Medicina e ricerca

Malattia di Alzheimer: a quando una terapia efficace?

di Alessandro Padovani *

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24 Esclusivo per Sanità24

Nel mese dedicato alla Malattia di Alzheimer è giusto interrogarci sull’avanzamento della ricerca, in particolare nell’ambito delle cure. Infatti, nonostante gli studi sperimentali e clinici, nonché il progresso tecnologico e scientifico, la partita per individuare cure efficaci sembra ancora lontana dall’essere vinta. Nei mesi scorsi, vi sono stati numerosi commenti alla notizia che la Food and Drug Administration avesse deciso di dare avvio alla cosiddetta approvazione accelerata di un farmaco per la Malattia di Alzheimer. In verità, il farmaco in questione è un anticorpo monoclonale che ha come bersaglio una particolare forma di una proteina chiamata beta-amiloide, che si accumula nel cervello dei malati Alzheimer. L’accumulo di alcune forme di beta-amiloide dà origine, attraverso un meccanismo di fibrillogenesi, all’aggregazione e alla comparsa di placche neuritiche e senili, le quali sono a loro volta associate alla degenerazione dei neuroni cui contribuisce la fosforilazione di un’altra proteina chiamata tau. La terapia antiamiloide, secondo quanto dichiarato dalla Fda, sarebbe in grado di contrastare l’accumulo di beta-amiloide. Rimane da chiarire se l’azione nei confronti di questo meccanismo sia da sola sufficiente per rallentare la progressione della malattia oppure se un eventuale effetto favorevole sia presente in tutti i pazienti e persista nel tempo. Va segnalato che, secondo la Fda, il trattamento può avere effetti collaterali e che saranno comunque necessari ulteriori studi per documentarne il profilo di tollerabilità.
In verità, sono diversi i farmaci che attendono una valutazione da parte di Fda mentre al momento non è dato di sapere quale sarà la decisione di Ema, ovvero l’agenzia analoga presente in Europa. Né possiamo anticipare i tempi per questa decisione. Nel frattempo, altri studi sperimentali hanno documentato che un trattamento mirato alla proteina Tau possa essere anche efficace, eventualmente in associazione con i trattamenti antiamiloide. Oltre a questo, diverse evidenze puntano su alcuni farmaci, recentemente sviluppati per la cura del diabete, i quali sembrano interferire a vari livelli con i processi neuropatologici associati alla malattia. In altre parole, potremmo essere sulla strada giusta ma non siamo ancora arrivati al traguardo ed è doveroso essere cauti, fino a quando non vi saranno altri dati.
In attesa di questi, è necessario migliorare i percorsi diagnostici sia per identificare la malattia di Alzheimer in epoca precoce sia per individuare eventuali altri fattori di rischio o condizioni che potrebbero, se corretti o trattati, contribuire a rallentare il decorso clinico. In questa direzione si è diretta Airalzh (Associazione Italiana Ricerca Alzheimer) promuovendo progetti di ricerca mirati a sviluppare target o metodologie per una diagnosi precoce. Infatti, è ormai opinione largamente diffusa che una gestione tempestiva dei malati con Alzheimer mediante strategie combinate può indurre un significativo miglioramento nelle fasi lievi e rallentare la progressione. Stimolazione cognitiva e motoria, alimentazione corretta, igiene orale, vaccinazione, controllo dei fattori di rischio cardiovascolare, un sonno regolare, devono essere parte integrante di un approccio terapeutico alla malattia di Alzheimer senza il quale nessuna terapia potrà essere realmente efficace. La sfida è lanciata, e Airalzh, grazie ai suoi giovani e a tutti coloro che hanno contribuito a finanziarne i progetti, l’ha raccolta. Il tempo ci dirà se avremo vinto, ma noi ci crediamo.

* socio fondatore e membro del Consiglio Direttivo di Airalzh (Associazione Italiana Ricerca Alzheimer) e Direttore della Clinica di Neurologia presso Asst Spedali Civili di Brescia


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