 37% con sunitinib. La combinazione, inoltre, ha evidenziato un tasso di risposta globale più alto rispetto a sunitinib (39% rispetto a 32%). La combinazione di immunoterapia migliora e allunga nettamente la speranza di vita a lungo termine, come evidenziato dalle sottoanalisi. I pazienti vivi a 3 anni dopo l’avvio del trattamento con nivolumab più ipilimumab presentavano l’81% di probabilità di vivere anche nei due anni successivi e i pazienti liberi da progressione a 3 anni avevano l’89% di probabilità di restare in questa condizione per altri 24 mesi.
La combinazione ha evidenziato miglioramenti nella sopravvivenza globale in sei studi di fase 3 relativi a 5 diversi tumori: oltre al carcinoma a cellule renali, il tumore del polmone non a piccole cellule, il melanoma, il cancro dell’esofago a cellule squamose e il mesotelioma pleurico. Quest’ultimo è un tumore raro, nel 2020 in Italia sono stati stimati circa 1.200 nuovi casi. La malattia è correlata con l’esposizione professionale/ambientale alle fibre di amianto ed è tristemente nota per l’elevata mortalità. L’impiego del minerale nel nostro Paese è terminato nel 1992, con la legge che ha decretato un generale divieto relativo all’estrazione, importazione, esportazione, commercializzazione e produzione dell’amianto, ma restano importanti le quantità di amianto presenti ancora nei territori soprattutto in diverse tipologie di strutture edilizie. Il mesotelioma insorge a distanza di alcuni decenni dopo l’esposizione all’amianto e pertanto, in questi anni, continua ad essere diagnosticato proprio per l’uso intenso del minerale dal secondo dopoguerra fino agli inizi degli anni Novanta. Le opzioni terapeutiche sono ridotte. La chemioterapia ha mostrato vantaggi nella fase avanzata, con solo il 10% dei pazienti vivo a 5 anni.
I dati presentati all’Esmo rappresentano un passo in avanti nella strategia terapeutica. Nello studio di fase 3 CheckMate -743 che ha coinvolto 605 pazienti, a un follow up minimo di 35,5 mesi, la combinazione di nivolumab e ipilimumab in prima linea ha ridotto il rischio di morte del 27%, evidenziando una sopravvivenza globale mediana di 18,1 mesi rispetto a 14,1 mesi con la chemioterapia. Nello studio, la combinazione immunoterapica ha dimostrato un miglioramento clinicamente significativo nella sopravvivenza, con il 23% dei pazienti ancora vivo a tre anni rispetto al 15% con la chemioterapia. I benefici della combinazione, inoltre, durano nel tempo con una durata mediana della risposta di 11,6 mesi rispetto ai 6,7 mesi della chemioterapia.

* Direttore Oncologia Medica Comprehensive Cancer Centre Ausl-Irccs di Reggio Emilia


© RIPRODUZIONE RISERVATA