Medicina e ricerca

Tumori: messo a punto il modello sperimentale per inibire la proliferazione di recidive

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Le terapie antitumorali correnti mirano alla eliminazione delle cellule tumorali, portando alle remissione. La malattia è tuttavia spesso recidiva perché le cellule sopravvissute al trattamento proliferano, aumentando in malignità favorendo le metastasi e la resistenza ai farmaci, con esito spesso fatale: è dunque la terapia stessa che può contribuire alla progressione del tumore.
Questo fenomeno, definito complessivamente “cancer repopulation and acquired cell-resistance” (CRAC), è tradizionalmente attribuito alla selezione delle cellule con le mutazioni genetiche più aggressive. Tuttavia, recentemente questo è stato messo in discussione da evidenze che mostrano uno scenario molto più complesso. Sta emergendo infatti che i tessuti cancerosi “feriti” dalla terapia reagiscono attivando cambiamenti molecolari nelle cellule sopravvissute, favorendone resistenza, proliferazione e migrazione (es., la transizione epitelio-mesenchimale), aumentandone la malignità e la capacità di formare metastasi. “Abbiamo ragionato – afferma Lina Ghibelli, professoressa di biologia applicata presso il Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” -che questo quadro, apparentemente terrificante, potrebbe invece paradossalmente rivelarsi un “tallone d’Achille” del cancro, perché i processi di reazione cellulare potrebbero essere trattabili farmacologicamente”.
Il lavoro appena pubblicato su International Journal of Molecular Sciences, a cui hanno collaborato Francesca Corsi e Francesco Capradossi, presenta fondamentalmente due punti nuovi. Anzitutto la messa a punto, per la prima volta, di un modello in vitro che consente di studiare in tempo reale il processo di ripopolamento tumorale post-terapia, riproducendo fedelmente, pur nella sua semplicità, la complessità della reazione dei tessuti tumorali al danno subito. “Questo modello, – continua Ghibelli, – mimando la fase di remissione e quella della recidiva, ci ha permesso di eseguire esperimenti pilota su cellule di cancro alla prostata, dimostrato da una parte che il ripopolamento post-terapia si può prevenire con una serie di farmaci che inibiscono processi segnalatori, come ad esempio l’infiammazione e la riprogrammazione epigenetica; dall’altra, che esiste una precisa “finestra temporale”, che dura pochi giorni dopo il trattamento, durante la quale il ripopolamento può aver luogo”.
Ad ora, i processi che determinano la progressione maligna dei tumori indotta dalla terapia sono sconosciuti e, di conseguenza, non ci sono opzioni terapeutiche per prevenirlo. “Questi nuovi risultati – precisa Albrecht Reichle, oncologo presso il Policlinico Universitario di Regensburg – suggeriscono un possibile approccio e cioè di associare qualcuno dei farmaci testati (che potremmo definire “anti-CRAC”) alla regolare chemio/radioterapia, somministrandoli nel breve arco temporale in cui le cellule sono competenti a ripopolare. Questo potrebbe consentire che la fase di remissione abbia luogo, ma inibendo la recidiva, dissociando i due fenomeni”.
Si prospetterebbe quindi la possibilità di una terapia “CRAC-free”, che permetterebbe cioè di sfruttare i vantaggi dei trattamenti correnti, assai efficienti nel ridurre la massa tumorale, allo stesso tempo prevenendo il ripopolamento e la progressione maligna del tumore. “Siamo impegnati a proseguire questa ricerca, – conclude Ghibelli – focalizzando lo studio sui meccanismi molecolari che potrebbero differire nei vari tumori e nei vari pazienti, per passare al più presto alla fase di sperimentazione clinica”.


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