Medicina e ricerca

Fibromialgia, la malattie e lo stigma condizionano l'accesso e la permanenza al lavoro. Le risposte possibili

di Barbara Suzzi *

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Per chi soffre di fibromialgia, lavorare può essere difficile. Sia per il dolore cronico diffuso e la persistenza stanchezza sia per altri sintomi concomitanti (confusione mentale, l’ipersensi¬bilità, i disturbi del sonno). Chi ne soffre a volte fatica a essere creduto, perché il dolore è invisibile dall’esterno. Facile, quindi, che negli ambienti di vita, incluso quello lavorativo, si generino difficoltà e incomprensioni.
Il mantenimento della capacità di generare valore in termini produttivi è anche l’obiettivo che hanno le stesse aziende datrici di lavoro. A fronte di questa duplice necessità di attenzione, quali soluzioni è possibile attuare per modificare l’ambiente di lavoro in modo da renderlo inclusivo e produttivo attraverso "accomodamenti ragionevoli"? Quelli definiti ai sensi della Convenzione Onu e della Direttiva Europea 2000/78/CE , che nel caso della fibromialgia sono di sedie, postazioni, illuminazione, possibilità di fare pause anche brevi.
È questa la domanda da cui è nato l’Osservatorio nazionale Salute e Benessere nei luoghi di lavoro. L’Osservatorio è aperto alle aziende e alle organizzazioni che intendono perseguire, con spirito collaborativo e di partecipazione, gli obiettivi di individuare, condividere, documentare e trasferire buone pratiche relative alla creazione di contesti di lavoro inclusivi con specifici accomodamenti ragionevoli, per persone fibromialgiche e con altre patologie, percorsi formativi per Disability Manager e per altre figure professionali, dotati di adeguati accomodamenti. Attualmente sono circa 50 le aziende pubbliche e private aderenti.
In accordo con l’approccio della classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (International classification of functioning, disability and health, Icf), la disabilità si riscontra infatti solo nel caso in cui le condizioni esterne siano di ostacolo alla vita della persona. Una persona non vedente, ad esempio, vivrebbe tranquillamente in un ambiente buio. Da questa prospettiva, anche una persona con fibromialgia, se inserita in un contesto facilitante, può esprimere le proprie potenzialità. Poter lavorare secondo ritmi propri, si è dimostrato un adeguamento fondamentale all’interno di un quadro di tutele determinato dalla contrattazione collettiva.
La fibromialgia è stata inserita per la prima volta, il 10 dicembre 2020, nelle proposte all’ordine del giorno della Commissione per l’aggiornamento dei «Livelli essenziali di assistenza» (Lea) del ministero della Salute e, a fine dicembre 2021, è stato approvato un emendamento alla legge di Bilancio che prevede un fondo di 5 milioni per la ricerca e cura della fibromialgia.
I fibromialgici nascondono la malattia per non essere giudicati, etichettati, marginalizzati. Solo il 14% è soddisfatto del lavoro e la mansione non rappresenta un vantaggio: anche il 60% degli imprenditori ha problemi che li hanno costretti a cambiare anche drasticamente la quantità di ore lavorate o il tipo di attività. La stanchezza è riferita dal 93% dei lavoratori, tristezza e umore instabile rappresentano il 55%. L’orario di lavoro è l’ostacolo più sentito, seguito dal problema del non essere creduto. Lo stigma è dovuto alle ripetute assenze, la difficoltà nell’eseguire più di un’attività alla volta, il non riuscire ad avere al¬te prestazioni produttive.
Alla persona con fibromialgia sono attribuiti: debolezza, scarsa volontà, mancanza di senso di responsabilità, inaffidabilità. Si tratta di una forma di stigma a tutti gli effetti, inoltre nella scelta tra un dipendente sano e uno con fibromialgia per il quale il datore di lavoro non gode di vantaggi fiscali, è quest’ultimo a farne le spese. Ma anche quando la persona protetta riesce a mantenere il posto di lavoro, ciò ha un prezzo elevatissimo su salute e qualità di vita.

* Presidente CFU Italia Odv


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