Medicina e ricerca

Oncologia: i pazienti devono essere protagonisti del percorso di cura

di Roberto Bollina*

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Molto più dei medici i pazienti comprendono la realtà della loro condizione, l’impatto della malattia e del suo trattamento sulla loro vita e come i servizi potrebbero essere progettati meglio per aiutarli, riconoscendo loro la funzione pro-attiva nel migliorare l’assistenza sanitaria. Da tempo vengono studiati modelli di cura in cui la persona viene proposta come soggetto attivo ed “esperto” all’interno del processo clinico-assistenziale. Questo è avvenuto perché le persone esprimono giustamente il desiderio di avere un ruolo più attivo in tutte le fasi del percorso sanitario e di conoscere meglio la malattia o le malattie da cui sono affetti e tutte le possibili opzioni di trattamento, i relativi vantaggi e i rischi.
Presso la Divisione di oncologia dell’ASST Rhodense (direttore generale Dott. G. Pellegata), nell’ospedale di Rho (MI) abbiamo quindi introdotto il progetto “Articolo 17 – I pazienti hanno il diritto di essere attivi”, primo progetto/studio a livello europeo, che vede il coinvolgimento di pazienti “esperti”, attraverso l’Associazione La Lampada di Aladino, nei percorsi di cura a fianco dei pazienti e del personale del team curante. Il gruppo di pazienti entrando nel Day- Hospital/ ambulatori di oncologia per quasi un anno, seguirà le attività del personale sanitario ed esplorerà le esperienze dei pazienti in cura, per arrivare a proporre migliorie a beneficio di entrambe le categorie.
Il medico in questo progetto continuerà a svolgere la propria attività di medico, che prima di tutto è anch’egli una persona con un carattere, pregi e difetti.
Il percorso prevede una fase sperimentale utile alla definizione dei passi per la formazione di pazienti. Si tratta di uno scambio di reciproca educazione per ridefinire percorsi di cura più a misura di persona, utili alla qualità di vita dei malati ma anche indirettamente a quella dei sanitari, grazie alla collaborazione del paziente che dialoga con lo staff sanitario sulla scorta delle specifiche esperienze e competenze, senza perdere di vista l’orizzonte dei bisogni reali dei malati di cancro.
La pandemia di Covid 19 ha dimostrato l’importanza della comunicazione che è fatta anche di gesti e di atteggiamenti, in un mondo che lascia sempre meno spazio e tempo di guardare le persone negli occhi. Il progetto saprà aiutare il medico a comprendere come migliorare non solo le capacità tecniche e scientifiche della disciplina oncologica, ma anche come comprendere, fermarsi, ragionare e ascoltare ciò che può essere importante per la persona che viene assistita.
Il rapporto umano e sociale è alla base di una “umile convivenza”; l’umiltà e soprattutto la collaborazione sono il perno essenziale del prendersi cura e del curare: in una parola “l’umanizzazione” sempre difficile da affrontare nei fatti.

*Direttore di Oncologia presso l’ASST Rhodense


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