Medicina e ricerca

Malattie croniche renali: i rischi del Covid per i pazienti in dialisi e le opportunità di un nuovo modello di assistenza

di Giuliano Brunori *, Americo Cicchetti **

S
24 Esclusivo per Sanità24

I pazienti nefrologici in dialisi hanno pagato un tributo molto alto alla pandemia da Sars-Cov-2 e data la loro fragilità sono ancora oggi a maggiore rischio di contrarre l'infezione e di sviluppare la malattia in maniera grave. Una rilevazione condotta dalla Società italiana di nefrologia (Sin) fra febbraio ed aprile 2020 ha dimostrato che nelle persone che si sottopongono a emodialisi la mortalità a causa dell’infezione da Covid è stata 14 volte superiore a quella stimata nella popolazione generale. Non tutti gli oltre 50mila italiani dializzati rischiano alla stessa maniera: chi si deve recare in ospedale per la dialisi rischia tre volte di più di chi può fare la dialisi a casa. Ricordiamo che la dialisi è un trattamento salvavita, non si può interrompere, e chi lo esegue in ospedale deve recarsi presso il Centro 2-3 volte a settimana. Si tratta prevalentemente di persone anziane, con altre comorbidità, che usufruiscono dei servizi di trasporto messi a disposizione dagli ospedali; quindi particolarmente a rischio di contrarre le infezioni, Sars-Cov-2 in primis.
Sebbene l'impatto della pandemia sia oggi reso meno gravoso dalla disponibilità dei vaccini e dalle conoscenze mediche nel frattempo accumulate, questi pazienti rimangono ancora molto fragili di fronte all’infezione/contagio da coronavirus: come mostrano anche in questo caso i dati della SIN, infatti, nei dializzati la risposta anticorpale alla vaccinazione è inferiore del 20-30% rispetto alla popolazione generale. Un chiaro indizio di maggiore suscettibilità all'infezione che indica quanto sia importante evitare che questi pazienti frequentino luoghi dove il rischio di contrarre l'infezione sono alti, come gli ospedali.
La dialisi eseguita a casa del paziente – che sia la metodica di emodialisi domiciliare o la metodica di dialisi peritoneale – è quindi un vantaggio non solo per tutelare la salute di questi pazienti già fragili, ma anche per ridurre eventuali problemi di possibile contagio correlati al trasporto verso il centro nefrologico Inoltre, la dialisi peritoneale sembra migliorare la sopravvivenza dei pazienti nei primi due anni di terapia in confronto all’emodialisi eseguita nel centro ospedaliero, avere migliori tassi di aderenza (compliance) alla terapia e permettere una migliore qualità di vita. Infine, è il trattamento che può facilitare il trapianto renale mantenendo la funzionalità dei vasi e la funzionalità renale residua.
Il nostro Paese si caratterizza per un buon utilizzo della dialisi peritoneale con circa il 12,3% dei pazienti, ma siamo molto distanti dalle percentuali di altri paesi come l’Estonia dove si registra un 32,4% e in altri Paesi virtuosi come UK e Paesi Nordici. Da sottolineare anche la differenza tra le Regioni italiane: si va da un minimo nel Lazio del 5,7% ad un massimo in Lombardia del 14,2%.
Visti i reali vantaggi della dialisi peritoneale, il suo sottoutilizzo a livello italiano nei Centri di Nefrologia e le indicazioni del Pnrr che individuano la casa come primo luogo di cura, è bene avviare una discussione con i decisori politici sul percorso più ottimale nella gestione del paziente con insufficienza renale all’ultimo stadio dove è necessario un trattamento renale sostituivo. La maggiore diffusione della dialisi peritoneale produrrebbe infatti un vantaggio economico e sociale anche per il sistema sanitario nazionale. Oggi i dializzati rappresentano meno dell’1 per mille della popolazione nazionale, ma la loro gestione impiega il 2% del fondo sanitario nazionale. Questo perché circa l’88% dei pazienti viene curato con emodialisi, una metodica più onerosa della dialisi peritoneale: si stima che in media il costo per la gestione di un paziente in emodialisi presso un ospedale sia di 50mila euro all’anno contro i 30mila dell’opzione domiciliare.
L’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (ALTEMS) sta realizzando una nuova analisi di HTA per studiare l’impatto di un possibile ampliamento del ricorso alla dialisi peritoneale da un punto di vista clinico, organizzativo, economico e sociale. Le prime simulazioni indicano che la dialisi peritoneale può portare a una riduzione fino al 50% dei costi. Un impatto molto significativo che potrà concretizzarsi solo se il sistema sanitario saprà ridisegnare l’assistenza territoriale e se i pazienti verranno adeguatamente informati, formati e seguiti a domicilio tenendo conto delle esigenze psico-socio-attitudinali degli stessi utilizzando anche nuovi strumenti di telemedicina. Infine, per un maggior utilizzo delle metodiche domiciliari si dovrà creare una forte alleanza fra decisori politici regionali, direttori generali e nefrologi per implementare l'uso dei trattamenti dialitici domiciliari.

* Direttore, Struttura complessa multizonale di nefrologia e dialisi, Apss di Trento
** Professore di Organizzazione aziendale alla Facoltà di Economia, Università Cattolica del Sacro Cuore; Direttore Altems, Alta Scuola di Economia e Management dei sistemi sanitari


© RIPRODUZIONE RISERVATA