Medicina e ricerca

Sindrome Vexas: la malattia auto-infiammatoria identificata per la prima volta anche in Italia

di Alessandra Ferretti

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Identificata per la prima volta anche in Italia una nuova malattia auto-infiammatoria grave e progressiva chiamata “sindrome Vexas” con caratteristiche cliniche a ponte tra malattie reumatologiche ed ematologiche. Il risultato viene dalla collaborazione tra la Struttura Complessa di Reumatologia dell’Ausl-Irccs di Reggio Emilia, il Laboratorio di Biologia Molecolare dell’Arcispedale reggiano e due istituzioni americane del National Institute of Health (NIH), il National Human Genome Research Institute e il National Institute of Arthritis and Musculoskeletal and Skin Diseases. Il lavoro è uscito come pubblicazione “rapida” sulla rivista Arthritis & Rheumatology, prestigiosa rivista dell’American College of Rheumatology (Associazione Americana di Reumatologia).
Vexas è l’acronimo di “vacuoles, E1 enzyme, X-linked, autoinflammatory, somatic” e come tale si basa sulle caratteristiche più importanti della sindrome. Identificata per la prima volta nella popolazione americana nel 2020 dal National Human Genome Research Institute del NIH, ha riguardato 25 pazienti con malattia infiammatoria iniziata dopo i 50 anni associata a mielodisplasia.
Come spiega Carlo Salvarani, direttore della Struttura Complessa di Reumatologia di Reggio Emilia, professore all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e coordinatore della ricerca, “questa patologia è caratterizzata da un’infiammazione sistemica che interessa la cute, i polmoni, i vasi sanguigni e la cartilagine e mima varie condizioni come la policondrite recidivante e la sindrome di Sweet. Oltre ciò, i pazienti con sindrome Vexas soffrono di una serie di condizioni ematologiche come l’anemia macrocitica, la piastrinopenia, la malattia tromboembolica e l’insufficienza midollare progressiva che può evolvere in condizioni ematologiche maligne come le sindromi mielodisplastiche e il mieloma multiplo. Non esiste una terapia specifica se non il cortisone che, somministrato ad alte dosi, è in grado di ridurre, ma non di bloccare, l’entità della risposta anti-infiammatoria”.
Lo studio collaborativo tra i ricercatori di Reggio Emilia e l’NIH ha valutato la sindrome Vexas rivedendo le storie cliniche di 147 pazienti consecutivi di sesso maschile con diagnosi di vasculite (infiammazione della parete dei vasi) seguiti dalle Reumatologie di Reggio Emilia e Modena. Tra questi, sono stati identificati i pazienti con manifestazioni infiammatorie resistenti alla terapia steroidea associata all’immunodepressore tradizionale o al farmaco biologico, con valori persistentemente elevati degli indici infiammatori e con anormalità ematologiche. Sono stati identificati 7 pazienti con diagnosi di forme diverse di vasculiti e concomitanti caratteristiche della sindrome Vexas. Una diagnosi finale di Vexas è stata fatta in 3 dei 5 pazienti sottoposti a sequenziamento.
Prosegue Salvarani: “Lo studio dimostra chiaramente la necessità di considerare la presenza di una sindrome Vexas nei pazienti con sospetto diagnostico di vasculite. Inoltre, esiste la possibilità che alcuni casi di vasculite possano sviluppare una sindrome Vexas e che quindi non siano più in grado di rispondere alla terapia delle vasculiti. Inoltre, uno dei nostri pazienti refrattario alla terapia steroidea associata ad immunodepressori tradizionali ha risposto alla terapia con un farmaco inibitore degli enzimi JAK”.
La collaborazione con l’Università di Modena e le due prestigiose Istituzioni Americane prevede, tra le altre cose, che la dottoressa Chiara Marvisi, specializzanda del terzo anno di Reumatologia e primo autore del lavoro con il dottor Francesco Muratore della stessa Struttura Complessa di Reggio Emilia, trascorra nel 2022 un periodo di studio presso il National Human Genome Research Institute e il National Institute of Arthritis and Musculoskeletal and Skin Diseases della NIH, studiando le malattie autoinfiammatorie inclusa la Vexas e le vasculiti dei grandi vasi.


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